Le monarchie del Golfo e il controllo delle “porte dell’Africa”
Dopo la corsa al Sudan, ecco che le monarchie del Golfo Persico si affacciano alla seconda “porta dell’Africa”: gli Emirati Arabi Uniti (EAU) e l’Arabia Saudita stanno incrementando le relazioni diplomatiche, commerciali e di sicurezza con la Mauritania. Tale dinamica può diventare un game-changer, più che per gli equilibri del Golfo, per i rapporti tra Abu Dhabi, Riyad e i loro alleati nordafricani, Marocco in primis.
Per posizionamento geografico e composizione etnico-confessionale, la Mauritania è una cerniera naturale tra Magreb e Sahel, mondo arabo e mondo africano. Per il suo territorio e per le sue coste, da secoli, si accede al cuore del continente africano, e si collegano tre stati-chiave della regione – anche per gli interessi emiratini e sauditi: Mali, Algeria e Libia.
L’attivismo degli EAU e dell’Arabia Saudita in Africa Occidentale non è certo un fenomeno nuovo, né lo è l’esportazione della competizione con Iran, Qatar e Turchia anche in questa porzione d’Africa. Qui la rivalità è stata finora meno accesa che in Africa Orientale, dove il Sudan del dopo-Omar al-Bashir è diventato il perno della penetrazione geopolitica emiratina e saudita nell’area. Il 2020 invece vede un’accelerazione anche sul fronte occidentale dell’Africa.
Il presidente della Mauritania Mohamed Ould Ghazouani, eletto nel 2019, ha compiuto la sua prima visita di stato proprio negli Emirati Arabi, incontrando il principe ereditario di Abu Dhabi nonché vicecomandante supremo delle forze armate Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il 2 febbraio scorso. Durante l’incontro, gli Emirati Arabi hanno annunciato lo stanziamento di 2 miliardi di dollari per investimenti e progetti di sviluppo in Mauritania, dove è stata creata una commissione apposita per il monitoraggio dei fondi. Il 26 febbraio scorso, Ghazouani si è poi recato in Arabia Saudita per incontrare re Salman bin Abdulaziz Al Saud. I quattro memorandum d’intesa firmati da mauritani e sauditi riguardano anche cooperazione culturale, servizio civile e addestramento tecnico.
D’altronde, non si tratta di qualcosa di assolutamente nuovo. Già nel 1970 gli EAU, che da poco avevano scoperto il petrolio e avviato la modernizzazione, guardavano con attenzione alla Mauritania: Shaykh Zayed bin Sultan Al Nahyan compiva proprio quell’anno una storica visita di stato nel paese. Un viaggio preceduto da finanziamenti emiratini per la costruzione di una strada lunga più di 1200 chilometri.
I vettori della cooperazione tra Mauritania, Emirati Arabi e Arabia Saudita sono almeno tre: infrastrutture portuali, riserve di gas naturale e di minerali, lotta al terrorismo di matrice jihadista. La costa occidentale della Mauritania si affaccia sull’Oceano Atlantico: lo sviluppo dei porti mauritani (Africa Finance Corporation ha appena investito nella modernizzazione del porto della capitale Nouakchott) permetterebbe una notevole proiezione commerciale e strategica, anche per le monarchie del Golfo, fra Mar Mediterraneo, Golfo di Guinea e America Latina, in un’area ancora carente di collegamenti.
L’osservato speciale è il porto di Nouadhibou, al confine con il Sahara Occidentale, già oggetto di progetti di espansione per la creazione di una Free Trade Zone. Nel 2019, British Petroleum (BP) ha scoperto ingenti risorse gasifere off shore in Mauritania: alcune sono condivise con le acque territoriali del Senegal, come il campo gasifero di Grand Tortue-Ahmeyim.
Al di là del tema delle concessioni esplorative, emiratini e sauditi potrebbero fare qui la differenza in termini di expertise per lavorazione e distribuzione. Nel febbraio scorso, proprio il presidente del Senegal Macky Sall ha incontrato Mohammed bin Zayed ad Abu Dhabi. Una visita di stato che ha ribadito gli investimenti degli EAU nei settori chimico, petrolchimico e dei metalli preziosi; l’industria estrattiva è alla base anche dell’economia della Mauritania, paese con giacimenti di oro, ferro e rame. Tra i vari accordi firmati, spiccano quelli su cooperazione militare e anti-terrorismo, nonché in tema di educazione.
Nella strategia di Abu Dhabi e Riyad, la Mauritania è poi un alleato prezioso per la lotta al terrorismo jihadista e, più in generale, per la repressione dell’Islam politico, inviso soprattutto agli emiratini. In questo senso, Ghazouani – come il consiglio di transizione del Sudan guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan – è la sponda ideale per il raggiungimento degli obiettivi di Emirati Arabi e Arabia Saudita in Africa. Già Ministro dell’interno, Ghazouani guida infatti un governo ostile e repressivo verso i movimenti che simpatizzano per la Fratellanza Musulmana e in cui le relazioni civili-militari sono fortemente sbilanciate a favore delle forze armate.
