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La resilienza dell’economia USA su scala globale

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Negli ultimi anni numerosi leader politici, giornalisti, professori e studiosi ci hanno spiegato di essere di fronte a un possibile declino americano; un declino da un punto di vista politico, economico, persino militare per alcuni. Secondo una scuola di pensiero il declino arriverà a breve, con l’avanzata e infine il sorpasso dell’economia cinese, secondo un’altra, più radicale, il declino è già in atto[1]. Ma i dati oggettivi raccontano una storia ben diversa. Gli Stati Uniti, guardando con attenzione i numeri, senza lasciarsi influenzare da altri aspetti, sembrano destinati a restare i veri protagonisti dell’economia mondiale e dello scenario geopolitico anche nel secolo in corso, dopo essere stati senza dubbio il Paese leader nel ‘900.

Il distretto finanziario di Manhattan

 

Naturalmente il tema è molto complesso e ogni aspetto, dalla situazione politica a quella culturale, da quella militare a quella economica, meriterebbe un approfondimento e uno studio a parte. Qui ci limiteremo solo al guardare con attenzione la salute dell’economia degli Stati Uniti, che sembra rimanere sulla strada giusta per essere la prima del pianeta anche nei prossimi decenni di questo XXI secolo – pur con alcuni squilibri interni e diverse sfide da affrontare. Chiaramente fare previsioni su un orizzonte di lungo termine è un esercizio difficile, ma i numeri di questi primi 25 anni del secolo in corso sono senza dubbio un dato di fatto da cui partire. Così come è interessante osservare che il sorpasso della Cina, in termini di valore del prodotto interno lordo nominale e di quota sull’economia globale, più volte previsto con matematica certezza da tanti studi negli anni scorsi, ad oggi non si è ancora verificato[2].

Innanzitutto, è utile chiarire che oggi il prodotto interno lordo degli USA cresce. Pur presentando sfide note, dal welfare offerto ai cittadini non in linea con quello europeo al debito pubblico e privato su livelli sempre più alti, l’economia degli Stati Uniti continua a crescere a ritmi significativi.

Nel 2023 il prodotto interno lordo degli USA ha registrato un +2,5% rispetto all’anno precedente. Nel 2022 la crescita è stata pari al +1,9%, nel 2021 +5,8%, a seguito della diminuzione registrata nel 2020, l’anno della pandemia. Del resto, gli Stati Uniti hanno risposto alla crisi economica indotta dal Covid con uno stanziamento di risorse pubbliche senza precedenti e assai maggiore rispetto alle risorse mobilitate dai paesi europei. Si stima che gli aiuti a famiglie e imprese negli USA abbiano superato i 5.000 miliardi di dollari, con impatti evidenti sulla ripresa dei consumi interni e degli investimenti.

Inoltre, non possiamo non osservare come l’economia americana resti ancora oggi la prima al mondo in termini di prodotto interno lordo nominale. Secondo i dati della World Bank nel 2023 gli Stati Uniti hanno registrato un PIL di oltre 27.000 miliardi di dollari, rispetto ai circa 18.000 della Cina, ai circa 4.500 della Germania, ai circa 4.200 del Giappone, ai circa 3.600 dell’India, ai circa 3.300 del Regno Unito, ai 3.000 della Francia e ai 2.200 circa dell’Italia, collocandosi così ancora una volta al primo posto di questa rilevante classifica.

Al momento gli Stati Uniti, da soli, rappresentano oltre il 25% dell’economia del pianeta, in termini di quota percentuale sul PIL mondiale, un peso in diminuzione rispetto ai livelli del passato (si stima che a metà degli anni ’80 fosse quasi il 35%), ma comunque di nuovo in crescita negli ultimi anni. Questo dato è richiamato anche nelle prime pagine del rapporto presentato pochi giorni fa dall’ex Presidente della BCE Mario Draghi sul tema della competitività europea, dove si ricorda anche che la quota sull’economia mondiale della Cina, come quella dell’UE, è ferma oggi al 17%.

