La penetrazione turca in Africa: un trend solido che durerà
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan, accompagnato da un centinaio di uomini d’affari e dai ministri di Economia, Esteri, Energia, Commercio, Agricoltura e Cultura/Turismo, ha intrapreso di recente una visita ufficiale che ha toccato vari punti dell’Africa occidentale: Algeria, Mauritania, Senegal e Mali. Le tappe del viaggio (dal 26 febbraio al 2 marzo) concretizzano il crescente interesse della Turchia verso questa regione africana, zona dinamica di un continente già da tempo nelle mire espansionistiche politiche e commerciali di Ankara.
Proprio mentre altre potenze mondiali (Cina in testa, ma anche la “mini-superpotenza” di Dubai) si stanno riposizionando in questa regione diventata negli ultimi anni strategicamente rilevante, Erdogan non intende restare indietro e punta sul dinamismo economico del suo Paese. Apertura di ambasciate e consolati, nuove rotte aeree e commerciali, cooperazione bilaterale rinforzata, annullamento dei reciproci visti d’affari e commesse da milioni di dollari sono gli ingredienti principali della corsa turca all’Africa. Un mix di diplomazia e partenariati economici sta trasformando la Turchia in un nuovo attore di peso nel Continente Nero.
In Senegal, l’autostrada che collega l’Aeroporto internazionale Blaise-Diagne alla città di Dakar è costellata di enormi baobab, gru e palazzi in costruzione. Lungo la cinquantina di chilometri che collegano il nuovo hub dell’Africa occidentale (inaugurato a dicembre) alla capitale del Senegal, sconfinati spazi di terra rossa sono disseminati di cantieri su cui sventolano, una di fianco all’altra, la bandiera senegalese e quella turca.
A Diamniadio, nuovo comune situato fra Dakar e l’aeroporto, tra i quartieri residenziali e il polo industriale in costruzione spicca il Centre International de Conférences Abdou-Diouf (CICAD), dove il 1° marzo si è tenuto il forum Senegal-Turchia. L’ultima volta che “Erdogan l’africano”, come viene vezzeggiato in patria, visitò il paese, nel 2016, riuscì a far ottenere a ditte private turche l’appalto della costruzione del CICAD, dell’Hotel Radisson e del complesso sportivo “Dakar Arena” di Diamniadio. In quell’occasione il dodicesimo presidente turco strappò anche la concessione per i lavori conclusivi dell’aeroporto Blaise-Diagne alla società saudita Binladin Group (SBG), che dovette cedere persino il contratto di gestione della struttura (della durata di 25 anni) al consorzio turco Summa et Limmak Holding.
L’attenzione politica ed economica verso il continente è sempre stata al centro dell’agenda dell’AKP, il partito per la Giustizia e lo Sviluppo fondato da Erdogan nel 2001. Da quando è salito al potere (inizialmente come Primo Ministro, poi come Presidente) il Capo dello Stato turco ha sempre manifestato uno spiccato interesse verso l’Africa, soprattutto a causa dell’ascesa della borghesia commerciale dell’Anatolia, base elettorale dell’AKP e pilastro del recente boom economico del Paese. Le imprese turche, sempre più orientate verso l’esportazione, sono a caccia di nuovi mercati e vedono nell’Africa occidentale, in particolare, un bacino di consumatori potenziale di quasi quattrocento milioni di persone.
I principali settori di sviluppo a cui le aziende private turche ambiscono sono: edilizia pubblica (infrastrutture, soprattutto, di cui la regione è particolarmente carente), industria tessile e agroalimentare (ad esempio trasformazione di materie prime come cotone e pesce), medicina (industria farmaceutica e cliniche private ad alti standard, come “Golden Life” inaugurata l’anno scorso a Bamako, in Mali), turismo (hotel e resort di lusso) ed elettronica (telefonia, computer, ecc.). Parallelamente le ambasciate turche in Africa sono passate da 12 nel 2008 alle attuali 39, mentre la compagnia di bandiera Turkish Airlines ambisce a detronizzare Ethiopian Airlines e Air France-KLM per volume di collegamenti: nel 2008 volava su quattro sole destinazioni dell’Africa subsahariana, oggi serve oltre 50 città in 26 paesi africani.
