La Santa Sede e la lunga transizione cubana
«Ehi, prima o poi regalamelo un Padre nostro»: Papa Francesco nel settembre 2015, prima di recarsi negli Stati Uniti, visita Cuba e incontra l’anziano líder máximo. Al termine del colloquio, secondo quanto riferì lo stesso Castro al giornalista Gianni Minà, Bergoglio gli avrebbe fatto quella battuta. E Fidel avrebbe risposto, a sorpresa: «Lo farò».
Chissà se prima di morire si è ricordato della promessa e ha davvero regalato un «Padre nostro» a Bergoglio. Un fatto è certo: tra Francesco e Castro c’è stata subito una sintonia, così come con il fratello Raúl:«Leggo tutti i discorsi del Santo Padre e se continua a parlare così, ricomincerò a pregare e tornerò alla Chiesa cattolica. Lo dico sul serio», ha dichiarato Raúl al termine dell’udienza privata che gli ha concesso il Papa in Vaticano nel maggio 2015. Si tratta dell’esito di un percorso di relazioni tra Cuba e Santa Sede che viene da molto lontano e che potrebbe portare in futuro a nuovi sorprendenti risultati.
Giovanni XXIII e la crisi dei missili a Cuba
Il 25 ottobre 1962 il Presidente degli Stati Uniti, John F. Kennedy, rivela la presenza di installazioni missilistiche a Cuba e l’avvicinamento all’isola di alcune navi sovietiche con a bordo le testate nucleari. Le diplomazie di tutto il mondo paventano il rischio di una drammatica escalation.
Giovanni XXIII è anziano e malato. Inoltre è impegnato nei lavori del Concilio Vaticano II iniziato appena due settimane prima. Tuttavia segue con grande attenzione la crisi di Cuba. Attraverso la Radio vaticana diffonde un radiomessaggio. Roncalli «supplica» i governanti a non restare sordi alle richiesta di pace che sale da tutti i popoli del mondo. La crisi si ferma, lo scontro è evitato. Ma questo tempestivo intervento di Giovanni XXIII apre la strada a quello che poi diventerà un leit motiv dell’azione della Chiesa nell’isola: la Santa Sede non prende le parti né di Castro né dei suoi oppositori, e punta invece alla mediazione per costruire un tessuto forte della società civile capace, a poco a poco, di conquistare spazi di libertà.
L’incontro tra Giovanni Paolo II e Fidel Castro
Ci vorranno trent’anni prima che un papa incontri Fidel. Tocca a Giovanni Paolo II, il pontefice che più di tutti ha combattuto il comunismo. Ma questo non deve sorprendere. Per due ordini di ragioni: la prima è perché Wojtyla aveva ben chiara la distinzione tra comunismo e castrismo. Sapeva bene che, nonostante gli stretti rapporti con Mosca, il regime di Cuba era qualcosa di radicalmente diverso da quello comunista d’oltre cortina. E che i cubani sono sempre stati «castristi» prima che «comunisti». In secondo luogo perché quando i due leader si incontrano ormai è caduto il Muro di Berlino e bisogna iniziare a preparare il futuro dell’isola in un contesto geopolitico radicalmente mutato.
La prima udienza avviene in Vaticano, nel novembre 1996. Nel gennaio 1998 poi, lo storico viaggio di Giovanni Paolo II a Cuba. Il Papa formula il famoso augurio: «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Il pontefice polacco non ha nessuna intenzione di demonizzare il lider màximo, sceglie la strada del dialogo e punta a una transizione morbida verso una conquista di maggiori diritti per la popolazione, a cominciare dalla libertà religiosa. Non a caso, all’indomani di quella visita Fidel ristabilisce il Natale come festa civile. Nell’aprile 2005, alla morte di Wojtyla, Castro proclama tre giorni di lutto popolare.
La visita di Benedetto XVI
Nel 2008 Fidel Castro lascia la presidenza e la carica di comandante in capo di Cuba. Gli subentra il fratello Raúl. L’isola volta pagina. Raúl promette cambiamenti e aperture, incluso un timido passaggio alla libertà di impresa economica individuale. La Santa Sede e la Chiesa locale puntano ad accompagnare questo processo. Nel frattempo si rendono sempre più presenti e visibili nella vita sociale dell’isola.
