La Siria come crisi macro-regionale: una “guerra per le pipeline”?
La guerra civile siriana, che si protrae ormai dal 2011, sta ridisegnando la mappa geopolitica del Medio Oriente, nell’ambito di una generale ri-organizzazione degli assetti politico-economici dell’intero continente euroasiatico.
L’iniziale scontro militare fra il regime di Bashar al-Assad e la variegata opposizione emersa come effetto indotto delle primavere arabe ha visto coinvolti un numero crescente di attori, dagli interessi spesso convergenti, a volte confliggenti, mai lineari.
Data la marginalizzazione strategica dell’Occidente, e per decrittare le ragioni profonde del deflagrare del conflitto, particolarmente il massiccio intervento militare e il nuovo protagonismo politico-diplomatico di Mosca, alcuni analisti hanno sottolineato gli interessi energetici contrapposti fra alcuni degli attori regionali coinvolti nel conflitto, Turchia, Iran, e Qatar, inaspriti dalla rivalità fra Russia e Stati Uniti. In tale lettura, sarebbero questi la vera origine del conflitto stesso.
Oggetto della contesa sarebbe in sostanza il lucrativo mercato del gas europeo e il tentativo di diversificazione delle sue forniture. Il gas naturale, per sua stessa natura, viene ancora largamente trasportato attraverso condotte (il 67% del totale, secondo British Petroleum, passa per le pipeline). Questa caratteristica di “territorialità” – data dal legame tra i gasdotti e le regioni che attraversano – ha reso per lungo tempo difficile la creazione di un mercato globale simile a quello del petrolio. La Russia, quasi-monopolista della fornitura di alcuni grandi paesi europei (fornitura fondamentale per la sua economia), si opporrebbe quindi a ogni tentativo di creare nuovi corridoi attraverso il Medio Oriente per raggiungere il Vecchio continente.
In effetti, mentre la dimensione energetica di questa crisi medio-orientale è spesso ignorata, elementi di tensione fra gli attori regionali e la Russia legati a progetti di gasdotti potenzialmente alternativi sono indubbiamente presenti. Sono tuttavia, sufficienti a rendere la guerra in Siria una “guerra per le pipeline”?
In realtà, la variabile energetica non può essere considerate causa principale del ridisegno degli assetti geopolitici regionali.Degli attori direttamente o indirettamente coinvolti nel conflitto, ed escludendo il gigante saudita per il suo ruolo relativamente marginale nel settore gasifero, la Russia, l’Iran il Qatar sono (in questo ordine) i tre paesi più ricchi di riserve di gas naturale al mondo. Russia e Qatar, i maggiori produttori di gas, sono concorrenti per l’accesso al mercato del gas europeo. L’Iran, dal canto suo, si sta profilando come futuro terzo attore.
La Russia ha un vantaggio geografico e infrastrutturale consistente, con l’accesso al mercato europeo garantito dal sistema di gasdotti che collegano i campi gasiferi della Russia e della Siberia occidentale all’Europa. E l’Europa rimane ancora il mercato principale per Gazprom, nonostante i tentativi di diversificazione in corso verso la Cina e il resto dell’Asia orientale. Mosca ha un chiaro interesse a mantenere la sua posizione di maggiore fornitore, coprendo circa il 30% del fabbisogno del Vecchio continente. Ogni tentativo di realizzare corridoi alternativi, come il progetto di gasdotto Europeo Nabucco o la Pipeline Transcaspica è stato, in effetti, nel corso degli ultimi due decenni, avversato o mal digerito dal Cremlino.
Tra gli altri fornitori, il Qatar è uno dei paesi dai quali l’Europa acquista maggiormente metano in forma di LNG (gas naturale liquefatto). Questo viene trasportato via nave soprattutto nei terminal che si stanno diffondendo lungo la costa meridionale e settentrionale dell’Europa. In effetti, se è vero che il gas trasportato via tubi rimane a livello mondiale dominante, la diffusione di impianti di liquefazione e rigassificazione hanno aumentato considerevolmente la quota di LNG. Questo, insieme allo shale gas, ha permesso l’emergere di un mercato-spot del gas, potenzialmente globale, alternativo a quello basato su contratti a lungo termine tipo “take-or-pay”, tipici delle forniture provenienti dalla Russia.
