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Le opzioni realistiche per la difesa europea

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Delle due questioni che dividono i partiti italiani, e correnti all’interno dei due partiti maggiori, solo una rappresenta un vero dilemma di grande portata per la sicurezza e l’economia dell’Italia e per il suo ruolo fra i paesi-guida dell’Europa: il rafforzamento della difesa.

 

L’altra, riguardante i “boots on the ground” in Ucraina, è un falso problema. L’invio di una forza di interposizione capace di opporsi ad una nuova invasione russa è un’opzione puramente teorica, dato che verrà categoricamente esclusa da Mosca nel corso dei negoziati di armistizio. Nel migliore dei casi si potrà discutere di una peacekeeping operation sotto bandiera ONU (modello: l’UNIFIL in Libano); ammesso che Mosca finisca per dare il suo consenso, è molto difficile che accetti la partecipazione di militari di Paesi NATO. Più probabile è che non vada oltre una missione di osservatori gestita dall’OSCE, come dopo gli accordi di Minsk del 2014: non certo una garanzia contro una massiccia di invasione.

Sul rafforzamento della nostra difesa, come sempre quando si discute di guerra o pace, di resistenza o rassegnazione di fronte alla prepotenza del più forte, di sicurezza o benessere, entrambe le posizioni sono difendibili e le spaccature inevitabili.

Tuttavia, chi respinge l’adagio “si vis pacem para bellum” evocato da Ursula von der Leyen deve domandarsi se la famosa dichiarazione di Vladimir Putin sulla dissoluzione dell’Unione Sovietica (“la più grave catastrofe geopolitica del secolo XX”) è stata solo una boutade. Vediamo i fatti. Ammesso che la spedizione punitiva del 2008 contro la Georgia fosse giustificata dalla mossa avventata del presidente Saakashvili contro la Sud-Ossezia;  ammesso anche che la Crimea fosse un “caso sui generis”, e persino che l’aiuto ai ribelli del Donbass nel 2014 sia stato provocato dall’ondata di nazionalismo antirusso nel Parlamento di Kiev, non si può comunque ignorare il revisionismo territoriale che ispira l’azione di Putin nel cosiddetto “estero vicino”, alla luce di quanto abbiamo visto negli ultimi quattro anni: il suo articolo del luglio 2021, in cui negava l’identità dell’Ucraina come nazione; il tentativo di marciare sulla capitale di quel Paese nel 2022; l’annessione delle quattro regioni (comprese le porzioni non ancora occupate) nel settembre dello stesso anno; gli attacchi su Kharkiv (seconda città del Paese) e Odessa.

 

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Ci si deve anche domandare se la neutralità disarmata sia il modo migliore per indurre una potenza revisionista ad astenersi da pressioni militari e a disarmare a sua volta. La storia del secolo XX sembrerebbe indicare il contrario.

Il concetto di deterrenza fa venire i brividi a molti perché vi si associa quello di Mutual Assured Destruction (MAD) che è alla base dello spiegamento di armi strategiche delle grandi potenze. Va peraltro constatato che quel meccanismo ha funzionato per tutta la durata della “guerra fredda”. Ma la dissuasione non riguarda solo le armi nucleari. Per dissuadere un avversario dal tentare una avventura militare non è necessario armarsi tanto da poter sperare in una vittoria, ma piuttosto quanto basta a rendere troppo costoso e di esito incerto un attacco che si ritiene non improbabile. Il criterio è non la parità, ma la sufficienza.

Attualmente, le forze che i Paesi europei “volenterosi” sarebbero in grado di mettere in campo per dissuadere la Russia dall’aprire una crisi con uno dei paesi baltici non sono sufficienti. Il riarmo propugnato dalla Presidente von der Leyen mira a rendere credibile l’impegno dell’articolo 5 del Patto Atlantico anche nel persistere del disimpegno USA, e quindi a scongiurare – e non aumentare – il rischio di uno scontro militare.

Il tentativo di sfuggire al dilemma fra dissuasione e pacifismo con una fuga in avanti verso il mitico esercito unico di un’Europa federale può apparire seducente: una Federazione Europea con 400 milioni di abitanti, con forze armate proprie e senza diritto di veto dei singoli membri può ben essere un contrappeso più credibile che una serie di Paesi sovrani pronti a sganciarsi dagli impegni comuni se non direttamente minacciati. Sappiamo purtroppo che in un futuro prevedibile questa è un’utopia.

Ma questa utopia non è l’unica alternativa al rassegnarsi ad essere alla mercè del buon volere delle tre super-potenze (la terza essendo ovviamente la Cina). In attesa di un esercito dell’Unione, che comunque non sostituirà mai del tutto quelli nazionali, il meccanismo per uno stretto coordinamento c’è, ed è la NATO, con il suo duplice quartier generale, politico e militare, in Belgio. Continuerà ad esistere con o forse anche senza (improbabile) gli Stati Uniti.

Si tratta di adattare quelle strutture e le forze disponibili a situazioni in cui l’America dovesse chiamarsi fuori, quindi produrre più armi, sì, ma soprattutto sviluppare una autonomia europea in tutti quei settori in cui a lungo ci siamo affidati agli Stati Uniti: intelligence, reti satellitari, sorveglianza aerea, cyber war, eccetera.

 

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Le decisioni politiche su questa aumentata preparazione militare, data la necessità di andare avanti senza i Paesi recalcitranti e di associare la Gran Bretagna, saranno prese non dalle istituzioni comunitarie, ma dalla “coalition of the willing” a guida franco-britannico-tedesca. Per quanto riguarda i Paesi UE, i mezzi finanziari necessari, sia per queste attività comuni che per il rafforzamento degli apparati militari nazionali, verranno forniti in buona parte dal piano proposto (non deciso!) da Ursula von der Leyen. In caso di veti da parte dell’Ungheria e di altri, il Fondo ad hoc potrà essere creato con la formula delle “cooperazioni rafforzate”.

Questa autonomia della difesa europea deve essere sviluppata senza dare per scontato che Washington volti le spalle in qualsiasi situazione agli (ex) alleati europei, o addirittura si allei contro di loro con una delle due altre super-potenze. Anzi, quando l’Europa si sarà messa in regola con il burden-sharing, verrà meno la principale ragione dell’ostilità di Trump e l’America tornerà forse ad una visione più tradizionale e più razionale dei suoi interessi geopolitici.