Le derive antidemocratiche nel contesto della pandemia
Conversazione con Kim Lane Scheppele – a cura di Matteo Laruffa e Alessandro Strozzi
Kim Lane Scheppele è la Professoressa di Sociologia e Affari Internazionali “Laurance S. Rockefeller” alla Woodrow Wilson School e allo University Center for Human Values della Princeton University. Scheppele è esperta di sistemi autoritari e del sistema politico-istituzionale ungherese.
Matteo Laruffa è Dottore di Ricerca all’Università LUISS di Roma. Di recente, ha trascorso un semestre come ricercatore alla Università Humboldt di Berlino, e un anno come Visiting Fellow all’Università di Harvard. Laruffa ha dato lezioni e presentato lavori di ricerca in molte università e istituti di ricerca in tutto il mondo, in Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna, Stati Uniti e Ungheria.
Alessandro Strozzi, Aspen Junior Fellow e giovane professionista esperto di relazioni istituzionali, si occupa di relazioni transatlantiche e affari strategici. Laureato in Giurisprudenza, studia presso il “Master of Arts in international public affairs” della LUISS School of Government. E’ membro della Fondazione Luigi Einaudi e alunno della Scuola di Politiche.
Nell’ultimo decennio abbiamo assistito a una tendenza al declino della libertà e della democrazia in molti paesi. La crisi pandemica da cui non siamo ancora usciti ha determinato nuove e necessarie misure di sicurezza, spesso accusate di essere strumento di ingerenza nella vita dei cittadini. Lei si aspetta che lo shock della pandemia da virus Covid-19 abbia accelerato una generale crisi della democrazia?
Da quello che abbiamo visto finora, il coronavirus ha avuto e continua ad avere effetti diversi in diverse regioni del mondo. In paesi come gli Stati Uniti e il Brasile, il virus ha messo in luce l’incompetenza del modello del “leader forte”, considerando che le decine di migliaia di vittime sono un dato difficilmente manipolabile a vantaggio di un leader. Donald Trump e Jair Bolsonaro stanno infatti perdendo la fiducia popolare. Al contrario, in altri paesi come l’Ungheria e la Polonia, il virus ha dato l’opportunità all’ambizione dei rispettivi leader di conquistare nuovi poteri e di costruire sistemi con tratti autoritari. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán e il capo del partito polacco Diritto e Giustizia Jarosław Kaczyński stanno avendo grande successo. Nonostante ciò, lo shock mondiale è stato tale da rendere ancora ad oggi complesso individuare una tendenza univoca nella politica e nelle politiche. Forse l’unica cosa che possiamo affermare con certezza è che il virus indubbiamente esacerberà i problemi esistenti nelle democrazie contemporanee.
C’è una tendenza che più di altre desta la mia preoccupazione. Ovunque il virus ha avuto effetti devastanti nelle più grandi metropoli ed in generale nelle aree maggiormente abitate, piuttosto che nelle zone rurali. Il virus si è manifestato in tutta la sua forza – in particolare modo nella mortalità – nelle aree nazionali più connesse al sistema globale delle catene del valore e del commercio internazionale, in quanto nodi nevralgici attraversati da merci e persone. Tali cesure geografiche non sono solo di natura virale, ma vi sono anche divisioni politiche.
Ad esempio, il sostegno per gli autocrati e gli anti-democratici è assicurato dalle zone meno colpite dal virus, come quelle rurali, abitate da cittadini meno proiettati nella dimensione internazionale, poco propensi a viaggiare all’estero. Al contrario, i cosmopoliti dei grandi centri urbani si pongono in una forte opposizione alle tendenze autoritarie. Tale divario geo-politico ha come minimo comune denominatore la convinzione dei cittadini meno colpiti dal virus che tutto ciò che riguardi la pandemia non rappresenti altro che mere “fake news”.
Detto ciò, man mano che il virus si diffonde determina in ogni nazione delle faglie di disuguaglianza all’interno del tessuto sociale. I cittadini meno abbienti e tutelati risultano i più colpiti ed afflitti dalla crisi. Questi ultimi, per cambiare questa nefasta prospettiva politica, dovranno rendersi protagonisti di una rinnovata alleanza con i cosmopoliti delle grandi città, per realizzare una coalizione democratica in grado di sconfiggere gli aspiranti autocrati appoggiati dalle aree rurali. È nostra responsabilità osservare attentamente le reazioni della cittadinanza per comprendere il futuro delle autocrazie elettive o delle democrazie con tendenze autoritarie. Il coronavirus, determinando politiche differenziate a seconda delle aree colpite, può davvero portare a cambiamenti notevoli.