In questo quadro, il Qatar, che esporta circa il 23% del suo LNG verso l’Europa, ha un chiaro interesse a mantenere e possibilmente aumentare le forniture verso il continente, sfruttando soprattutto le peggiorate relazioni con Mosca a seguito della crisi ucraina e il basso prezzo del petrolio che ha costretto Gazprom a rinegoziare al ribasso i suoi contratti a lungo termine con le compagnie europee. Nonostante gli sconti di Gazprom infatti la tensione internazionale e gli stessi cali nel prezzo dell’LNG continuano a spingere gli europei verso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento.
L’Iran, d’altro canto, per ragioni legate all’alto consumo domestico, all’assenza di infrastruttura e all’isolamento internazionale, ancora non riesce a giocare un ruolo sul mercato globale del gas. Con la fine delle sanzioni, Teheran ha tuttavia mostrato crescente interesse a divenire un fornitore dell’Europa attraverso i vicini mediorientali, sfruttando la contiguità geografica con Turchia da un lato e con Iraq e Siria dall’altro.
Agli interessi parzialmente confliggenti dei tre produttori si aggiungono poi gli interessi della Turchia, quale paese di transito. Ankara mira da tempo ad assumere il ruolo di hub meridionale dell’energia lungo il corridoio TANAP(Transanatolian Pipeline, successore del progetto europeo “Nabucco”) che dal Caspio dovrebbe trasportare gas verso l’Europa sudorientale. Ad esso si potrebbero aggiungere, le forniture russe da Nord e, appunto, quelle dal Golfo, da sud.
La potenzialità del TANAP è bloccata dal divieto contrattuale di rivendere il gas acquistato dalla Russia (la Turchia è il secondo più grande mercato per il gas russo dopo l’Europa), dall’alto consumo nazionale e dalle limitate quantità di gas caspico previste al momento. Perciò, la Turchia ha un chiaro interesse a far confluire il gas dal Medio oriente nel TANAP e dare così consistenza alle sue ambizioni di hub alternativo alla Russia.
In questo complesso quadro, il Levante e la Siria potrebbero in effetti acquistare un ruolo chiave. Nel 2009, il Qatar pensava di sviluppare una linea di gasdotti dal suo più grande campo estrattivo nel Golfo, per compensare la dipendenza dall’LNG quando i costi di quest’ ultimo erano ancora molto alti: propose così di costruire una pipelineattraverso la Siria sino in Turchia. Per tutta risposta, Bashar al-Assad pose un veto che sembrò giustificato proprio dalla necessità di garantire ai russi il monopolio sul mercato europeo, considerato sopratutto l’appoggio giunto dalla Siria, due anni dopo, alla estensione del gasdotto Iraq-Iran sponsorizzato da Teheran (detto “Islamic Pipeline”).
Secondo le ricostruzioni che vedono in questa scelta l’origine della crisi siriana, gli Stati Uniti avrebbero a questo punto deciso di appoggiare l’opposizione ad Assad proprio per garantire al Qatar di posizionarsi come alternativa sia a Mosca, indebolendone la presa sul mercato europeo, che a Teheran, bloccando sul nascere ogni tentativo iraniano di raggiungere il mediterraneo orientale. Questa scelta avrebbe provocato a sua volta il riallineamento turco in funzione anti-Assad, la creazione di un asse Turchia-Arabia Saudita con appoggio americano e la creazione del contro-asse Damasco-Baghdad-Teheran-Mosca. In questo contesto, sarebbe stata favorita la nascita e il rafforzamento dello Stato Islamico.
Tale ricostruzione, oltre a sopravvalutare il ruolo dei progetti in cantiere, non considera a sufficienza l’evoluzione del mercato del gas sia globale che europeo né il ruolo della variabile asiatica nell’equazione energetica mediorientale.
Il progetto del Qatar, infatti, come riportato da varie fonti, fu accantonato e ritenuto fallito già a partire dal 2010 per l’opposizione saudita ad una pipeline che attraversasse il suo territorio. Non solo: la crisi economica europea, la conseguente riduzione della domanda di gas, la diffusione di terminal LNG (nel 2014 in Europa erano attivi 23 Terminal LNG con la capacità di importare più di 200 miliardi di metri cubici di gas, il 40% dell’intero fabbisogno) e la scoperta di giacimenti off-shore nel Mediterraneo orientale, hanno reso quel progetto iniziale relativamente inutile per il Qatar.
