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New York e il New Jersey verso il voto di novembre: un test anche nazionale

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I destini della città di New York e dello stato del New Jersey sono strettamente legati, per forza di cose. Storici luoghi di immigrazione europea, zone industriali del passato e parte di uno stesso sistema economico di cui Manhattan è il cuore e il New Jersey la periferia. Anche dal punto di vista demografico ci sono somiglianze: popolazioni diverse e grande peso delle componenti comunitarie, ad esempio quelle afroamericane, ebree, italo-americane e ispaniche.

A novembre 2013 il Garden State e la Grande Mela saranno accomunate anche da un importante appuntamento elettorale: si vota per il sindaco della città e per il governatore e uno dei due seggi senatoriali dello stato.

A New York quello che conta sono le primarie democratiche, siccome qualsiasi candidato dell’asinello è da considerarsi automaticamente in vantaggio sul candidato repubblicano Joseph Lotha – ex direttore della MTA, l’azienda di trasporti della città – ed è quindi probabile che chi vincerà le primarie del partito di Obama sarà eletto sindaco. Il primo round della battaglia per la nomination democratica si è tenuta il 10 settembre e, in attesa di risultati definitivi, alcune cose sono già state chiarite.

Ormai fuori gioco è Antony Weiner, ex deputato democratico finito nel fango a causa di foto equivoche spedite via Twitter a giovani donne in giro per il Paese. Brevemente risorto dopo le dimissioni dal Congresso di Washington nel 2011, grazie al proprio pentimento pubblico e al sostegno a lui offerto della moglie Huma Abedin, che è una delle più strette collaboratrici di Hillary Clinton, Weiner si è infine suicidato politicamente continuando a inviare immagini simili fino a poco tempo fa.

A beneficiare del tramonto di Weiner è stato Bill De Blasio, il candidato più liberal, che fin dall’inizio della campagna elettorale ha attaccato l’era di Michael Bloomberg e delle due città da lui create: la prima sempre più ricca, ma dominata dagli interessi del settore finanziario e immobiliare e la seconda piena di sacche di povertà e disoccupazione. Tra le sue proposte vi è anche quella di garantire a tutte le famiglie della città la possibilità di mandare i figli all’asilo nido gratuitamente, programma che verrebbe pagato con l’imposizione di una nuova tassa sui redditi più alti. De Blasio è l’unico maschio bianco rimasto in gara ed ha il voto della sinistra liberal, che a New York, anche tra i ricchi, rimane decisiva. Al primo turno delle primarie De Blasio è arrivato nettamente davanti agli avversari e sembra quindi ben avviato sulla strada verso la poltrona di sindaco. Rimane da vedere se il conteggio delle schede cartacee ancora in corso confermerà per lui l’oltre 40% delle preferenze, soglia necessaria a evitare il ballottaggio.

Degli altri due candidati di interesse, la presidente del consiglio municipale Christine Quinn è considerata l’erede dell’era Bloomberg e sarebbe la prima donna, per di più apertamente lesbica, a diventare sindaco. Per farcela, Quinn deve raccogliere il sostegno dei gruppi gay e dell’élite ultra-ricca ma democratica di Manhattan. L’afroamericano Bill Thompson, infine, è l’ex comptroller della città (una specie di giudice dei conti). La sua maggior forza è il suo essere nero: un terzo circa dei partecipanti alle primarie è infatti afroamericano e potrebbe votare in gran parte per lui. Tanto più che Thompson è un moderato e potrebbe quindi attrarre anche quella parte di elettorato bianco intimorito dalla radicalità di De Blasio e dall’omosessualità di Quinn.