Il peso dell’economia americana su quella mondiale rappresenta un dato ancora più importante, forse sorprendente, se si considera che gli americani sono oggi solo il 4% degli abitanti del pianeta: circa 350 milioni di abitanti su una popolazione mondiale stimata a quota 8 miliardi.

Il PIL degli Stati Uniti in valore assoluto, dunque, è ancora superiore in termini rilevanti rispetto a quello cinese, la seconda economia del mondo, per non dimenticare il PIL pro capite degli americani rispetto a quello di altri grandi paesi. Circa 80.000 dollari nel 2024, un valore superiore rispetto a quello di ogni altra economia avanzata del G7 e di tutti gli stati asiatici di rilevanti dimensioni. Già solo questi dati potrebbero forse essere sufficienti per capire che prima di discutere di una sorta di tracollo americano potrebbe essere utile qualche riflessione più approfondita sul sistema globale nel suo complesso.

 

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Ci sono poi due aspetti, di natura maggiormente geografica, che spesso vengono ignorati quando si parla di Stati Uniti e delle prospettive geopolitiche ed economiche di questa nazione. Il primo è la difesa naturale offerta al paese dal confinare sia a Occidente che a Oriente con due vasti oceani, mentre il confine a nord vede presente unicamente il Canada, paese del G7 e NATO, e a sud il Messico.

Questa condizione geografica, con confini chiari e sicuri e distanze enormi da tanti altri Stati, spiega anche perché durante la Seconda Guerra Mondiale sul suolo americano non si è in sostanza combattuto (a eccezione ovviamente dell’attacco giapponese a Pearl Harbor del 1941). Così, mentre gli stati europei dopo la guerra sul loro territorio si ritrovarono con un apparato industriale fortemente danneggiato, intere reti stradali e ferroviarie da ricostruire, quartieri o città intere in macerie, gli USA al termine del conflitto avevano uno stato perfettamente integro nelle sue infrastrutture fisiche, un dato di non poco conto per il sistema economico americano dell’epoca; ancora oggi poi, anche grazie a questa situazione geografica, oltre che al primato militare degli USA, non esistono minacce rilevanti al territorio americano, tolta certamente quella drammatica, ma a bassa probabilità, delle armi nucleari.

Chi ha ricchezze negli Stati Uniti, da una proprietà immobiliare ai depositi bancari, sa che mai nessuno invaderà il Paese e potrà portar via quel bene. Sembra una banalità, ma in tanti stati del mondo questa certezza assoluta non esiste affatto, basti pensare a quanto è accaduto in Ucraina vicino ai confini della UE o alle situazioni di crisi in Medio Oriente o ai conflitti in Africa.

Il secondo aspetto dimenticato da chi ci racconta di un declino economico americano, che nei fatti non si riscontra con facilità, è che nel vastissimo territorio degli USA si trovano un’infinità di risorse naturali e minerarie, incluse le materie prime critiche attualmente necessarie per la transizione ecologica. Ad esempio, grazie ai rilevanti giacimenti di petrolio e gas disponibili su tutto il territorio americano, senza dimenticare gli investimenti fatti in nuove tecnologie nel settore energetico negli ultimi anni, gli Stati Uniti sono ormai indipendenti e autosufficienti a livello energetico, a differenza di altri paesi occidentali come la nostra Italia, impegnati ogni anno a importare notevoli quantità di idrocarburi e risorse dall’estero con un costo importante per il sistema economico (sia per le imprese che per le famiglie).

Non si ricorda abbastanza spesso che il primo Paese produttore al mondo di petrolio, ancora oggi risorsa fondamentale per ogni sistema economico, non è un Paese del Medio Oriente ma proprio gli Stati Uniti, seguiti nell’estrazione di questa risorsa dalla Russia e dall’Arabia Saudita. Anche grazie ai costi dell’energia contenuti e a questa autonomia, le imprese americane riescono oggi ad essere più competitive di quelle europee in tanti settori.

