La Russia, la fine del trattato INF e il nuovo contesto nucleare
L’epilogo del Trattato sulle armi nucleari a medio raggio (Intermediate-range Nuclear Forces Treaty, da cui l’acronimo inglese INF) è recente, ma ha radici profonde: si è trattato in effetti di un percorso lento e inesorabile. Quando il Segretario di Stato, Mike Pompeo, ha annunciato il 1° febbraio che gli Stati Uniti si sarebbero ritirati per le continue violazioni dell’accordo da parte dell’altro firmatario, la Russia, il Cremlino non ha esitato a prendere posizione.
Il giorno successivo, infatti, Vladimir Putin è apparso in televisione insieme al Ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, e al responsabile della Difesa, Sergej Shoigu, per comunicare che anche la Russia avrebbe sospeso la partecipazione all’accordo. Decisione inevitabile e ampiamente prevedibile quella russa; ma anche quella statunitense non è stata improvvisa né improvvida. Al contrario, il destino dell’INF è stato segnato nell’ultimo decennio da diversi incidenti di percorso, e la mossa dell’amministrazione Trump non è da derubricare all’ennesima prova muscolare di un presidente bizzoso.
Anche se ora si parla – impropriamente – di una nuova corsa agli armamenti nucleari e di inevitabile ritorno alla Guerra fredda, la realtà è ben più complessa e si inserisce nella riorganizzazione delle posizioni strategiche su scala mondiale. Come osservato da più di qualche analista, l’ordine internazionale sta subendo profondi cambiamenti, ci sono nuovi attori sulla scena globale e il controllo degli armamenti è un fattore cruciale di questa riorganizzazione. Le posizioni dell’amministrazione Trump sui dossier legati alla produzione di armi nucleari (Iran e Corea del Nord) si possono leggere in questa prospettiva.
Dal 1987 al 2019 – il lungo declino dell’INF
L’INF è giustamente considerato uno degli snodi che portò alla fine della Guerra fredda. Esso è stato uno dei frutti del famoso vertice di Reykjavik del 1986, quando l’allora Segretario del Partito comunista sovietico, Michail Gorbachev (fu uno dei suoi primi atti alla guida dell’URSS), e il presidente degli USA, Ronald Reagan, trovarono un’intesa sul divieto di produzione di missili in grado di colpire paesi europei. L’accordo vero e proprio fu firmato a Washington l’anno successivo, e con esso si concluse la cosiddetta “crisi degli euromissili”. Negli anni precedenti, prima i sovietici e poi gli americani avevano installato in territorio europeo missili nucleari a raggio intermedio.
La maggiore spinta per un simile accordo, infatti, venne proprio dai paesi europei occidentali, fra i quali l’Italia, che erano seriamente preoccupati dal dispiegamento dei missili sovietici SS-20, diretti a colpire le basi statunitensi in Europa e in grado di trasportare fino a tre testate nucleari. I maggiori beneficiari dell’accordo furono quei paesi le cui basi militari ospitavano i missili a medio raggio Tomahawk e Pershing – con una gittata compresa tra i 500 e i 5500 chilometri – schierati dagli americani per minacciare in rappresaglia il territorio sovietico. Come risultato della firma vennero distrutti 2692 missili: 1846 per Mosca e 846 per Washington.
Finché rimane in vigore, il Trattato preclude ai due firmatari di sviluppare missili di media gittata. Ed è proprio questo il nocciolo del problema: secondo gli Stati Uniti, Mosca ha sviluppato un nuovo vettore in violazione dell’intesa, il Novator 9M729. Il Cremlino respinge le accuse, ma è un dato di fatto che agli inizi degli anni 2000 fu proprio la Russia a sollevare la necessità di rivedere l’INF, soprattutto alla luce della rinnovata situazione internazionale.
Già nel biennio 2004-2005 la Russia propose agli Stati Uniti un ritiro congiunto dall’accordo, che non rifletteva più gli equilibri legati alla sicurezza in Eurasia. In particolare, Mosca era preoccupata dal proliferare dei missili a raggio medio e intermedio, non sempre con capacità nucleare, in paesi come Cina, Corea del Nord – che confinano con la Russia – ma anche da parte di Corea del Sud, India, Pakistan e Iran. In linea con la ricorrente sensazione di accerchiamento che caratterizza gran parte del pensiero strategico russo, il Cremlino aveva espresso rimostranze sulla valenza unicamente bilaterale dell’INF: rimanere nei parametri previsti dal Trattato non le permetteva di sviluppare le giuste contromisure nei confronti di questi paesi, in grado con i loro nuovi missili di colpire il territorio russo.
