L’importanza strategica della Groenlandia
La Groenlandia sta divenendo un importante snodo strategico. È – almeno in buona parte – una delle conseguenze del cambiamento climatico: lo scioglimento dei ghiacci, infatti, non solo rende accessibili le ricche risorse presenti nell’isola – che con i suoi 2.166.086 km² è la più grande del mondo; la popolazione è di circa 56.600 abitanti, di cui 19.600 residenti nella capitale Nuuk – ma rende le vie di navigazione artiche maggiormente fruibili con ricadute sul commercio globale. Si tratta, inoltre, una questione di sicurezza e di ridefinizione degli equilibri macroregionali per gli Stati Uniti, anche perché tra gli attori coinvolti ci sono Russia e Cina.
Vanno lette anche sotto questa lente le affermazioni di Donald Trump – le seconde, era già accaduto durante la prima presidenza – sulla necessità per gli Stati Uniti di acquistare la Groenlandia. Del resto, la Groenlandia è uno snodo strategico di rilievo sin dai tempi della Seconda guerra mondiale. Il 9 aprile 1941 venne firmato l’Accordo per la difesa della Groenlandia tra Stati Uniti e Canada che autorizzava Washington a costruire basi militari sull’isola che furono poi fondamentali per le operazioni belliche nell’Atlantico.
Il 27 aprile 1951 venne firmato un nuovo accordo che consolidava la presenza degli Stati Uniti in Groenlandia, in particolare con la costruzione della base area di Pituffik (conosciuta anche col nome di Thule) che rappresenta ancora oggi la presenza militare statunitense maggiore, integrando l’isola nel sistema NATO. Peraltro, Trump non è il primo presidente a proporre l’acquisto dell’isola alla Danimarca: nel 1946 Harry Truman offrì 100 milioni di dollari per l’acquisto della Groenlandia; durante la presidenza di Andre Johnson (1865 – 1869) gli Stati Uniti esaminarono la possibilità di acquistare la Groenlandia e l’Islanda, ma la proposta non si concretizzò per la mancanza di priorità politica e di fondi dopo l’acquisto dell’Alaska nel 1867.
Le affermazioni di Trump sulla Groenlandia si inseriscono, inoltre, nel contesto di altre dichiarazioni di tenore simile sull’utilità strategica di “riprendere il controllo del canale di Panama”, proponendo intanto al Canada di diventare il cinquantunesimo stato dell’Unione. Si tratta di affermazioni, quelle del presidente eletto, che rispecchiano una visione nazionalistica e neoimperialistica che ad una parte del Partito Repubblicano piace. L’idea, cioè, che gli Stati Uniti possano agire da soli nel mondo per riaffermare il proprio primato, soprattutto là dove esso rischia di essere minacciato dalla Cina o altre potenze, rompendo le catene dei vincoli e degli accordi internazionali. Tanto più che la Groenlandia ricadeva sotto la dottrina Monroe a cui la presidenza di Barack Obama “rinunciò” nel 2013, ma che Trump vuole probabilmente riproporre coerentemente con il suo approccio “America First”.
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Con le sue affermazioni, comunque, Donald Trump è entrato nel dibattito elettorale della Groenlandia in un momento delicato. Le prossime elezioni si terranno il 6 aprile 2025 e tra i temi principali del dibattito è l’indipendenza della Groenlandia dalla Danimarca, con il primo ministro Múte Borup Egede, del partito socialista e indipendentista Inuit Ataqatigiit, che anche in risposta alle affermazioni di Trump ha rilanciato la possibilità di un referendum per l’autonomia.
L’isola, infatti, è parte del Regno di Danimarca di cui era fino al 1953 una colonia. Nel 1979, con l’introduzione della Home Rule, la Groenlandia ottenne ampi margini di autonomia in politica interna, che si sono poi ampliati con l’approvazione con il 75% dei voti favorevoli del referendum per l’autogoverno nel 2008. Resta comunque esclusa la politica estera e di difesa, che resta sotto il controllo di Copenaghen; secondo il Self-Government Act del 2009, inoltre, il governo danese stanzia ogni anno circa 500 milioni di euro, il cosiddetto bloktilskud, di contributi per coprire le spese di settori come la sanità, l’istruzione e i servizi pubblici. Nel 1982, invece, un referendum sancì la decisione della Groenlandia di lasciare la Comunità economica europea, che avrebbe poi dato vita all’Unione Europea, a partire dal 1985.
