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La resistenza di Joe Biden

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E così, il sorpasso Repubblicano non c’è stato. Sì, il partito di Donald Trump – ma continuerà davvero ad essere il suo? – dovrebbe conquistare il controllo della Camera, come da previsioni. Ma alla fine del lungo e sempre più polemico spoglio ne risulterà una vittoria di misura, non certo l’”ondata” che l’ex presidente si aspettava. La maggioranza alla House of Representatives si raggiunge a 218 deputati, e la media delle proiezioni per i seggi a scrutinio non ancora completo segna 220 per il partito Repubblicano. Se la wave anti-Biden alla Camera non è travolgente, quella al Senato si è infranta prima di toccare terra: sono 49 su 100 i seggi sicuri assegnati finora all’opposizione, lo scrutinio è incompleto in tre. Quello in Georgia, che sarà deciso da un ballottaggio sul filo del rasoio, e i due di Nevada e Arizona, il cui esito dovrebbe arridere ai Dem. Per i Repubblicani insomma lo scenario migliore possibile è quello che li riporterebbe a 50 senatori, esattamente la situazione che c’era prima del voto; ma è più probabile che i Democratici passino a 51, grazie al significativo flip (cioè la conquista di un seggio che prima apparteneva all’altro schieramento) in Pennsylvania.

Biden tra i sostenitori a Yonkers, New York

 

Il presidente Biden può tirare un sospiro di sollievo. Ma perché, se la maggioranza alla Camera l’ha comunque perduta? Diventerà molto più complicato per l’amministrazione portare avanti l’agenda della Casa Bianca: se i provvedimenti legislativi dovessero essere bloccati al Congresso, al Presidente non resterebbe che governare a colpi di decreto, quegli “executive orders” che al successivo Capo di Stato basterebbe un tratto di penna per cancellare.

Il punto è che il risultato è molto migliore delle aspettative. Biden è impopolare, Biden ha già deluso i suoi, Biden è uguale a un qualsiasi repubblicano, Biden è debole, fiacco, prende abbagli, non c’entra nulla con l’America di oggi, Biden è un vecchio che soffre di demenza senile e può governare solo perché è teleguidato da altri poteri… Il campionario delle accuse di cui il presidente americano è stato bersaglio in questi due anni, lanciate senza soluzione di continuità dal virulento fronte dell’opposizione ma anche da alcuni elementi del campo amico, avevano spinto molti a credere che le previsioni più pessimiste per i Democratici sulle Midterm fossero più che fondate. D’altronde, anche Donald Trump alle elezioni di metà mandato del 2018 aveva preso la sua legnata (41 seggi in meno, Camera addio). E Barack Obama anche di più: dopo appena due anni alla Casa Bianca aveva perso 63 deputati in un colpo solo, era il 2010, e la maggioranza alla Camera non l’aveva più vista per i successivi sei anni. Preparasse il pallottoliere, perciò, il presidente Biden. Invece, i deputati persi dai Democratici in questa occasione dovrebbero essere solo una ventina, se gli va male; perché se fossero una quindicina, cosa più improbabile – siamo sempre appesi ai lunghi scrutini, soprattutto nell’Ovest del Paese – manterrebbero clamorosamente la maggioranza anche alla Camera.

Le Midterm segnano da sempre, a parte poche eccezioni, una sconfitta per il partito di governo. Però la sconfitta dei Dem alla Camera (abbiamo visto che al Senato sarà pareggio, o vittoria democratica di misura) non è una disfatta: questa è la chiave del voto. Come è successo?

Prima di dare a Biden quel che è di Biden, bisogna considerare un aspetto su cui, soprattutto su questa riva dell’Atlantico, non ci si sofferma mai a sufficienza per quanto riguarda la politica americana: la qualità dei candidati. I Democratici che aspiravano a un seggio al Senato hanno ottenuto risultati mediamente migliori della media elettorale locale, anche quando hanno perso, nella stragrande maggioranza degli Stati in cui si decidono le presidenziali. Ne è un esempio la vittoria del Dem John Fetterman in Pennsylvania, mentre la stella di Stacey Abrams in Georgia si sta appannando. Da questo particolare punto di vista, i Repubblicani devono accontentarsi del risultato di Marco Rubio in Florida: in uno degli swing state per eccellenza, anche se ultimamente più fermo a destra, Rubio ha vinto con 16 punti di vantaggio. Riuscire a migliorare il risultato medio del partito in una situazione di estrema polarizzazione e risultati elettorali tendenti alla parità, con sfide spesso decise da un pugno di voti, è una qualità che i candidati Democratici al Senato hanno avuto più dei Repubblicani.