La transizione democratica (e il suo collasso) sembrano essere conseguenza diretta del fallimento degli Stati nell’affrontare le crisi che li attraversano. Pensa che alcuni modelli politici subiranno una trasformazione che metta a rischio la loro tenuta democratica, per colpa della crisi attuale?
Il coronavirus porterà a molti cambiamenti a livello globale, ma ad oggi siamo solo agli inizi. Ritengo che l’evoluzione dei sistemi politici dipenderà dalla capacità dei leader nella gestione della crisi epidemica. Alcuni paesi – ad esempio alcuni di dimensioni ridotta – sono stati in grado di contenere il virus nel breve periodo. In questi casi la pandemia non determina la sconfitta di chi governa se il leader si rende interprete di una coerente strategia di comunicazione e un’azione forte ed immediata. Il destino di ogni leader dipenderà ancora di più dalla sua consapevolezza nella gestione delle gravi conseguenze economiche della pandemia.
Alla data in cui il coronavirus ha fatto la sua comparsa, il mondo si è presentato come un sistema estremamente connesso ed interdipendente a livello economico. Per parecchio tempo è sembrato che tutte le mascherine fossero prodotte in Cina e che fosse impossibile reperirne abbastanza altrove! Ora i paesi possono decidere di rendersi più economicamente autosufficienti di quanto non lo fossero in passato – e i cambiamenti saranno sostanziali. Tra dieci anni le economie nazionali potrebbero assumere un aspetto molto diverso da quello pre-Covid-19. Ogni volta che un paese attraversa momenti di grande cambiamento come quelli attuali, si determinano all’orizzonte shock politici dal potenziale rivoluzionario. Molti paragonano la fase che stiamo attraversando al periodo intercorso tra le due grandi guerre del XX secolo, quando agli effetti della dissoluzione dei grandi imperi continentali si è aggiunta una grave crisi economica. Le conseguenze non sono state per niente positive nelle aree più colpite da entrambi i fattori. La speranza è quella di essere finalmente in grado di imparare dalla storia prima che essa si ripeta.
In alcuni paesi, i governi hanno fatto uso di poteri emergenziali per adottare atti normativi che aggirano i parlamenti nazionali. Come possono i governanti sfruttare poteri straordinari per attentare ai sistemi democratici in modo permanente? Dobbiamo dirigere la nostra attenzione verso specifiche istituzioni, decisioni o politiche? Quali sono gli strumenti per prevenire possibili abusi di potere?
La pandemia ha quasi necessariamente imposto il ricorso all’uso di poteri emergenziali. In quale altro modo un governo può garantire che i cittadini rimangano a casa, smettano di viaggiare, di riunirsi in gruppo e che le risorse mediche diventino prioritarie e prontamente mobilitate? Queste ed altre misure sono necessarie per garantire il controllo della diffusione del virus – e indubbiamente richiedono l’uso di poteri di emergenza. In tutto il mondo, abbiamo fatto un uso senza precedenti di misure restrittive per gestire il virus. Ma per quanto il virus sia invisibile, è ben chiaro che cosa si può o non può attuare per combatterlo, perciò la cittadinanza può chiaramente comprendere quali siano i poteri di emergenza davvero necessari e quali invece siano “in eccesso”, determinando abusi dell’autorità pubblica.
In quello che è forse il più evidente abuso di potere realizzatasi in questi mesi, il presidente ungherese Viktor Orbán ha emanato decreti per eliminare praticamente tutte le tutele dei lavoratori, modificare il management delle società quotate in borsa, eliminare la normativa sulla privacy e arrestare coloro che criticano il governo; ma queste non sono misure né necessarie né proporzionate per affrontare una pandemia.
Il caso dell’Ungheria suggerisce ciò che dobbiamo analizzare e di cui dobbiamo preoccuparci: notevoli spostamenti di poteri verso gli organi esecutivi, situazioni emergenziali in cui i governi modificano in modo permanente il codice penale o i sistemi di checks and balances, e tutto ciò che può determinare un’ingerenza statale sproporzionata rispetto alle vere necessità.
Come prevenire l’abuso di potere? È molto difficile in una pandemia, soprattutto quando le persone sono obbligate a rimanere a casa e interloquire solo telefonicamente o attraverso le applicazioni per le video conferenze. La pandemia canalizza tutte le comunicazioni in una dimensione facilmente controllabile e intercettabile da parte dei governi. È indubbio che combattere l’abuso della decretazione d’urgenza è un compito arduo nella fase più acuta di una pandemia.
Nell’agenda populista, la nozione di democrazia plebiscitaria come riflesso della “volontà del popolo” o il concetto di “democrazia illiberale” stanno diventando categorie volte al declassamento di garanzie democratiche quali i diritti delle minoranze e i sistemi di controllo e divisione dei poteri. Che cosa pensa della recente valutazione fatta da Freedom House che sostiene quanto l’Ungheria di Orbán non sia più una democrazia?