La Groenlandia è quindi un’isola attraversata da forti sentimenti autonomisti e anticolonialisti che potrebbero essere utilizzati per influenzare l’opinione pubblica groenlandese con campagne di propaganda da parte degli Stati Uniti, ma anche della Cina e della Russia. Sotto questo punto di vista, un possibile recupero della dottrina Monroe potrebbe dare adito a sentimenti antistatunitensi favorevoli a Mosca e Pechino.
Lo scenario dell’indipendenza della Groenlandia e più in generale la discussione sul suo futuro hanno acquisito maggiore complessità con il perpetrarsi delle schermaglie tra Copenaghen e Washington. In risposta alle minacce di Trump di imporre dei dazi per fare pressione sulla Danimarca – che potrebbe portare l’Unione Europea a rispondere imponendo dei dazi sugli USA o uno speciale strumento di “anti-coercizione” adottato nel 2023 – la premier danese Mette Frederikesn ha annunciato che il suo governo incrementerà la spesa militare nell’Atlantico del Nord di circa due miliardi che porteranno al varo di tre nuove navi militari artiche per il pattugliamento di Groenlandia e Isole Faroe e di droni e satelliti a lungo raggio per la sorveglianza aerea.
In questi giorni, inoltre, la premier danese ha incontrato diversi leader europei, tra cui Emmanuel Macron e Olaf Scholz, e il Segretario generale della NATO Mark Rutte. Dopo che Frederikesn ha incassato il loro sostegno almeno teorico, il generale Robert Brieger, presidente del Comitato militare dell’Unione Europea, ha aperto alla possibilità di dislocare truppe UE in Groenlandia: un messaggio a Washington, ma anche alla Cina e alla Russia di un possibile nuovo coinvolgimento dei 27 in un’isola strategica per le sue risorse.
La corsa alle materie prime: una sfida anche per l’UE
A marzo 2023 la Commissione Europea ha pubblicato un elenco delle «materie prime critiche», quelle materie prime di grande importanza economica e strategica – ad esempio per la transizione verde e la digitalizzazione – il cui approvvigionamento per l’UE è a rischio. Molte di queste materie si trovano in Groenlandia. Come ha sottolineato un rapporto del Center for Minerals and Materials del Geolocial Survey of Denmark and Greenland, la diversità degli ambienti geologici dell’isola artica ha creato le condizioni favorevoli per la formazione di giacimenti minerari che, con lo scioglimento dei ghiacci, stanno diventano sempre più accessibili alle estrazioni. Secondo il rapporto, sarebbero almeno trentotto le materie prime – tra cui molibdeno, cromo, tantalio, titanio, platino, stagno e zirconio – che potrebbero essere estratte dal territorio groenlandese. Si tratta di un potenziale enorme, perché a differenza di paesi come il Canada e l’Australia che hanno storie geologiche stratificate come quella della Groenlandia, l’estrazione mineraria è fino ad ora rimasta concentrata in poche aree e su una scala modesta.
La Groenlandia ha quindi un potenziale estrattivo elevato ma che necessita di investimenti e capacità tecniche, perché la mappatura e lo studio dei giacimenti è ancora limitata. Un ruolo che potrebbe essere raccolto dall’UE considerando che esistono già forme di collaborazione tra Bruxelles e Nuuk per l’estrazione e la lavorazione delle materie prime critiche e delle terre rare. Sotto questo punto di vista l’UE è in vantaggio rispetto agli Stati Uniti nella partecipazione all’estrazione delle risorse della Groenlandia – Washington, al momento, non ha sviluppato particolari progetti. La competizione è, piuttosto, con la Cina che nel 2018 ottenne l’approvazione per la costruzione di tre nuovi aeroporti e la concessione di alcune miniere cruciali. Ma di fronte alle pressioni di Washington, preoccupata per la possibile penetrazione cinese, su Copenaghen e dei timori espressi dalla NATO per un possibile posizionamento strategico nell’Artico di Pechino, con il controllo di parte delle infrastrutture di un paese membro dell’alleanza, i piani per la costruzione degli aeroporti sono stati accantonati in favore di soluzioni finanziate dalla Danimarca, rivedendo o sospendendo molte delle concessioni minerarie.