John Fetterman (in nero), nuovo senatore democratico per la Pennsylvania, è stato colpito da un ictus solo sei mesi prima del voto

 

Allo stesso modo, la nuova maggioranza alla Camera potrebbe infine dipendere dall’incredibile risultato nei collegi di New York: in una delle città più saldamente Dem di tutti gli Stati Uniti, i Repubblicani hanno strappato ai rivali ben quattro seggi. Anthony D’Esposito, Nick La Lota (sic), Marc Molinaro e Mick Lawler (quest’ultimo addirittura contro il direttore della campagna elettorale Dem, Sean Patrick Maloney) hanno vinto in zone non solo suburbane, ma fin nel Queens e a Brooklyn, dove Biden era stato il più votato due anni fa. A testimonianza della valenza anche molto locale del voto di Midterm, i Democratici a New York hanno pagato la loro volontà di ridisegnare i collegi dello Stato in modo a loro più favorevole, classico tentativo di gerrymandering stroncato però stavolta dalla Corte Suprema dello Stato, che ha imposto immediatamente una zonizzazione più corretta. E poi, le forze del partito di Biden si sono disperse nelle lotte di potere locali, con la nuova generazione di sinistra guidata da Alexandria Ocasio-Cortez (lei è stata rieletta col 71%) che accusa la vecchia guardia di moderatismo, arroganza e corruzione, e di non saper rinunciare ai vecchi, ruvidi metodi della New York politics.

Joe Biden ha chiamato gli americani al voto parlando di democrazia e di aborto. Agli elettori non interessa, pensano all’economia, hanno ribattuto in molti. Ma gli elettori democratici sono andati a votare proprio seguendo la stella polare dei diritti. E per di più, se è vero che l’inflazione sembra incontrollabile, l’economia mostra segnali di salute, per esempio sui posti di lavoro: dopo gli anni di recessione post-2008, un aspetto non trascurabile.

A riprova dell’orientamento della maggioranza degli americani, e di quello che appare ormai come un grande errore politico da parte dei Repubblicani, ossia l’essersi fatti dettare l’agenda dalla destra religiosa, dopo quello di agosto in Kansas si sono tenuti altri quattro referendum sul diritto alla scelta nell’ambito dell’aborto, in California, Vermont, Michigan e Kentucky, e sono tutti passati. Paradossalmente, se i Dem riuscissero a mantenere il controllo della Camera, potrebbero ora codificare quella legge federale (cioè valida per tutti gli Stati) sull’aborto che è sempre mancata nell’ordinamento americano, poggiandosi finora il diritto sulla celebre sentenza della Corte Suprema del 1973, ribaltata dalla pronuncia di questa estate.

Se Biden è il vincitore del voto di metà mandato, chi è lo sconfitto? Tanti puntano il dito contro Donald Trump, che da questo voto senz’altro avrebbe voluto sia una rivincita sulla sconfitta di due anni fa, sia la conferma della sua egemonia sul Partito Repubblicano, sia il trampolino a lanciarlo senza esitazione verso la ricandidatura nel 2024. Ma la lampada magica delle Midterm ha esaudito zero desideri su tre. Non si può nascondere che diversi nomi indicati da Trump abbiano perso senza appello le sfide più importanti – i candidati senatore e governatore in Pennsylvania, governatori in Michigan e Wisconsin (Stati cruciali per le presidenziali), e cinque deputati – mentre il suo candidato governatore a New York non è andato male, ma è stato comunque sconfitto. E non si può nascondere che la presenza di Trump sia considerata troppo ingombrante per una parte, piccola sì, ma c’è, dell’elettorato repubblicano, mentre resti un fattore di mobilitazione per quello democratico: sono ormai tre le elezioni consecutive che i Dem vincono contro Trump. E cioè Midterm 2018, presidenziali 2020 e Midterm 2022 – se vogliamo definirla “vittoria”.

Abbiamo stravinto, perché dovremmo cambiare? – ha replicato Trump da par suo. In effetti, nessuno sfidante è ancora sceso in campo per contestargli una leadership ancora solida sul partito e sull’elettorato. Alcune alternative possibili: il governatore della Florida Ron DeSantis rieletto a furor di popolo e il capogruppo al Senato Mitch McConnell; ma altri nomi potranno trovare l’occasione di emergere con chiarezza.