In generale il dibattito tra i candidati ha luogo sullo sfondo della fine dell’era Bloomberg, la cui eredità è senz’altro contraddittoria: la città è cresciuta economicamente, il turismo è in aumento ed è aumentata anche la mobilità sostenibile. Da sindaco Bloomberg ha avuto il coraggio di prendere decisioni difficili, come quando difese la costruzione della moschea nei pressi di Ground Zero. Ma il suo mandato è stato anche il completamento dell’opera iniziata da Rudy Giuliani, che aveva ripulito le strade di New York di criminali e senza tetto. Senza devianti in giro, la città, in particolare Manhattan e Brooklyn, ha attratto investimenti, turisti e immigrazione di lusso. Perdendo parte della sua anima e del suo spirito. Nel frattempo, negli altri quartieri tirati meno a lucido, il tasso di disoccupazione è, dai tempi della crisi, costantemente più alto della media nazionale. Per De Blasio, o chi per lui, si tratta quindi di intervenire per ridurre la povertà e migliorare i servizi pubblici. Tra le proposte di Quinn, ad esempio, è l’idea è di costruire 50mila nuovi alloggi ad affitto bloccato, giacché il costo della casa è una vera piaga in città e rischia di trasformarla in un’isola per ricchi.

Il voto in New Jersey intanto è blindato. Eppure ha, nel caso sia della carica di governatore sia di junior senator, una rilevanza nazionale. È certo, ad esempio, che il governatore repubblicano in carica Chris Christie otterrà la rielezione. Ed è altrettanto certo che il sindaco di Newark Cory Booker sarà il nuovo senatore del Garden State.

Ma Christie, che durante l’uragano Sandy dell’ottobre 2012 ha abbracciato il presidente Barack Obama e che ha deciso di avviare la riforma sanitaria nel proprio stato dopo aver inizialmente promesso di bloccarla, è già visto come uno dei front-runner per le primarie presidenziali repubblicane del 2016. Il corpulento governatore si presenta come il volto moderato del Partito Repubblicano, fatto di modi schietti e diretti e contenuti non ideologici e lontani dal Tea Party. La sua speranza è di raggiungere i Reagan Democrats, ovvero i Democratici più centristi, e gli indipendenti che per due elezioni di seguito hanno votato Obama. Il fatto che Christie provenga da uno stato che vota democratico nelle elezioni per la Casa Bianca è un handicap. Per mostrare la propria credibilità politica già da ora, a novembre dovrà attrarre voti dal campo avversario e stravincere le elezioni. Christie potrebbe divenire così quel candidato alla presidenza moderato ma con un appeal sulla base che John McCain e Mitt Romney non hanno mai avuto. Non è affatto escluso che ci riesca.

Il caso di Cory Booker è diverso e il suo profilo non è certo quello di un populista: studi a Yale, vegetariano, un milione e 400mila follower su Twitter e star politico-televisiva. Inoltre il suo ingresso al Senato significherebbe il ritorno di un Democratico afroamericano nella Camera alta, cosa che non succedeva dal 2010. La sua presenza farebbe (o meglio, farà) ombra a molti. Da sindaco di una delle città peggio messe degli Stati Uniti, Booker ha fatto molto per migliorarne l’immagine, ha attirato qualche investimento e grandi donazioni e salvato una vicina di casa dalle fiamme. Ma non ha trasformato Newark, dove il tasso di disoccupazione resta alto – come del resto in tutto il New Jersey. In campagna elettorale promette ora di non voler andare a Washington per fare da tappezzeria ma per trasformare la capitale federale. Di certo, con Elizabeth Warren, ma più moderato di lei, sarebbe una di quelle figure democratiche capaci di appassionare la base.

Insomma, dalle elezioni che si terranno questo novembre in New Jersey passerà una parte importante della politica nazionale futura. È un caso raro per uno stato del nordest. Ma che potrebbe replicarsi ancora nel 2016, se Christie si candiderà davvero alla Casa Bianca. Nel qual caso la rivalità-concorrenza con New York potrebbe riaccendersi ancora una volta se davvero una certa ex senatrice e ex First Lady decidesse di candidarsi anche lei.