Per l’UE l’accesso alle risorse della Groenlandia rappresenta la possibilità di diversificare le importazioni di materie prime, riducendo la dipendenza dalla Cina, ma anche la possibilità di sviluppare ulteriormente gli accordi commerciali – molti dei quali consento l’esportazione di prodotti senza tariffe doganali – in vigore con Nuuk. Non solo, per il periodo 2021-2027 l’UE ha stanziato circa 225 milioni di euro per la Groenlandia, investendo in programmi di istruzione, formazione, estrazione delle risorse e sviluppo economico e delle tecnologie verdi che possono rappresentare una partnership economica dai risvolti positivi per entrambi i paesi, ma che può mettere Bruxelles in competizione con gli Stati Uniti di Donald Trump.
Per cercare di gestire al meglio il crescente ruolo strategico della Groenlandia il suo governo ha pubblicato il 1 febbraio 2024 la nuova strategia estera, di sicurezza e di difesa per il periodo 2024 – 2033 dal titolo La Groenlandia nel mondo – Niente su di noi senza di noi. Nella strategia viene sottolineato come le risorse naturali dell’isola debbano essere sfruttate in maniera sostenibile e in armonia con la protezione ambientale. La difesa dell’ambiente è un punto centrale dell’attuale partito di governo che nel 2021 ha vinto le elezioni anche per la promessa di bloccare il controverso progetto minerario di Kvanefjeld che prevedeva l’estrazione di terre rare e uranio. La strategia ha individuato, inoltre, come principale obiettivo quello di aumentare l’autonomia e l’autodeterminazione della Groenlandia stringendo legami più stretti con gli Stati nordici e con i popoli artici, allineandosi inoltre con l’Unione Europea e gli Stati Uniti promuovendo, al contempo, la risoluzione pacifica dei conflitti.
Passaggio a Nord-Ovest e Via del Mare del Nord
Lo scioglimento dei ghiacci e l’innalzamento delle temperature hanno reso navigabili per lunghi periodi dell’anno le due vie principali che collegano l’Oceano Atlantico al Pacifico: il Passaggio a Nord-Ovest (NWP), una rotta che attraversa l’arcipelago canadese nel Mar Glaciale Artico costeggiando la Groenlandia, sfociando poi nello stretto di Bering, al confine tra Stati Uniti e Russia, e la Via del Mare del Nord (NSR), una rotta aperta dalla Russia negli anni Trenta e che può collegare i paesi scandinavi e i territori russi con l’Oceano Pacifico, sempre sfociando nello stretto di Bering. Secondo un rapporto dell’Arctic Council del gennaio 2024 il traffico navale dell’Artico è aumentato del 37% nell’ultimo decennio, anche perché rappresenta una via più corta di circa il 40% rispetto alla navigazione attraverso il Canale di Suez per i viaggi tra Europa e Asia orientale. La navigabilità delle rotte ha inoltre un impatto sul mercato della pesca, perché aumenta le aree accessibili ai pescherecci.
Per quanto entrambe le rotte rappresentino un risparmio sulle tempistiche, sono ancora alti i costi assicurativi, dovuti anche a condizioni meteorologiche che rimangono comunque difficili, così come rimangono elevate le spese per le imbarcazioni adatte alla traversata artica. Costi che si sommano alla presenza di infrastrutture limitate, spesso in assenza di porti e quindi di punti di rifornimento o assistenza. Per supplire alle carenze infrastrutturali la Federazione Russa ha riaperto negli ultimi anni più di cinquanta basi sovietiche nell’Artico, divenendo lo Stato con la più solida presenza nella regione e il principale attore nella trasformazione delle rotte artiche.
