La NATO di Madrid: “back to the future”
L’invasione russa dell’Ucraina, nella sua brutalità, ha risolto la crisi di identità della NATO. Vale sempre la legge che le alleanze militari, per funzionare, hanno bisogno di un nemico: Vladimir Putin si è pienamente calato nel ruolo, consentendo alla NATO di lasciarsi alle spalle la “crisi terminale” di cui parlava Emmanuel Macron nel 2019.
Al vertice di Madrid la NATO ha ritrovato la sua funzione originaria: la difesa collettiva dell’area euro-atlantica rispetto a una Russia che pone – si legge nel nuovo Concetto Strategico – “la minaccia più significativa e diretta alla sicurezza alleata”. Per anni, dopo il crollo del Muro di Berlino, la NATO ha oscillato fra scelte diverse: l’allargamento agli ex Paesi membri del Patto di Varsavia, l’intervento del 1999 in Kosovo, l’appoggio agli Stati Uniti in Afghanistan dopo l’11 settembre. Entrando alla fine in una parabola discendente, con i dubbi espliciti di Donald Trump sulla sua utilità e la disastrosa gestione del ritiro da Kabul.
Oggi, tutto questo sembra di colpo appartenere al passato: nel presente, l’Alleanza atlantica appare alle democrazie occidentali come la scelta di sicurezza più razionale per affrontare un confronto con la Russia di Putin che si annuncia lungo e difficile. Non è solo un atlantismo di ritorno dei governi: i sondaggi confermano che le opinioni pubbliche di Europa e Stati Uniti sono favorevoli alla NATO. Perfino in due Paesi tradizionalmente neutrali come Svezia e Finlandia, che cominciano da Madrid il loro percorso di adesione alla NATO. Caduto il veto del presidente turco Erdogan (che ha posto le sue condizioni sul problema curdo e le forniture militari) l’Alleanza si allarga ai paesi scandinavi. Putin voleva una NATO più lontana dai suoi confini, ha ottenuto l’opposto: esisterà una lunga linea di contatto fra la Russia revanscista di oggi e un’area euro-atlantica che si sta riorganizzando.
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Su che linee? Una lezione decisiva della guerra in Ucraina è che la NATO deve rendere più credibile la difesa collettiva dell’Europa. Deve insomma tornare, in condizioni diverse e in un mondo che non è più bipolare, alla logica essenziale della vecchia guerra fredda: la capacità di difendere l’insieme del territorio alleato, dissuadendo attacchi convenzionali nei Paesi più esposti (Repubbliche Baltiche e fianco Est, dalla Polonia alla Romania) e rafforzando la deterrenza nucleare.
Si spiegano così una parte delle decisioni annunciate a Madrid: l’aumento delle forze di reazione rapida della NATO da 40.000 a 300.000 uomini, il rafforzamento della presenza militare americana in Europa (con nuovi sistemi di difesa aerei in Germania e Italia, altre truppe in Romania e un nuovo comando in Polonia), la decisione di “pre-assegnare” contingenti nazionali a eventuali missioni congiunte e di schierare altri battaglioni in paesi come Ungheria, Romania, Bulgaria. In sostanza: siamo di fronte al primo vero potenziamento delle forze militari alleate da parecchi decenni a questa parte e a un cambiamento parziale di dottrina operativa, per rendere le prime linee di difesa più resistenti a un attacco eventuale.
La sicurezza euro-atlantica, tuttavia, non dipende solo dal fronte Est e non è solo connessa alla nuova guerra fredda con Mosca. Il concetto strategico approvato a Madrid menziona per la prima volta anche la Cina, sostenendo che Pechino pone una “sfida sistemica” agli interessi, alla sicurezza e ai valori dei paesi alleati. In questo caso, trovare un accordo fra gli Stati Uniti, che vedono comunque nella Cina il vero competitore a lungo termine, e parte degli europei, preoccupati di evitare una saldatura completa fra Mosca e Pechino, non è stato facile. Ma si tratta di un necessario trade-off fra la dimensione regionale in cui opera la NATO e la condivisione del rischio globale. Non a caso, sono stati per la prima volta invitati a un vertice dell’Alleanza atlantica quattro partner asiatici (Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda, Australia). Dal punto di vista degli Stati Uniti si profila un doppio sistema di alleanze, con al centro i sistemi democratici e con l’America quale perno.
La NATO “glocal” che emerge dal vertice di Madrid ha naturalmente anche un fronte Sud, dove si mette alla prova la capacità di prevenire e gestire sfide molteplici: controllo delle aree di crisi contese fra Russia e Turchia (Libia, Siria), futuro del Sahel, sicurezza energetica e alimentare, terrorismo, traffici illegali. La NATO baltica del dopo Ucraina trova insomma un ribilanciamento mediterraneo, che interessa da vicino l’Italia. Ma si tratta di un ribilanciamento parziale; sarà soprattutto su questo terreno che l’Unione Europea dovrà assumere maggiori responsabilità dirette. Dopo l’Ucraina nessuno, neanche Parigi, parla più di “autonomia strategica” senza mettere in sinergia NATO ed UE.
Fino a qui le scelte annunciate. Ma poi quelle che restano e possono ancora dividere. Per esempio, il nodo delle spese militari: una serie di paesi, fra cui l’Italia, sono ancora lontani dai livelli concordati. E’ un vecchio dibattito, reso più difficile dalle condizioni economiche attuali, ma che solleva un punto vero: le alleanze, per restare vitali, hanno bisogno di condivisione degli oneri e di investimenti. Specie in un’epoca come questa, segnata da rapidi salti tecnologici in campo militare e civile. Poi il futuro atteggiamento dell’America, con oscillazioni domestiche che peseranno sulle alleanze. Quanto resterà, dopo le elezioni del 2024, degli impegni presi da Joe Biden? E soprattutto la grande incognita ucraina, con il suo impatto sui rapporti con Mosca e i dilemmi sulla tenuta del consenso interno nelle democrazie occidentali.
La nuova NATO allargata dovrà fare i conti, quindi, non solo con la Russia e con gli sviluppi della partnership fra Mosca e Pechino, ma anche con i propri equilibri interni. Oggi l’unità ritrovata prevale. E prevale a Washington, di fronte alla guerra in Ucraina, la volontà di sostenere direttamente la difesa collettiva in Europa.
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In una prospettiva a medio termine, l’area indo-pacifica assorbirà comunque una quota crescente degli impegni militari americani, mentre l’Europa dovrà aumentare il suo peso specifico nella difesa del Vecchio Continente e nella gestione delle crisi nei Balcani e nel Mediterraneo. La Germania sembra averlo capito, approvando una crescita senza precedenti del proprio bilancio militare; ma costruire capacità operative europee richiede uno sforzo collettivo aggregato dei paesi membri dell’UE, in campo industriale e strategico.
E implica un “salto” culturale in un Continente a lungo abituato a delegare le proprie responsabilità di sicurezza e a considerare la guerra in Europa come uno scenario ormai superato. E’ un approccio che non ha più niente di credibile dopo lo shock dell’Ucraina. Da questo punto di vista, Madrid è solo l’avvio di un percorso necessario verso un’Alleanza euro-atlantica più bilanciata, condizione per la sua coesione futura.
*Una versione di questo articolo è stata pubblicata su Repubblica del 30 giugno 2022.