Il rendering della Dakar Arena di Diamnadio, Senegal, da parte dello studio di architettura turco Yazgan
Il tour in Africa occidentale di febbraio-marzo è la 27° visita ufficiale nel continente dal primo mandato di Erdogan come Primo Ministro nel 2003. Il 2005 in Turchia fu dichiarato “anno dell’Africa”, con il primo storico viaggio in Etiopia, Sud Africa, Tunisia e Marocco. Se durante i primi anni di governo dell’AKP tale “conquista” si è sviluppata soprattutto verso il Corno e le regioni meridionali-orientali, più vicine geograficamente, oggi è la parte occidentale dell’Africa ad attirare le mire espansionistiche commerciali turche. E’ qui che si stanno concentrando gli sforzi diplomatici e politici del nuovo corso. L’obbiettivo sbandierato della rinvigorita iniziativa in Africa occidentale è portare gli scambi con il continente a oltre 100 miliardi di dollari entro il 2022. Erano appena 100 milioni nel 2000, mentre oggi si attestano attorno ai 20 miliardi, concentrati su generi alimentari e tessili, prodotti di consumo, metalli (ferro e acciaio), plastica e cemento – scambiati con pietre preziose, cotone, minerali, legnami pregiati, carbone e cuoio.
A differenza dell’approccio di alcune potenze occidentali, l’interesse prettamente economico della Turchia in Africa non viene mai celato durante gli incontri ufficiali ma anzi valorizzato dalla retorica del “partenariato win-win”, della “cooperazione sud-sud” e di un rapporto “paritetico, fraterno ed egualitario”. Un linguaggio diverso molto apprezzato da leader e opinione pubblica africana, percepito come antitetico (e certamente alternativo) allo sfruttamento delle ex-madrepatrie coloniali. Insieme alla comune religione musulmana nei proclami di Erdogan viene spesso citata, come elemento storico-culturale funzionale alla penetrazione turca nella regione, l’antica presenza ottomana nei pressi dell’odierna Mauritania.
Il rilascio, ogni anno, di centinaia di visti per la Turchia a studenti africani e il progressivo rinforzamento del budget della TIKA, l’agenzia di cooperazione turca, per progetti di sviluppo in Africa occidentale fanno da corollario alla narrativa del presidente, insieme all’offerta d’aiuto contro i gruppi jihadisti sempre più attivi nella regione. Se la Turchia, a differenza di altre potenze con approccio più classico come Francia, USA e Germania, non ha ancora preso parte alla militarizzazione del Sahel, potrebbe però cominciare presto. Il condizionale è d’obbligo visto che il contenuto degli accordi (e dei contratti) firmati durante la visita in Senegal e Mali resta secretato. La linea, in questo senso, è stata tracciata dall’apertura nell’ottobre scorso della prima base militare turca nel continente, in Somalia, a cui ben presto seguirà un’altra in Sudan.
Quella messa in campo dalla Turchia in Africa occidentale è una forma di espansionismo con varie sfaccettature che trova nell’iniziativa economica la sua stessa ragion d’essere. Ecco che il 12 e 13 febbraio scorso, a Istanbul, è stato celebrato il primo Forum economico fra Turchia e Cedeao/Ecowas, la Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale che conta 17 paesi a cui si potrebbero presto aggiungere Marocco, Tunisia e Mauritania.
Secondo diversi analisti, la ricetta commerciale di Erdogan è basata su una strategia di segmentazione regionale del mercato africano in vista di una futura omogeneizzazione delle formule economiche e di sviluppo adottate nel continente. Dopo quelli del 2008 a Istanbul e del 2014 a Malabo, in Guinea Equatoriale, l’anno prossimo avrà luogo il terzo Forum sul partenariato Turchia-Africa. Un “evento di portata storica” organizzato dal Ministero degli Esteri turco e dall’Unione Africana destinato a sancire, una volta per tutte, la nuova posizione di forza della Turchia sul continente del futuro e del presente.
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Francesca Caruso