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In questo sviluppo la Russia ha trovato un alleato e un investitore nella Cina che nel 2018 ha adottato lo status di Near Arctic State pubblicando una strategia artica che sottolineava gli interessi nella regione artica di Pechino. Nella sua strategia il governo cinese ha previsto un programma di investimenti economici volti allo sfruttamento delle risorse e allo sviluppo delle rotte artiche e di investimenti nelle infrastrutture portuali e nelle navi rompighiaccio. La strategia è stata poi legata alla più ampia Belt and Road che potrebbe sfruttare le rotte artiche per ridurre i tempi di navigazione tra Cina ed Europa, sfruttando inoltre alcuni porti come hub logistici per i flussi commerciali tra Asia ed Europa. È in questo quadro che va letto l’interesse espresso dal 2018 dalla Cina nei confronti della Groenlandia.
Implicazioni per la difesa
Come sopra ricordato, la Groenlandia è già strettamente integrata nei dispositivi di difesa territoriale degli Stati Uniti, sia in chiave bilaterale che di accordi in ambito NATO. In particolare, l’isola è stata e continua ad essere una parte fondamentale negli approcci organizzativi militari cosiddetti A2/D2 (Anti-Access/Area Denial): strategie difensive che suddividono lo spazio in “bolle” volte ad impedire il raggiungimento di una zona strategica da parte del nemico (Anti-Access) e sugli ostacoli che possono essere imposti alla capacità di movimento del nemico qualora esso riesca a penetrare nel territorio alleato (Area Denial).
Tra le strategie A2/D2 rientra il GIUK Gap (acronimo di Greenland, Iceland, United Kingdom, ma sono coinvolti anche Stati Uniti, Isole Faroe e Danimarca), una zona strategica nata negli anni Cinquanta di controllo e monitoraggio dei movimenti navali e dei sottomarini sovietici che nell’Oceano Atlantico trovavano lo sbocco che gli avrebbe consentito, in caso di necessità, di colpire gli Stati Uniti con i missili balistici (SLBM). Il GIUK Gap vide diminuire parte della sua importanza strategica con l’aumento della gittata degli SLBM sovietici che consentiva ai sottomarini di poter rimanere vicino alle basi sulla penisola di Kola, nel nord della Russia. Ad oggi, il GIUK Gap sta tornando ad essere un’importante risorsa strategica nei confronti della Russia.
Nella sua funzione Anti-Access il GIUK Gap prevede un sistema di sorveglianza sonar e radar, basi per droni e velivoli per il pattugliamento e l’individuazione di imbarcazioni e sottomarini, così da garantire la difesa delle linee di comunicazione marittime e di rifornimento tra Stati Uniti, paesi UE e membri NATO. Al contempo, il GIUK Gap può contribuire al controllo delle rotte artiche ed è divenuto fondamentale per la protezione delle infrastrutture sottomarine critiche, come i cavi per le comunicazioni e gli oleodotti. Nella sua funzione Are-Denial il GIUK Gap, sfruttando la ramificata presenza di basi militari, può contribuire ad ostacolare la capacità di movimento della Russia. Infine, l’implementazione del GIUK Gap rappresenta un bilanciamento rispetto alle capacità A2/D2 sviluppate dalla Russia attorno ai propri confini.
Ulteriore componente delle strategie A2/D2 era la Dew Line (Distant Early Warning Line), una serie di stazioni radar, costruite dal Canada e dagli Stati Uniti e presenti anche in Groenlandia, tra il 1954 e il 1957 per monitorare i voli sovietici e i possibili attacchi missilistici verso il Nord America. La Dew Line è stata sostituita nel 1985 dal North Warning System (NWS), un sistema radar di sorveglianza e allerta situato lungo la parte settentrionale del Canda e dell’Alaska in grado di rilevare anche missili balistici velivoli a bassa quota.
Sia la Dew Line che il NWS sono sistemi di sorveglianza avanzata (Anti-Access) che si integrano con i sistemi di risposta militare tempestiva previsti in caso di attacco (Area Denial), sfruttando basi militari come quella di Pituffik in Groenlandia che diviene così uno snodo strategico per l’estrazione di materie prime, il controllo delle rotte artiche e nei sistemi di difesa volti a bilanciare l’espansionismo russo e cinese.