Altro discorso è da farsi per Teheran. La scarsa densità della rete iraniana di pipeline e di impianti LNG rendono l’Iran interessato a qualsiasi soluzione e a qualsiasi mercato. La finalizzazione (annunciata nel Gennaio del 2017) della linea Iran-Iraq potrebbe, in effetti, costituire il primo tratto della “Islamic pipeline” che, con una Siria “pacificata” come vuole Teheran, potrebbe portare sino alla costa del Mediterraneo orientale un volume di circa 40 miliardi di metri cubi l’anno. Questo gasdotto sarebbe diretto concorrente sia della pipeline Qatar-Turchia che del corridoio TANAP attraverso la Turchia stessa. Ma, potenzialmente, lo sarebbe anche dei gasdotti russi. Tuttavia, uno scenario del genere, che porrebbe Teheran in rotta di collisione con Mosca, è reso di difficile realizzazione non solo dal conflitto siriano, ma soprattutto da una scarsa convenienza economica. Con costi stimati in 10 miliardi di dollari, la pipeline si scontrerebbe poi con le trasformazioni del mercato del gas europeo. In un mercato che non si espande, infatti, data la crescita economica piatta, l’approvvigionamento europeo è, nonostante il ruolo ancora decisivo della Russia, già abbastanza diversificato; i nuovi interconnettori e i terminal LNG ne garantiscono poi la sicurezza. In effetti, l’aumento delle importazioni di gas europee dovute alla diminuzione della produzione interna saranno presumibilmente compensate dall’emergente mercato-spot di LNG piu’ che da gas proveniente da ulteriori pipeline.
La Russia dal canto suo, e’ interessata a mantenere le quote del mercato europeo, sicuro ma saturo, soprattutto in presenza di bassi prezzi e di incertezze legate alle forniture di gas alla Cina, ma e’ consapevole che, alle attuali condizioni di mercato, difficilmente la “Islamic Pipeline” troverebbe finanziatori.
Questa considerazione ci porta all’ultimo e più significativo argomento: per quanto rilevanti, gli interessi contrapposti dei diversi attori possano essere e per quanto l’import europeo possa aumentare, soprattutto a causa del decline della produzione domestica, il mercato del gas europeo non rappresenta, in futuro, un “premio” sufficiente a spiegare il prolungato conflitto siriano e medio-orientale e a disegnarlo come una “guerra per le pipeline”. In effetti, la domanda di gas mondiale sarà trainata, nei prossimi decenni, da Cina, India e Asia orientale. Il Qatar esporta già due terzi del suo LNG verso l’Asia. Dal canto suo, l’Iran persegue con maggiore interesse e decisione ogni progetto che permetta al gas di Teheran di raggiungere l’India, il sudest asiatico e potenzialmente la Cina, come già avviene per il suo greggio. La Russia, che rimane fortemente dipendente dal gas europeo, deve conservare le sue quote di mercato, ma la anche affacciarsi come player influente sui mercati in crescita dell’Asia.
In conclusione, se divergenti interessi energetici hanno giocato e giocano un ruolo nella riorganizzazione dello spazio geopolitico medio-orientale essi appaiono tuttavia secondari rispetto a obiettivi politico-militari e strategici che mirano a ”chiudere” il Medio Oriente all’influenza occidentale.
In questo quadro, è semmai un’altra la variabile con cui fare i conti nel Medio Oriente “eurasiatico” dei prossimi anni:, la crescente presenza cinese nell’equazione regionale, e il desiderio della Cina di riaprire corridoi commerciali non-energetici attraverso il Medio Oriente per raggiungere sia l’Africa orientale che l’Europa meridionale e il Mediterraneo. Ciò è vero indipendentemente dall’esito della crisi siriana e ben oltre una ormai datata “guerra energetica”.
Riepilogo mappe:
– Gasdotti russi verso l’Europa
– Terminal LNG sulle coste europee
– Corridoio TANAP in Turchia
– Progetti di gasdotto Qatar-Arabia-Siria-Turchia e Islamic Pipeline Iran-Iraq-Siria
– Dinamica del mercato LNG