Le riforme dall’alto e il patto saudita-wahhabita che ancora regge
Le donne saudite hanno infine ottenuto il volante. Dagli anni ‘90, diverse attiviste hanno pagato a caro prezzo i loro rally fatti clandestinamente, ma grazie al decreto reale dello scorso settembre, dal 24 giugno guidare è legale anche per le donne.
Segno della modernizzazione dall’alto in corso nel Paese, guidata dal principe ereditario Mohammed Bin Salman, MBS, che ha messo nero su bianco tutti i suoi piani nella Saudi Vision 2030. Un progetto realmente visionario che punzecchia l’élite religiosa. Negli ultimi anni i wahhabiti, gli ortodossi che monopolizzano l’Islam in Arabia, si sono visti ridimensionati il loro potere. In strada, ad esempio, non si vede più la muttawa – la polizia religiosa che girava per vigilare sulla virtuosità dei comportamenti dei cittadini. Lentamente privati dei loro poteri, i religiosi temono quindi che Mbs voglia rompere il patto con il clero sul quale si fonda la storia dell’ultimo regno saudita. Ma può davvero farlo?
L’accordo tra il clero wahhabita e gli Al-Saud dura da oltre 250 anni ed è appunto alla base della nascita dell’ultimo regno saudita e della sua legittimazione. Muhammad Ibn Abd al-Wahhab era un religioso islamico dalla regione del Nejd che predicava il ritorno all’Islam più puritano, proprio negli anni in cui Mohammed Ibn Saud governava sull’area di Al-Diriya – oggi un sobborgo di Riad. Nel 1744 Al-Wahhab arrivò a Al-Diriya alla ricerca di protezione da parte di Ibn Saud e fu così che i due si allearono, dividendosi poteri e responsabilità: a Ibn Saud quello temporale e ad Al-Wahhab quello spirituale. L’alleanza si è tramandata da un re all’altro; il clero ha legittimato il potere degli Al-Saud e loro hanno garantito protezione ai religiosi che hanno svolto la loro funzione soprattutto nella Commissione per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio, ma anche all’interno del Ministero dell’Educazione e del Ministero degli Affari Islamici.
Per rispondere al quesito iniziale, è anche utile ricordare che cosa è accaduto nel 1979, l’anno della rivoluzione iraniana dalla quale è partito quel revival islamico che ha portato nel Regno misure radicali, come la chiusura dei cinema e l’introduzione del mahram, la figura del guardiano maschile che deve autorizzare le donne a fare una serie di cose. Nella storia saudita, il 1979 è anche l’anno in cui un gruppo di wahhabiti particolarmente radicali sequestrò la moschea di La Mecca, prendendo in ostaggio centinaia di pellegrini, in nome dell’arrivo di un nuovo redentore dell’Islam. L’assedio fu rotto due settimane dopo dalla polizia saudita, e furono contati 127 morti.
L’evento venne interpretato non solo come la cartina tornasole delle difficoltà dei reali di proteggere il luogo più sacro all’Islam, ma anche come il segno dell’instabilità che il regno stava attraversando. Solo quattro anni prima infatti, re Faisal era stato assassinato da un suo nipote, dopo aver implementato una serie di misure di modernizzazione, tra le quali il lancio della prima emittente televisiva e la promozione dell’educazione femminile. Per rispondere alla crisi, la casa saudita decise di tornare sui suoi passi, bloccando l’enfasi modernizzatrice di re Faisal e imponendo un rigido codice di condotta che introduceva misure come la chiusura dei locali pubblici durante i cinque momenti giornalieri di preghiera e l’esclusione delle donne dalla vita pubblica del Paese.
Anche se già re Abdullah, nel 2010, aveva emanato un decreto che autorizzava a proclamare le fatwa solo “religiosi certificati”, è con l’arrivo di re Salman e la consacrazione di suo figlio Mohammed come delfino designato che vengono adottate misure più innovative e di rottura. Nell’aprile 2016, la Commissione per la promozione della Virtù e la prevenzione del Vizio viene privato dei poteri di arresto, frenando le sue funzioni di polizia. Cinque mesi più tardi, il re nomina persone di convinzioni più moderate all’interno del più influente organo religioso del Paese. Da quando poi la casa regnante ha iniziato a investire su intrattenimento e divertimento, il clero ha dovuto digerire decisioni come la riapertura dei cinema, la permissione dei concerti e l’entrata delle donne (in settori comuni) in stadi dove si svolgono sport maschili.
Fino ad ora quindi, il clero sembra aver avallato – pur controvoglia – la modernizzazione dall’alto perseguita dei reali, segno che gli Al-Saud sono il partner più forte della relazione sulla quale si basa l’equilibrio del Paese. A mostrarlo anche il sostegno che l’establishment religioso ha garantito a quella che Mbs ha presentato al mondo come la più grande retata anti-corruzione della storia del Paese – con arresti eccellenti nel novembre 2017. La perdita di autorità da parte del clero è poi in linea con una più generale tendenza in corso nelle monarchie del Golfo.
Tuttavia, questa modernizzazione saudita che sembra inarrestabile non tocca la base della struttura del potere. Ad esempio, il sistema legale continua ad operare nell’ambito della legge islamica, fonte ultima della legislazione in Arabia Saudita. In termini semplificati, rompere il patto saudita-wahhabita significherebbe anche rivedere l’interpretazione tradizionale della legge, pensando di codificarla, piuttosto che affidarsi ai giudici per interpretarla. Altra questione è quella dell’apertura agli stranieri e quindi al turismo, tema sul quale si aspettano novità forse addirittura entro fine anno ma che resta particolarmente delicata, proprio perché al centro del purismo wahhabita.
Per capire che ruolo avrà il clero wahhabita, bisogna infine ricordare che le politiche di Mbs si rivolgono e fanno presa sui giovani, persone che non hanno la chiave del potere – del resto, in Arabia Saudita si vota solo per le elezioni municipali. E anche se i media ufficiali non ne danno notizia, diversi religiosi anziani non digeriscono la propria emarginazione. Se vogliono scongiurare un’evoluzione simile a quella del ’79, re Salman e suo figlio non potranno forzare ora la mano. I religiosi, se così la casa reale vorrà, saranno depotenziati con pazienza, ma per ora il patto reggerà, almeno fino al prossimo cambiamento generazionale.