Il celebre discorso di Putin alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco, nel 2007, ha segnato la rottura implicita dell’INF. Criticando con parole dure l’ordine unipolare che si era affermato, nel suo intervento Putin disse chiaramente che la Russia avrebbe dovuto garantire da sola la propria sicurezza. L’allora titolare della Difesa, Sergei Ivanov, il giorno successivo definì l’INF un “relitto della Guerra fredda, che non durerà per sempre”. Il tentativo russo di estendere l’INF su scala globale durante la Conferenza sul disarmo del 2008, nell’ambito dei meccanismi delle Nazioni Unite, si risolse con un nulla di fatto. E’ quindi plausibile sostenere che fu allora che la Russia iniziò a sviluppare testate missilistiche senza i vincoli imposti dall’INF.
Un nuovo assetto?
A partire dal maggio 2013, l’amministrazione Obama prima e quella Trump poi hanno provato a ricucire il dialogo per rimanere all’interno dei paletti previsti dal trattato. A poco è servita la prima denuncia pubblica, nel 2014, del mancato rispetto degli accordi. Nella “Nuclear Posture Review”, un documento pubblicato dal Dipartimento della difesa a febbraio 2018, molta attenzione viene dedicata alla Russia, oltre che a Cina, Iran e Corea del Nord.
In base a quanto sostiene Washington, Novator, l’azienda statale che sviluppa tecnologia e armamenti militari, negli anni ha sviluppato il missile 9M729 del sistema Iskander-M che non rientra nei parametri del Trattato, poiché sarebbe in grado di raggiungere obiettivi distanti fino a 2000 chilometri. Accuse che il Cremlino continua a respingere, come fatto durante un briefing a gennaio scorso nella città di Kubinka, nella Russia europea, durante il quale ha dimostrato che il missile 9M729 ha un raggio d’azione di 480 km. Ma il punto di non ritorno per l’uscita dall’INF era già stato superato.
A ottobre 2018 Trump accusò la Russia di non rispettare i termini dell’accordo e, allo stesso tempo, puntò il dito anche contro la Cina, ormai vista dalla Casa Bianca come un’antagonista sulla scena internazionale e una minaccia alla propria sicurezza, come testimonia la prolungata “guerra dei dazi”. Tuttavia, Trump non aveva tenuto nella giusta considerazione la posizione degli alleati NATO, ancora una volta tra le prime vittime di una corsa al riarmo. L’annuncio di Pompeo a inizio febbraio ha fatto scattare i sei mesi di preavviso previsti dagli accordi (Articolo XV).
Dopo la mossa statunitense Putin si è affidato da un lato alla retorica, ma dall’altro è rimasto prudente in termini di azioni concrete. Il capo del Cremlino, infatti, ha detto che la Russia comincerà a sviluppare nuovi missili, tra cui una versione adatta ai lanci da terra dei missili Kalibr, usati dalle navi militari anche in Siria, e un nuovo tipo di missile supersonico, in grado di volare a una velocità cinque volte maggiore di quella del suono. Ma ha anche aggiunto che la Russia non schiererà missili a corto e medio raggio, quelli che potrebbero colpire paesi europei, a meno che gli Stati Uniti non lo facciano prima: “se questi missili verranno consegnati in Europa, naturalmente dovremo rispondere in modo speculare. I paesi europei che accetteranno di ospitare i missili americani devono capire che stanno mettendo il loro territorio in pericolo”.
In conclusione, Stati Uniti e Russia sembrano essere d’accordo sulla necessità di rivedere il trattato, e quindi lo sviluppo di testate missilistiche a medio raggio, alla luce delle nuove minacce e della diversa situazione internazionale. Qualunque nuovo accordo però dovrebbe includere non solo nuovi attori sulla scena globale, come la Cina, ma anche incorporare le nuove sfere della sicurezza cibernetica e nei territori “periferici” (i teatri di conflitto ai limiti dei grandi centri di potere regionali, come Moldova, Ucraina, Kosovo, Bosnia, la cui gestione ha poco a che fare con i missili a raggio intermedio) – oltre a tenere in considerazione tutte le nuove sfide alla sicurezza globale maturate in questi trent’anni. Solo in questo solco si può trovare un nuovo equilibrio strategico e un riallineamento su scala globale, che passa inevitabilmente attraverso un più ampio dialogo fra Stati Uniti e Russia su questo e altri dossier.