Lo stesso anno il Segretario di Stato, cardinale Tarcisio Bertone, si reca a Cuba per visitare le diocesi e le comunità presenti. Cinque anni prima, nel 2003 anche il cardinale Crescenzio Sepe, allora prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli («de Propaganda Fide»), si era recato a Cuba. Sull’isola le «suore brigidine» (dell’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida) hanno aperto un convento. Nonostante le difficoltà e le limitazioni imposte dal regime, si sviluppa una presenza articolata nell’isola. Oltre alle religiose, è significativa l’azione di movimenti come la Comunità di sant’Egidio.
Nel 2012, in questo nuovo clima, Benedetto XVI si reca a Cuba. Incontra Fidel, ormai fuori della politica, per un colloquio più personale che istituzionale: Castro chiede consiglio a Ratzinger per le sue letture, anche spirituali, e ringrazia il pontefice per aver beatificato Madre Teresa di Calcutta e Giovanni Paolo II. Dopo la visita di Benedetto XVI, il regime cubano decide che il venerdì santo sarà festa nazionale.
La grande accoglienza per Francesco e il futuro
La terza fase nei rapporti tra Cuba e Santa Sede è segnata dalla visita di Francesco nel settembre 2015. Cuba accoglie festante il Papa argentino. Parlano la stessa lingua: non solo lo spagnolo ma anche la condanna del consumismo e della globalizzazione, l’appello a una maggiore giustizia sociale e all’uguaglianza. Sono temi che avvicinano molto Bergoglio al sentire dei cubani.
Nel frattempo, sotto traccia, la diplomazia vaticana ha lavorato alla riapertura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti. Un percorso che nel marzo 2016 sfocia nella storica visita di Barack Obama e nell’incontro con Raúl Castro. Entrambi ringraziano esplicitamente la paziente mediazione svolta da Papa Francesco e dall’allora arcivescovo de L’Avana, cardinale Jaime Lucas Ortega y Alamino.
Bergoglio tuttavia viene criticato, soprattutto dalla stampa statunitense e spagnola, per il mancato incontro, durante la visita a Cuba, con le «damas de blanco», il movimento di opposizione al governo che riunisce le mogli e i familiari di persone accusate di aver agito contro lo Stato. Ofelia Acevedo, la moglie del dissidente cattolico Oswaldo Payà morto nel 2012, chiede invano di incontrare il Papa. Ofelia non crede che a uccidere suo marito sia stato un incidente stradale, come recita la versione ufficiale e vuole verità. Francesco non incontra i dissidenti o i loro parenti, e tuttavia non si stanca di esprimere parole di libertà e di giustizia. Giunto a poca distanza dal carcere di Guantanamo a Cuba tutti si aspettano che dirà una parola al riguardo: invece tace.
Verso il futuro
Chiesa e Santa Sede a Cuba giocano una partita sul medio periodo: lavorano ormai da anni alla costruzione di un tessuto della società civile fatto anche di gruppi e movimenti di ispirazione cattolica che, quando per ragioni anagrafiche entrambi i Castro non ci saranno più, possa avere un peso nel futuro del Paese e anche un ruolo in occasione di eventuali elezioni. Un processo che accelererà ancora di più nei prossimi mesi. Il Papa e i suoi collaboratori hanno lavorato strenuamente per la riapertura delle relazioni diplomatiche tra Cuba e Stati Uniti e fanno bene attenzione al fatto che Cuba non torni ad essere il pericoloso e degradato porto franco del Nord America, com’era prima della rivoluzione, bensì costruisca una sua leadership autonoma.
Nel quadro attuale, gioca ancora un ruolo importante l’ex arcivescovo dell’Avana, il cardinale Ortega y Alamino: la sua eredità conterà certamente per il successore Juan de la Caridad García Rodríguez, arcivescovo di Camaguey, nominato ad aprile dal papa. Ortega y Alamino ha accompagnato tutte le fasi di questo percorso: è l’unico arcivescovo che può vantare di aver accolto personalmente, nel suo ruolo, tre visite papali – Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco. Il cardinale dell’Avana è stato inoltre uno dei grandi elettori di Papa Francesco. Ma soprattutto si deve a Ortega la strategia di lavorare dal basso senza saldare le ragioni della Chiesa con quelle dell’opposizione o della dissidenza ma piuttosto puntando a costruire dei percorsi autonomi che un domani potrebbero far emergere dei leader cattolici nell’isola.
Cuba naviga verso il suo domani che ancora appare incerto, ma la Chiesa nel frattempo ha costruito la sua flotta.