Il vasto territorio americano consente inoltre di superare problemi che affliggono invece altri sistemi economici e città europee. Si pensi solo alla gestione dei rifiuti. Negli Stati Uniti le discariche presenti sono già sufficienti per i prossimi decenni e i meccanismi regolamentari e dei permessi sono più semplici rispetto, ad esempio, all’Unione Europea.

Enormi territori pianeggianti e non abitati offrono inoltre spazi immensi per le energie pulite del presente e del futuro, dai parchi eolici alle centrali solari. Anche se oggi la Cina supera gli Stati Uniti come paese produttore di energia solare ed eolica grazie agli investimenti effettuati (senza dimenticare però che in questo paese l’energia prodotta dal carbone sfiora ancora il 60% del totale, con conseguenze ambientali rilevanti), è possibile per gli Stati Uniti recuperare il primato di primo produttore al mondo di energia da fonti rinnovabili, anche grazie alle caratteristiche del loro territorio.

Risulta poi importante ricordare un’altra caratteristica dell’economia americana: la sua straordinaria diversificazione. L’industria americana è oggi rilevante a livello mondiale in tantissimi settori diversi, dalle costruzioni al settore aerospaziale, dall’automotive alla chimica; sicuramente il peso dell’industria sul PIL degli USA negli ultimi anni è diminuito (oggi è inferiore al 20%), ma quest’ultima ha ancora un ruolo importante a livello mondiale e recentemente gli Stati Uniti hanno investito notevoli risorse per “reindustrializzare” il paese, riportando in patria produzioni attualmente all’estero.

Il terziario è assai sviluppato come noto, con banche e assicurazioni leader a livello globale. E poi c’è il turismo, con il Paese che nel 2023 è stato il terzo con più visitatori stranieri del mondo. Infine, l’agricoltura, che pur impiegando pochissimi lavoratori rispetto al totale della forza lavoro americana, riesce a soddisfare la domanda di 350 milioni di americani esportando anche molti prodotti all’estero, dal grano (gli USA sono il terzo esportatore mondiale) per finire al vino della California. Questa economia sviluppata e diversificata risulta resiliente di fronte alle crisi che via via la storia porta, basti pensare a come gli Stati Uniti hanno superato la crisi del 1929 o quella del 2008 o quella del 2020, senza perdere finora il loro peso sull’economia globale.

Va evidenziato che da decenni la bilancia commerciale americana è in deficit, con esportazioni nettamente inferiori alle importazioni, ma ciò è anche dovuto al fatto che l’economia degli Stati Uniti punta molto sui consumi interni, più che sulle esportazioni; inoltre la notevole ricchezza delle famiglie americane e delle imprese, con il dollaro ancora oggi principale valuta per gli scambi internazionali, porta queste ultime ad acquistare beni prodotti all’estero con più facilità.

 

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Ma, in particolare, come è andata l’economia americana nei quattro anni dell’ultima Presidenza e quali sono le principali sfide per il futuro? Sicuramente il PIL americano, come sopra richiamato, è cresciuto negli ultimi anni e anche il tasso di disoccupazione, rispetto ai livelli record del periodo della pandemia, è tornato a livelli più bassi (circa il 4% attualmente). Bisogna osservare, però, che in questi ultimi quattro anni l’inflazione, come in Europa, è salita drasticamente, riducendo in modo significativo il potere d’acquisto della classe media americana e mettendo ancora più in difficoltà le persone maggiormente povere e senza un impiego. Nel 2023 l’inflazione annuale ha superato il 4% e nel 2022 l’8%, portando la FED a intervenire con una politica monetaria restrittiva. Questi dati sono inoltre una media e quindi su moltissimi prodotti acquistati dai cittadini americani gli incrementi dei prezzi sono stati assai maggiori. Non a caso il tema dell’inflazione è stato uno dei più citati nella campagna elettorale e le difficoltà della classe media hanno probabilmente avuto un ruolo importante nelle recenti elezioni che hanno visto il Presidente Trump vincere in modo netto.

