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Le guerre di Bolsonaro al tempo del coronavirus

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In Brasile sono in atto da due mesi quattro “guerre” senza esclusioni di colpi figlie delle crisi, sociale ed economica, causate dal coronavirus.

La prima per il controllo dei vertici della Polizia Federale con il presidente: Jair Messias Bolsonaro ha fatto di tutto, riuscendoci, per cambiarne i vertici sacrificando sull’altare di questa guerra il giudice Sergio Moro, fino a due mesi fa superministro di Giustizia del suo governo e simbolo della lotta contro la corruzione. Poi, quella tra generali, un contrasto destinato a influire secondo molti analisti sulle sorti giudiziarie del presidente ma, soprattutto, dei suoi figli, coinvolti in una serie di problemi giudiziari. E ancora, il conflitto tra medici favorevoli e contrari all’uso nella terapia anti-coronavirus dell’idrossiclorochina, su cui Bolsonaro ha spinto come Donald Trump per mesi. Infine, proprio come in Italia, ci sono tensioni tra il governo centrale guidato dall’ex militare e le regioni – qui le chiamano stati, in un sistema tecnicamente federale – guidate dai governatori.

Sullo sfondo, infine, c’è la corruzione legata alle commesse sanitarie in funzione anti-Covid e ben 33 richieste di impeachment contro Bolsonaro (più di quelle contro l’ex presidente Dilma Rousseff); al momento, ma le cose potrebbero cambiare nei prossimi mesi, conta su un numero sufficiente di parlamentari per evitare di essere cacciato dal palazzo del Planalto.

Sul fronte strettamente sanitario, sono mutate parecchie cose nel gigante sudamericano rispetto alla fine di aprile quando i morti da Covid-19 erano meno di 5mila e il ministro della Salute era Nelson Teich, un oncologo di chiara fama che lo stesso Bolsonaro aveva scelto al posto dell’ottimo Luiz Henrique Mandetta, mandato via dal presidente perché a suo dire troppo a favore del lockdown.

Da allora la pandemia è esplosa e, a fine giugno, i decessi registrati sono quasi 60mila. Nel mentre anche Teich se n’è andato perché, per sua stessa ammissione, non ha voluto firmare un protocollo a favore dell’uso terapeutico dell’idrossiclorochina, uno dei cavalli di battaglia di Bolsonaro. Al suo posto il presidente ha scelto per guidare il Ministero della Salute, Eduardo Pazuello, un generale che si aggiunge ai tanti già presenti nel suo esecutivo.

Eduardo Pazuello, il nuovo ministro della Salute del Brasile

 

Resta il fatto che, anche se in valore assoluto i decessi da Covid-19 sono più che decuplicati negli ultimi due mesi in Brasile, il numero dei morti per milione di abitanti, 271, è inferiore a quello di paesi come il Perù, 283, dov’è stato invece imposto un confinamento molto rigido e vigente ancora oggi, dopo quasi 4 mesi. Oppure come il Cile, 288, che ha invece scelto una via intermedia.

In realtà in Brasile la struttura federale consente ai governatori e ai sindaci delle città di fare lockdown senza passare per il presidente i cui poteri, in materia Covid19, sono di fatto stati contenuti sia dalla Corte Suprema che dal Parlamento. Quasi nessuno, in realtà, vuole la “chiusura totale” perché, avendo ben presente l’esempio dell’Italia e tenendo a mente le parole dell’ex ministro della Salute Mandetta “chiudere è facile, il difficile è poi come e quando riaprire” – c’è un grande timore che alla crisi sanitaria si possa aggiungere una devastante crisi economica. Che naturalmente è già presente – Goldman Sachs ha tagliato da -3,4% a -7,4% le stime sul PIL brasiliano per il 2020 – ma potrebbe diventare catastrofica come ad esempio in Perù, dove si prevede un crollo del 20%. Non a caso il Parlamento di Rio, con 10mila vittime lo stato più colpito dopo quello di San Paolo, che ne ha registrate 15mila, ha recentemente votato contro il lockdown a larghissima maggioranza, 55 i voti contrari alla chiusura totale, 13 gli astenuti e un solo voto a favore.

Grazie al federalismo, dunque, il Brasile ha adottato e adotta chiusure più o meno rigide a seconda delle zone (ci sono lockdown in città di 11 stati su 26 e quarantene e obbligo di mascherina ovunque) ma, come spiegato da Edward Luttwak, il Covid-19 è “il virus della verità” per la tenuta dei vari Paesi, nessuno escluso. Naturalmente il Brasile non fa eccezione e torna alla luce quella che è stata uno dei principali elementi di continuità sin dall’epoca della colonizzazione, ovvero la corruzione.

Dal 26 maggio scorso, infatti, con l’”operazione Placebo” della Polizia Federale, è ufficialmente iniziato il Covidão, un gergo che sta per “tangenti da coronavirus” e che fa riferimento al primo scandalo dell’era Lula, quello del Mensalão, il “mensile” il partito di Lula passava ai deputati alleati in parlamento per ricompensare la loro fedeltà, caso chiuso con 24 condanne da parte della Corte Suprema. Si aggira insomma sul Brasile lo spettro di una seconda Mani Pulite, legata questa volta non alle tangenti miliardarie delle multinazionali Odebrecht, Petrobras, OAS ma alla corruzione “figlia del Covid-19”.

Le inchieste sul Covidão già si estendono in sette stati brasiliani e riguardano affari per un valore di quasi 200 milioni di euro

 

Una serie di perquisizioni è stata fatta nelle scorse settimane negli uffici e a casa del governatore di Rio, l’ex giudice Wilson Witzel. Uno che nel 2018 era stato grande alleato di Bolsonaro – fu lui a dire di “sparare in favela con cecchini a chi aveva un fucile” – ma che oggi, proprio come il governatore di San Paolo, Joao Doria, è uno dei più acerrimi nemici del presidente. E’ accusato di avere lucrato sull’assegnazione della costruzione di due ospedali da campo, per un costo totale di 835 milioni di reais (l’equivalente di circa 120 milioni di euro), entrambi non ancora consegnati. A fare da tramite l’istituto privato Iabas, al centro dell’operazione di polizia che coinvolge anche i governatori dello stato di Amazonas, Wilson Lima, e del Pará, Helder Barbalho, accusati di sovrafatturare il prezzo di respiratori. Presto, al centro dell’inchiesta potrebbero finire addirittura il sindaco di San Paolo, Bruno Covas e il governatore paulista Joao Doria, affidatisi anche loro senza gara d’appalto allo Iabas per costruire un ospedale da campo.

Insomma, il Covid-19 non è solo un’opportunità per le organizzazioni criminali di aumentare il loro “capitale sociale” nelle favelas (dove per decisione della giustizia da due mesi non possono più essere fatti raid della Polizia per motivi sanitari), ma anche un’occasione unica per governanti e imprenditori per disporre “a piacere” di milioni extra di denaro pubblico, elargito quasi senza controlli. Insomma, il tintinnio delle manette potrebbe presto tornare a “governare” la politica brasiliana ed è probabile che la pandemia – anche perché la curva sembra cominciare a calare – passi perfino in secondo piano.