Di recente, la politica estera della Mauritania si è sempre più allineata alla diade saudita-emiratina: un trend già avviato da Mohammed Ould Abdelaziz, il predecessore dell’attuale presidente. Il Paese è infatti parte della Coalizione araba che interviene in Yemen dal 2015, sebbene Nouakchott avrebbe solo messo a disposizione, ma non inviato truppe. Nel 2017, la Mauritania ha interrotto i rapporti diplomatici con il Qatar imitando le scelte politiche del “Quartetto” (EAU, Arabia, Bahrein ed Egitto). Nel 2018, ha convocato per proteste l’ambasciatore dell’Iran, lamentando il crescente proselitismo sciita tra la popolazione mauritana. Non è allora casuale che Mohammed bin Salman Al Saud, principe ereditario e ministro della Difesa saudita, abbia fatto tappa in Mauritania (dicembre 2018) nel corso del suo primo e finora unico tour nella regione.
Anche sul fronte della cooperazione militare la relazione fra EAU e Mauritania si è fatta più stretta: una delegazione di militari emiratini ha visitato il paese africano nel gennaio scorso. Emiratini e sauditi sono tra i principali finanziatori del “G5 Sahel” (Riyad ha promesso 100 milioni di dollari, Abu Dhabi 30 milioni di dollari), il network di cooperazione regionale di sicurezza cui aderiscono Mauritania, Mali, Burkina Faso, Ciad e Niger. Proprio gli EAU stanno finanziando la creazione di un’accademia militare per il G5 Sahel a Nouakchott. Più volte, gli Emirati Arabi hanno smentito l’installazione di una base aerea in Mauritania, vicino al confine con Mali e Algeria (in precedenza, Abu Dhabi aveva negato la presenza di una base militare nel Niger).
Nel gennaio 2019, un mese dopo la visita del principe bin Salman, il parlamento della Mauritania ha approvato un accordo di cooperazione militare anche con i sauditi, imperniato su lotta al terrorismo e al crimine organizzato. Di certo, il posizionamento geografico – insieme alla relativa stabilità odierna, alle necessità finanziarie nonché alla convergenza di orientamento politico tra i due governi – rendono la Mauritania un candidato ideale a ospitare una base militare degli Emirati Arabi.
Tuttavia, c’è un paese, tradizionale alleato delle monarchie del Golfo, che mal sopporta l’accresciuto attivismo geopolitico di EAU e Arabia Saudita in Africa Occidentale: il Marocco. La Mauritania, che confina a nord con il Sahara Occidentale, è infatti nella sfera d’influenza marocchina. Per esempio, nonostante Riyad abbia finanziato scuole salafite in Mauritania, incentivando gli scambi culturali fin dagli anni Sessanta, l’Africa occidentale e anche Nouakchott sono al centro della diplomazia religiosa di Rabat. In Mauritania come nel resto del quadrante, i sauditi hanno costruito moschee e organizzato la formazione degli imam all’Islam moderato (ovvero scuola di giurisprudenza malikita dell’Islam sunnita e tradizione sufi), come accade nel vicino Mali.
Proprio nel 2019, Marocco e Arabia Saudita hanno vissuto tensioni diplomatiche insolite, con Rabat più che irritata da un reportage di Al Arabiya, emittente televisiva emiratina, in cui si metteva in discussione la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale. Inoltre, l’interesse di emiratini e sauditi per lo sviluppo delle infrastrutture marittime mauritane (su tutte, il porto di Nouadhibou) è stato percepito dal Marocco come una sfida diretta ai suoi progetti portuali, fra cui spicca l’hub atlantico di Tangeri. ln questo clima di diffidenza, il Marocco ha richiamato in patria l’ambasciatore a Riyad, tornato nella capitale saudita solo due mesi dopo, grazie a un intervento di mediazione diretta di re Salman. E ha ritirato – con una mossa di effetto soprattutto simbolico – la sua presenza militare in Yemen, all’interno della Coalizione anti-huthi, già ridotta nel 2018 con il ritiro degli aerei da combattimento.
La Mauritania a ovest e il Sudan a est del continente rappresentano le “porte dell’Africa”: ovvero le rotte d’ingresso e di uscita dei flussi commerciali, umani e culturali tra l’Africa mediterranea e quella continentale. Da sempre, Marocco ed Egitto, tradizionali alleati di Emirati Arabi Uniti e Arabia Saudita, considerano Mauritania e Sudan aree di proiezione strategica diretta. Adesso, emiratini e sauditi guardano alle due “porte” con quella stessa prospettiva. Il livello di dipendenza e/o interdipendenza economica dei governi di Marocco ed Egitto con le monarchie del Golfo può facilitare l’ascesa saudita-emiratina in Mauritania e Sudan. Nonostante ciò, le tensioni possono essere dietro l’angolo, come già accaduto fra Rabat e Riyad.