international analysis and commentary

Mike Pence, il volto rassicurante del trumpismo?

1,036

Con un voto che stupisce soprattutto le élite editoriali, come accadde per la Brexit, Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti. Il suo Vice, il 48esimo della storia degli USA, è Mike Pence: una figura che potrebbe rivelarsi chiave nel futuro della democrazia americana.

Trump, è stato liquidato surrettiziamente dalla stessa élite come sconfitto non solo nel voto, ma anche nei confronti televisivi con Hillary Clinton (che in realtà erano finiti in pareggio, pareggio e noia ad essere sinceri). Avrà sorriso nel leggere che per la stampa, invece, Pence risultava aver vinto il proprio confronto televisivo col Vice Presidente prescelto da Hillary, il senatore della Virginia Tim Kaine. Insomma, consapevoli del pregiudizio verso Trump, i media hanno cercato di trovare del buono almeno in Pence, o di vedere nelle sue posizioni il correttivo alla narrazione eversiva che Trump ha portato avanti in campagna elettorale.

Per ragioni diverse sia Trump che Clinton erano due candidati a rischio rispetto alla durata e alla cumulazione dei mandati. Sia i potenziali scandali, fiscali e di spionaggio, sia il tema della salute fisica, specie per la Clinton, lasciavano e lasciano un’ombra sulla possibilità – rara nelle presidenze dal dopoguerra a oggi – che il Presidente uscente non fosse in grado di correre per un secondo mandato.

Mike Pence, il repubblicano governatore dell’Indiana, è cresciuto in una famiglia irlandese di profondi sentimenti cattolici. John Fitzgerald Kennedy è stato il mito politico della sua gioventù prima che un astro nascente, quello di Ronald Reagan (un altro outsider assoluto per il suo tempo) lo convertisse alla causa repubblicana. È in politica da circa quindici anni, tra Congresso e governatorato, e ha sostenuto il movimento dei Tea Party prima di dare il suo appoggio a Ted Cruz nelle primarie repubblicane che avrebbero invece incoronato Donald Trump. Dopo aver cambiato religione, da cattolico a evangelico, Pence ha firmato come governatore una legge che estende il diritto di culto, il Religious Freedom Restoration Act, anche se esponenti liberal accusano la norma di violare e limitare i diritti LGBT.

In ogni caso, la scelta di Pence da parte di Trump si spiega sia con la consapevolezza da parte del nuovo presidente di dover mitigare il suo carattere istrionico e la forza dirompente di alcune dichiarazione politically uncorrect.

In campagna elettorale, quando Trump si è scagliato contro i musulmani americani, è stato Pence a ricucire con quel mondo, ringraziando tutti i musulmani che hanno servito e che servono attualmente nelle forze armate degli Stati Uniti e i molti che sono caduti nel corso del loro ingaggio, specie nei teatri di Iraq e Afghanistan.

Ma il ruolo di Pence, e anche l’abilità di Trump nel sceglierlo senza fossilizzarsi sul precedente endorsement per Ted Cruz, è quello di tenere aperto un dialogo con la base dell’Old Party, con quel partito repubblicano che è uscito a pezzi dalle ultime primarie.

Educato, ordinato, rispettoso nei contradditori pubblici (nel confronto tv con Tim Kaine, ad esempio, non mai ha interrotto il suo avversario, a differenza del mate democratico), il Vicepresidente è l’uomo che incarna la sobrietà di una certa America di provincia. Rappresenta quella vasta Bible Belt centrale che non ama l’esibizionismo di Trump, ma certo non poteva scegliere, come anche la Rust Belt ha fatto, la continuità per così dire “politicante” rappresentata dai Clinton, nell’atto di divenire una dinastia presidenziale.

Ora Trump dovrà formare una squadra di governo; il mondo attende principalmente la nomina del Segretario di Stato per capire quale direzione prenderà la politica estera americana (dossier Siria in primis). Intanto, la figura del Vicepresidente può aiutare a capire le scelte – e forse una certa prudenza già acquisita come virtù necessaria – del nuovo Presidente.

Pence insomma, ha esperienza negli ambienti di Washington senza essere però vincolato ai giochi o ai tic di chi ha frequentato il potere troppo a lungo. La sua figura potrà essere ultile per moderare gli eccessi del personaggio-Trump, e disegnare per lui un approccio istituzionale adeguato all’incarico presidenziale.

In altre parole, sia nella scelta della squadra sia nel metodo, Pence potrebbe attutire, per il beneficio del sistema nel suo complesso, la potenziale irruenza del neopresidente. Restando in tema nomine, la carica di Segretario di Stato, sarà una significativa cartina di tornasole tra i due nomi che i rumors vogliono in ballottaggio attualmente. Sarà scelto Newt Gingrich o gli sarà preferito Bob Corker?

Entrambi conservatori, il primo ha notoriamente fama di “falco” e scarsa diplomazia: qualità che d’istinto potrebbero piacere a Trump. Il secondo, senatore del Tennessee, è esperto di politica estera, misurato nei modi e con esperienza al Senato  dal 2007. Ha tutte le caratteristiche per essere la carta di Pence, con il vantaggio di essere ferrato sui dossier mediorientali – ha sostenuto il surge in Iraq così come ha contestato Barack Obama sulla diminuzione del contingente in Afghanistan – cari alla retorica di Trump contro Clinton.

Mike Pence potrebbe essere così un Vice Presidente in funzione di pontiere tra Casa Bianca e Congresso, ma anche tra Casa Bianca e il complesso degli interlocutori internazionali, che da questa mattina guardano a Washington con occhi nuovi e pregiudizi antichi.