Il declino dell’Ungheria è stato il più precipitoso mai registrato in “Nations in Transit”; è stato uno dei tre paesi pionieri della crisi democratica a partire dal 2005. Nel 2020 è diventato il primo paese ad essere stato declassato di ben due categorie e che ha abbandonato completamente la fascia democratica” si legge nel rapporto.
Mi dispiace solo che queste valutazioni oggettive e realistiche di ciò che sta accadendo in Ungheria arrivino con un decennio in ritardo. Da quando Orbán è entrato in carica nel 2010, era chiaro dove avesse intenzione di dirigersi; l’unica incognita era la velocità di tale cambio di rotta. Il primo ministro ha portato l’Ungheria da protagonista della transizione del 1989 ad un paese che oggi non sarebbe conforme alle condizioni necessarie per l’ammissione nell’Unione Europea. È vero che l’Ungheria oggi non è più uno Stato democratico, ma già all’inizio del primo mandato di Orbán, si erano osservati i brogli elettorali del 2014 e poi di nuovo nel 2018. Se qualcuno oggi è sorpreso significa che non ha prestato la dovuta attenzione.
Il rapporto di Freedom House afferma che la Polonia si distingue per “la natura sistematica, mirata ed aggressiva degli attacchi del governo all’indipendenza giudiziaria”. Gli altri Paesi europei seguiranno la strada ungherese?
La Polonia segue l’Ungheria, ma lungo una traiettoria leggermente diversa. Polonia e Ungheria presentano entrambe un partito molto forte guidato da un leader profondamente accentratore, ed entrambe si sono rapidamente dirette sotto la guida di questi leader verso un consolidamento del potere esecutivo, di modo che non possa essere loro imposto di rimettere l’incarico. Entrambe dunque minano la tenuta della democrazia costituzionale liberale, ed entrambe non si fermeranno davanti a nulla verso il consolidamento di un potere sempre più assoluto.
Ma la Polonia è molto diversa dall’Ungheria sotto vari aspetti. Per esempio, Jaroslav Kaczynski, eminenza grigia dietro la presidenza della Repubblica e il governo, crede davvero nell’ideologia nazionalista-cattolica che sostiene. Orbán invece è un cinico che non crede in nulla. Sotto un altro aspetto, Kaczynski e il suo partito PiS si sono concentrati sulla distruzione totale dell’indipendenza della magistratura. Non si permette a un solo giudice critico del governo di rimanere in Polonia. Invece Orbán si è reso conto di poter ottenere ciò che voleva dalla magistratura semplicemente nominando i suoi luogotenenti in posizioni chiave, così da garantire che tutti i casi politicamente sensibili arrivino a giudici amici. Ci sono giudici indipendenti in Ungheria, ma che non sono in grado di decidere nei casi cruciali per il regime. Infine, la Polonia ha una costituzione difficile da emendare, perciò il governo polacco semplicemente viola la costituzione senza preoccuparsi di cambiarla. Al contrario Orbán si è assicurato una maggioranza schiacciante in parlamento che gli permette di modificare la costituzione a suo piacimento, così da poter rendere formalmente legale tutto ciò che il governo ungherese promuove.
Diversi paesi guardano al successo dell’Ungheria e della Polonia – misurato sulla base della poca ingerenza dell’UE negli affari nazionali – e si chiedono se abbia senso per loro seguirne l’esempio. Gli indizi sono sparsi qua e là, con uno smottamento democratico visibile in Repubblica Ceca, in Slovenia o a Malta. Poiché l’UE non ha agito rapidamente in Ungheria, ora abbiamo una diffusione incontrollata di un altro virus nell’UE – il virus dell’anticostituzionalismo.
Tutte le forme di democrazia richiedono rinnovamento e adattabilità. Quali cambiamenti sono necessari per rafforzare le democrazie dopo questa crisi?
Da dove cominciare? Dobbiamo pensare prima di tutto a come ripristinare e poi preservare l’indipendenza delle istituzioni che possono dire di “no” a coloro che si spingono troppo oltre: I tribunali, le corti, gli organismi elettorali, i pubblici ministeri, gli uffici anti-corruzione. In qualche modo la nuova retorica democratica equipara la democrazia ai desiderata delle maggioranze che vincono le elezioni, senza rendersi conto che una democrazia ha vita breve se non provvede alla tutela delle minoranze. Tribunali indipendenti, funzionari elettorali indipendenti e uffici per la trasparenza assicurano che le normative non vengano manipolate per rendere le ultime elezioni veramente le ultime in cui gli elettori possono effettuare scelte significative. Le vere democrazie devono operare secondo regole costituzionali, applicate in modo neutrale da una giustizia indipendente, per impedire una loro discesa nel baratro.