international analysis and commentary

La Siria, microcosmo del Medio Oriente

191

Il 27 settembre, mezza Siria era in strada a brindare. Perché era ovvio: eliminato Nasrallah, era il momento di Aleppo. Ero ad Aleppo, nella Aleppo sotto il controllo dei ribelli, quando Hezbollah nel 2012 ha iniziato a inviare rinforzi, ho visto la differenza checkpoint dopo checkpoint: senza Hezbollah, Assad non sarebbe mai rimasto al potere. Mai. Fu Hezbollah, e poi la Russia, con i suoi bombardamenti a tappeto, a cambiare il corso della guerra. Ucciso Nasrallah da Israele, l’unico dubbio era: la Siria si sarebbe riaccesa da sé, o sarebbe stata riaccesa? E cioè: da sé, o per scelta del presidente turco Erdogan?

Un cartellone di Assad bruciato nella piazza Saadallah Al-Jabiri, ad Aleppo, il 5 dicembre

 

Ma onestamente, per chiunque ancora frequenti la Siria non c’è dubbio possibile. L’offensiva è partita dall’interno, è vero: ma da anni, ormai, tutta l’area al confine con la Turchia, di qui e di là dal confine, è la retrovia di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), la principale delle milizie. Che ha base sostanzialmente a Gaziantep, dentro al territorio turco. Vuol dire che senza l’assenso tacito della Turchia non si passa. Non esiste un visto, naturalmente, si passa clandestini, nessuno ti timbra il passaporto: ma Hayat Tahrir al-Sham ha sempre detto alla stampa di chiedere una sorta di autorizzazione ad Ankara. E poi, basta guardare le uniformi, le armi, le jeep. Da dove arrivano?

Tutte le linee di rifornimento vengono dalla Turchia. Per Erdogan, l’influenza su quell’area è indispensabile per impedire la continuità territoriale dei curdi. Sparsi tra l’Iran, l’Iraq, la Siria, e appunto, l’est della Turchia. Ma ora, Erdogan ha un motivo in più per rientrare in gioco. Con la disfatta di Gaza, e soprattutto, il ritorno di Trump alla guida degli Stati Uniti, Netanyahu punta dritto all’allargamento degli Accordi di Abramo all’Arabia Saudita: per un nuovo Medio Oriente a trazione Golfo. Tanto più che l’Iran è in crisi. E gli Ayatollah sono agli sgoccioli.

Su questo, molti analisti sono scettici. Pensano che il regime resisterà. Ma cosa sono quarant’anni, nella storia millenaria della Persia? Lo scarto tra società e regime è troppo ampio, ormai. E le ultime, sofisticate operazioni di Israele, operazioni da film, eseguite alla perfezione, indicano che sul campo non c’è solo il Mossad. L’Iran, così come il Libano, ha sempre più dissidenti pronti a tutto per il cambiamento: persino ad allearsi con Israele. La caduta di Teheran è solo questione di tempo.

 

Leggi anche: Come cambia il Medio Oriente dopo un anno di guerra

 

E Erdogan non vuole certo rimanere ai margini di questo rimescolamento. Ma non è il solo, probabilmente. Perché la ritirata dell’esercito di Assad è molto ordinata. Troppo. Non c’è quasi sangue. Non c’è battaglia. Forse Assad si sta concentrando sulla difesa di Damasco. Per poi riorganizzarsi. Non è escluso. Eppure Rasha Elass, una delle più autorevoli esperte di Siria, era proprio a Damasco, un paio di settimane fa: e aveva notato una singolare assenza di forze di sicurezza.

Leggerla è significativo quanto leggere l’elenco degli omicidi mirati di Israele. Che come è noto, conduce da anni una guerra off-the-radar: dal 7 Ottobre, le sue incursioni in Siria sono state oltre 220 – tra cui quella contro il consolato dell’Iran che ha avviato l’escalation con Teheran. Nell’elenco figurano molti dei comandanti più fedeli all’Iran: molti di quelli che erano un po’ un vincolo per Assad. Perché con il ferreo allineamento a Iran e Russia seguito al cessate il fuoco del 2020, non è che il dittatore siriano abbia ottenuto molto.

