L’Europa e la questione energetica: un problema strategico
È stato abbastanza impressionante il fatto che il Cancelliere tedesco Olaf Scholz, in visita a Washington il 7 febbraio, sia stato molto vago sulla questione del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2, mentre Joe Biden diceva chiaramente che un attacco russo all’Ucraina avrebbe posto la parola fine al progetto.
Il passaggio è significativo, perché di fatto rivela una spaccatura non di poco conto nel fronte occidentale. Da una parte, infatti, ci sono quanti, tra gli alleati, pagheranno delle conseguenze serie a causa delle sanzioni a Mosca, e quanti invece non ne pagheranno. Berlino è decisamente nel primo gruppo, visto che il 40% del proprio fabbisogno è coperto dalle importazioni di gas naturale che vengono dalla Russia e le sue riserve strategiche non sono sufficiente e far dormire sonni tranquilli ai tedeschi. Come ben noto, l’Italia è in una situazione simile in quanto a percentuali di importazioni, e dunque di dipendenza.
Questo vuol dire una cosa molto precisa: se il fronte occidentale delle liberal-democrazie è debole nel fronteggiare le autocrazie è (anche) perché c’è una questione energetica non risolta. E la questione energetica non è risolta perché c’è una questione politica europea non risolta.
Per dirla diversamente, le questioni energetiche si risolvono in due modi: o hai le risorse naturali e tecnologiche che ti servono sul tuo territorio, o hai la forza militare per garantirti gli approvvigionamenti provenienti da altri territori. L’Europa non ha né l’una né l’altra cosa.
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L’Euratom, il lungimirante programma integrato di indipendenza energetica sul versante nucleare (la cui istituzione, non a caso, avviene contestualmente alla firma dei Trattati di Roma nel lontano marzo 1957) non ha oggi nessuna voce. Per la cronaca, l’organizzazione è tuttora in vigore, con personalità giuridica distinta dalla UE pur condividendone le istituzioni di governance. Così, l’Unione non è affatto indipendente dal punto di vista energetico e la debolezza di un Paese si ripercuote su tutti gli altri, come il caso tedesco dimostra palesemente in queste settimane.
D’altro canto, non avendo costruito uno strumento militare comune, l’Europa non ha la forza militare per garantirsi gli approvvigionamenti che le servono. Non a caso, la “dottrina Carter” (idea dell’allora National Security Adviser, Zbigniew Brzezinski), annunciata dal presidente americano nel 1980, considera un attacco in Medio Oriente (in particolare agli impianti nel Golfo Persico) come un attacco alla sicurezza nazionale americana. Non esiste un corrispettivo europeo di quella dottrina, anche se i flussi energetici dal Golfo Persico si dirigono in primo luogo verso il Vecchio Continente e il Giappone. Per dirla diversamente, per Washington il Medio Oriente era (ed è tuttora) una priorità strategica perché tiene in piedi gli altri due grandi poli dell’economia globale.
Ecco allora il cane che si morde la coda: la debolezza politica ha impedito ai Paesi europei di porre mano alla questione energetica e militare; il che espone l’Europa alle minacce russe, per difendersi dalle quali non può che fare affidamento sugli Stati Uniti, accentuando così ancora di più il suo nanismo politico.
Se così stanno le cose, allora si può concludere con una certa convinzione che, a differenza di quanto sosteneva il buon Robert Kagan, gli europei non vengono né da Venere né da Marte, ma semmai dalla Luna.
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Stroncature.com il 12/02/2022