Questo tema si aggiunge alla vera sfida che attende l’economia americana dei prossimi anni secondo molti analisti: la gestione del debito. Il debito pubblico, giunto a quota 35.000 miliardi di dollari (quasi il 125% del PIL), non lascia molti margini a nuove spese in deficit, così come è importante osservare l’incremento registrato dal livello del debito delle famiglie (giunto a 18.000 miliardi di dollari secondo le stime più recenti) e delle imprese.

Per quanto tempo questo elevato livello di debiti sarà sostenibile? Esiste il rischio di una crisi come quella del 2008? Potrà il governo federale intervenire nuovamente con un incremento della spesa pubblica in caso di crisi? Sono domande che la nuova Presidenza dovrà affrontare insieme alle istituzioni finanziare della prima economia del mondo.

In sintesi, dunque, gli Stati Uniti guardano ai prossimi anni ancora con gli occhi della prima potenza economica del pianeta. Siamo ancora di fronte allo Stato con il peso maggiore sull’economia globale, un paese all’avanguardia su molte tecnologie emergenti, inclusa la tanto discussa IA.

Leader nello spazio e in importanti settori manifatturieri, sia all’avanguardia che maturi, e per molti versi leader culturale, si pensi al cinema e alla musica pop, ma anche al fatto che centinaia di milioni di persone amano ancora definirsi “occidentali” in Europa e non solo e si recano ogni anno come turisti negli USA, o provano a diventare cittadini americani o cercano un lavoro in questo paese. Una leadership che è anche finanziaria naturalmente, basti considerare che ancora oggi la Borsa di New York è la prima al mondo per capitalizzazione. Anche il dollaro, pur se in misura minore rispetto al passato, resta la principale valuta per gli scambi internazionali, così come l’inglese è ancora la lingua più utilizzata.

Le sfide sopra richiamate e la crescita dell’economia cinese sono dati rilevanti e che possono minare la leadership economica americana in futuro, ma forse prima di discutere con facilità di crisi o declino americano può essere saggio utilizzare una maggior prudenza e guardare con più attenzione e curiosità i tanti dati economici e finanziari oggi disponibili.

 

 


Fonti

https://fred.stlouisfed.org/series/GDP 

https://data.worldbank.org/indicator/NY.GDP.MKTP.KD.ZG?locations=US

https://www.corriere.it/sette/attualita/24_agosto_04/america-in-declino-come-l-impero-romano-c7204bda-4000-474b-952c-1422283abxlk.shtml

https://commission.europa.eu/document/download/97e481fd-2dc3-412d-be4c-f152a8232961_en?filename=The%20future%20of%20European%20competitiveness%20_%20A%20competitiveness%20strategy%20for%20Europe.pdf

 

 


“Le opinioni espresse sono personali e non sono riferibili alle Istituzioni o società di appartenenza dell’autore.” 

 

 


Note:

[1] Per il premio Nobel Joseph Stiglitz, ad esempio, siamo già nel “secolo cinese”. Si consideri questo suo intervento per un maggiore approfondimento: https://cgt.columbia.edu/news/stiglitz-chinese-century/

[2] Ad esempio nel 2011 un documento della banca americana Goldman Sachs, “The BRICs 10 Years On: Halfway Through The Great Transformation”, prevedeva un sorpasso dell’economia cinese su quella americana nel 2026, affermando a seguito di una serie di analisi che “on these revised projections, we would expect the Chinese economy to surpass the US in 2026”. Il documento è ancora consultabile al seguente indirizzo: https://blogs.univ-poitiers.fr/o-bouba-olga/files/2012/11/Goldman-Sachs-Global-Economics-Paper-208.pdf.

Più recentemente, nel 2020, l’inglese Centre for Economics and Business Research ha indicato il 2028 come data per il “sorpasso”, ma considerando i dati recenti è difficile immaginare ormai questa data come realistica, considerando i tassi di crescita americani e cinesi. Lo studio è stato ripreso dai media italiani, di seguito un articolo del Corriere della Sera: https://www.corriere.it/economia/finanza/20_dicembre_26/cina-superera-usa-2028-sara-piu-grande-economia-5-anni-d-anticipo-grazie-covid-69e597f8-475f-11eb-be4b-d2afc176960b.shtml