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NATO: dal summit di Londra al futuro dell’Alleanza

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I leader dei Paesi NATO si sono incontrati a Londra, il 3 e 4 dicembre,  per celebrare i 70 anni dell’Alleanza Atlantica, fondata con il trattato di Washington nell’aprile del 1949. Ma l’occasione ha permesso anche di discutere di presente e futuro.

All’appuntamento si è arrivati infatti con una certa preoccupazione. Negli ultimi cinque anni, i paesi europei membri della NATO si sono trovati a toccare con mano le principali minacce del nostro tempo alla sicurezza europea e collettiva: l’aggressività della Russia, con l’invasione dell’Ucraina; gli attacchi terroristici che hanno colpito alcune delle principali città europee tra cui Londra, Parigi, Berlino e Bruxelles (sede del quartier generale NATO in Europa); l’instabilità e le guerre  in Medio Oriente e Nord Africa – principalmente in Siria e Libia. Per quanto queste minacce non siano di tipo “nuovo”, fino al 2014 gli europei ne erano stati toccati solo marginalmente. Il periodo “post-Guerra Fredda” era ancora all’insegna di una generale tranquillità – salvo per gli attacchi terroristici subiti dai paesi membri della “coalizione dei volenterosi” che aiutò gli Stati Uniti nell’invasione dell’Iraq, come Spagna e Regno Unito nel 2004 e 2005.

Inoltre, proprio mentre in Europa l’importanza della NATO viene nuovamente apprezzata, le difficoltà incontrate dall’Alleanza Atlantica aumentano. Sin dal suo insediamento alla presidenza americana, Donald Trump non ha mai nascosto il fastidio verso il limitato impegno degli alleati Europei per quanto riguarda la spesa militare. A ciò, nelle ultime settimane si sono aggiunte le dichiarazioni pubbliche del Presidente francese Emmanuel Macron, con la famosa diagnosi sulla NATO in “morte cerebrale”, e del Presidente turco Recep Tayyp Erdogan in parziale risposta. Nessun Paese però finora è uscito dalla NATO. L’unica parziale defezione è stata quella della Francia nel 1966 – un’uscita limitata solamente al comando militare integrato, in cui tornò nel 2008 durante la presidenza Sarkozy. Al contrario, il numero di paesi membri continua ad aumentare – con i 29 attuali.

Emmanuel Macron al summit NATO di Londra

 

Ma al di là delle dichiarazioni di circostanza, come è messa davvero la NATO? Come tutte le alleanze e le organizzazioni,  si trova di fronte a due problemi di fondo. Da un lato i suoi membri sembrano avere visioni diverse su quali dovrebbero essere le priorità; dall’altro, l’impegno a contribuire alle spese militari, così da dotare la NATO degli strumenti necessari a perseguire gli obbiettivi strategici, spesso non viene mantenuto.

Relativamente alle priorità, per alcuni l’Alleanza dovrebbe guardare solamente ad Est (Russia). Per altri solo a Sud (ISIS e terrorismo in Medio Oriente). Per altri addirittura dovrebbe preoccuparsi di più di altre aree del mondo (dall’America Latina all’Asia). Le recenti dichiarazioni di Macron, secondo il quale la Russia non rappresenterebbe una minaccia per l’Europa, mentre il terrorismo dovrebbe essere la preoccupazione principale per la NATO, illustrano in modo chiaro questo problema: l’opinione del Presidente francese non è affatto condivisa da tutti, specialmente dai Paesi dell’Europa Centro-Orientale, dai Baltici alla Polonia arrivando fino alla Romania.

Per quanto riguarda le spese militari, con l’annessione russa della Crimea, i membri della NATO si sono improvvisamente accorti dell’insicurezza che permea la placca europea. Da allora, vi sono stati tre sviluppi. Gli Stati Uniti hanno lanciato una serie di iniziative – con esercitazioni e schieramenti di forze ad hoc – volte a difendere e rassicurare i Paesi più esposti verso la minaccia russa, come i tre baltici. Parallelamente, gli altri membri della NATO non solo hanno contribuito a queste iniziative ma hanno anche promesso di aumentare la loro spesa militare — a seguito dell’impegno preso con il vertice del Galles nel settembre del 2014. Infine, la NATO si è riformata e trasformata, la struttura delle sue forze militari è stata modificata per meglio rispondere a nuovi contesti operativi e così la struttura di comando è stata adattata per coprire più efficacemente l’area di responsabilità dell’organizzazione.

Non tutti hanno però mantenuto le promesse. Nonostante dal 2014 al 2019 la spesa militare della NATO sia cresciuta di 130 miliardi di dollari, e il numero di Paesi che dedica oltre 2% del Pil alle spese per la difesa sia più che raddoppiato, non è chiaro se e quando questo impegno verrà effettivamente rispettato da tutti gli Alleati, e soprattutto quelli con le economie più in ordine, quali Germania e Canada.

Le critiche dell’Amministrazione Trump derivano da questa oggettiva mancata ottemperanza, su cui vanno fatte però due considerazioni. Per alcuni membri, specie quelli esposti a sud, la spesa militare — e soprattutto gli investimenti in nuovi armamenti — è solo in parte un indicatore delle capacità reali di portare sicurezza. Alcuni di questi Paesi, inoltre, si lamentano del fatto che l’Alleanza non sia sufficientemente presente sul fronte meridionale — svolgendo così due delle sue due core tasks, quella di crisis management e di cooperative security definite nel Concetto Strategico del 2010. In un mondo a trazione pacifica, queste frizioni tra le due sponde dell’Atlantico sollevano importanti interrogativi. E ciò ci porta al vertice di Londra di inizio dicembre.

Il meeting ha infatti evidenziato la multidimensionalità delle sfide che la NATO si trova di fronte. La Cina viene – con un’importante innovazione – menzionata ufficialmente nella “London Declaration” cha ha chiuso l’incontro. Ma quali opzioni si aprono perl’Alleanza? Occuparsi di Medio Oriente e Russia, così da permettere agli Stati Uniti di focalizzarsi sulla Cina? Aiutare gli Stati Uniti in Asia per arginare e contenere l’espansionismo cinese? Oppure cercare nuovi ordini regionali che magari permettano all’Europa un minor impegno militare in assoluto o per per poter spostare risorse verso Oriente?

Un secondo aspetto, interessante e in parte collegato, riguarda la menzione, sempre nel documento ufficiale, delle comunicazioni 5G e, più in generale, dei rischi e delle opportunità generati dalle nuove tecnologie. Questa sarà un’area su cui i Paesi NATO dovranno lavorare negli anni a venire.

Infine, la London Declaration parla di spazio, elevato a nuovo dominio operativo. Non è una novità che tutte le forze militari NATO dipendano dalle capacità spaziali per comunicazioni, posizionamento e osservazione — e più in generale per comando e controllo. Sempre più Paesi del mondo hanno accesso allo spazio e il loro sviluppo può minacciare la superiorità tecnologica, e quindi l’efficacia operativa, delle forze armate dei Paesi NATO. In questo campo saranno necessari investimenti, innovazione e soprattutto politiche adeguate. E’ un dato positivo che la NATO sappia ampliare lo sguardo a questioni simili, perché saranno le questioni che la terranno occupata per molti dei prossimi 70 anni.

 


Le opinioni espresse sono esclusivamente degli autori e non rappresentano le posizioni ufficiali del NATO Defense College, della NATO o di qualsiasi altra organizzazione con cui gli autori hanno lavorato o cooperato.