Secondo gli ultimi dati della World Bank, il tasso di povertà è al 69%, con più di un siriano su quattro in povertà assoluta. L’economia è in macerie quanto il paese: il 26% del PIL deriva dall’esportazione del famoso Captagon: la fenitillina viene esportata nei Paesi arabi in cambio di armi e contanti. In Europa, la Siria è ancora il primo paese di provenienza dei richiedenti asilo – nonostante già 5,5 milioni di siriani vivano nei paesi confinanti, e milioni di altri un po’ ovunque: 850mila nella sola Germania. E a breve, è difficile che le cose migliorino. L’idea era che gli investimenti sarebbero arrivati dalla Russia: che però, intanto, si è impaludata in Ucraina.

E se Assad non stesse arginando poi così tanto l’avanzata di Hayat Tahrir al-Sham? Perché sa che per salvarsi, non ha bisogno di più Iran: ma meno Iran. Sa che ha bisogno del Golfo. L’opera di ricucitura con la Lega Araba, in cui Assad è stato riammesso con il vertice di Jeddah del 2023, è stata affidata agli Emirati, che nel 2018 sono stati i primi a riaprire l’ambasciata a Damasco. Gli investimenti, però, sono frenati dal Caesar Act americano. Che dal 2019, impone sanzioni a chiunque sia in affari con la Siria fino a quando la Siria non attuerà la risoluzione 2254 dell’ONU e la sua road map per la pace.

 

Leggi anche: La Siria e noi, dieci anni dopo

 

Assad sa che, perché l’economia si disincagli, è necessario un riallineamento. E in fondo, è la tradizione di famiglia: gli Assad, padre e figlio, si sono sempre venduti al migliore offerente, usando la politica estera come merce di scambio – tanto che nei libri di storia, viene definita come l’unica vera risorsa di un paese privo di risorse naturali. Non a caso la Siria, unico paese a essere nella lista americana degli stati sponsor del terrorismo dal 1979, e cioè dalla sua istituzione, è anche il paese che più di tutti è stato vicino all’intesa con Israele. Non dovrebbe scartarsi del tutto l’ipotesi che Assad stia cercando una nuova mediazione con le forze in campo, che gli consenta di alleggerirsi dell’ormai scomoda tutela degli Ayatollah. Lo si capirà a Homs, bastione alawita cardine del consenso del regime, e nodo di scambio sulla strada tra Damasco e Latakia, cioè tra la capitale e il mare, cioè tra Assad e le basi russe.

Come racconta il mediatore Frederic Hof nelle sue memorie, l’opzione Syria First, l’opzione di una pace con la Siria analoga alla pace di Camp David da lui firmata con l’Egitto, era l’opzione preferita da Yitzhak Rabin. E nonostante la retorica anti-sionista, ancora oggi per Israele le Alture del Golan restano la frontiera meno problematica. Meno persino di quella giordana, da cui sono entrate le armi della nuova Intifada.

Le forze si disputano la Siria (6 dicembre 2024). Fonte: BBC

 

In questa Siria microcosmo del Medio Oriente, ognuno ha un ruolo: tranne Hamas. Che è stata la miccia di tutto. E ora, invece, è totalmente ai margini. In questi giorni, il suo Politburo ha chiesto agli analisti cosa sia davvero questa Hayat Tahrir al-Sham, che prima si chiamava Jabhat al-Nusra, ed era la filiale di al-Qaeda in Siria: e perché sia riapparsa proprio adesso. Hamas infatti teme i jihadisti: teme che confondano le carte.

Con il 7 Ottobre, i palestinesi sono tornati in prima pagina, sì: ma non sono tornati protagonisti. Come i siriani, in un certo senso. Perché Hayat Tahrir al-Sham non ha niente in comune con gli attivisti da cui tutto è iniziato: alla caduta di Aleppo, nessuno ha brindato come alla morte di Nasrallah. Sarà la Primavera Araba a ricominciare, o il Risiko Arabo?