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La guerra di Biden sulla comunicazione

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“Potresti non essere interessato alla guerra ma la guerra è interessata a te”, diceva il rivoluzionario russo Leo Trotsky. Ce lo ha ricordato anche Ian Bremmer, presidente e fondatore di Eurasia Group – nota compagnia americana di consulenza sul rischio politico. E’ una frase utile per comprendere il modo in cui il presidente americano Joe Biden ha allertato in anticipo le cancellerie di tutto il mondo e l’opinione pubblica dell’imminenza di un attacco russo all’Ucraina.

Il presidente ucraino Zelensky nello studio ovale con Joe Biden, il 1° settembre 2021

 

La sfida alla disinformazione russa sull’Ucraina

Poteva sembrare un film dei fratelli Cohen, perché eccetto con l’ultimo alert, 36 ore prima dell’attacco poi effettivamente avvenuto, il 24 febbraio, Biden non ha azzeccato la data esatta della guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina. All’apice delle tensioni dei giorni precedenti, aveva dato per certo al mondo intero che l’aggressione sarebbe stata sferrata prima dell’alba del 16 febbraio, poche ore dopo che il ministero della Difesa russo aveva annunciato il ritiro dei contingenti al confine e che, tuttavia, la Duma russa aveva approvato una risoluzione per chiedere al presidente Putin di riconoscere e quindi annettere le due repubbliche separatiste del Donbass, Luhansk e Donetsk. Segnali contraddittori e degni di una farsa, che si erano conclusi con le dichiarazioni di Putin, a margine della visita del cancelliere tedesco Olaf Scholz a Mosca, in cui si impegnava ad attendere prima di dare seguito alla risoluzione, dando la percezione che vi fosse ancora spazio di manovra nei colloqui diplomatici.

Un alternarsi quasi sceneggiato, quello del capo del Cremlino, tra minacce, movimento dei soldati in assetto di guerra e un invito alla diplomazia, a cui però la Casa Bianca non ha ceduto, e non ha creduto. L’amministrazione ha infatti ingaggiato una battaglia contro la disinformazione russa fin da ottobre, ovvero da quando Putin ha schierato le truppe al confine russo-ucraino, pronte per l’invasione.

Già all’epoca il Cremlino aveva parlato di schieramenti dovuti ad esercitazioni militari ma Biden lo aveva contraddetto con un’opera di “debunking” divenuta sistematica nelle settimane successive: da parte russa era stato in effetti trasferito equipaggiamento medico, alcune unità erano state spostate per far rientro alla base ma altre erano subentrate. Andando ancora più indietro nel tempo, in aprile, Biden e Putin avevano avuto un colloquio telefonico in cui il Presidente americano aveva ribadito la necessità di una de-escalation al confine, proprio perché il governo di Mosca aveva già allora stanziato militari al confine tra Russia e Ucraina, e anche in Crimea la penisola sul Mar Nero annessa unilateralmente nel 2014.

 

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Biden, in questi mesi, ha deciso quindi di ri-classificare i dati della sua intelligence per renderli disponibili ai paesi alleati, e dai primi giorni di dicembre 2021, quando è stata pubblicato un rapporto che segnalava gli oltre 170 mila soldati russi ammassati al confine ucraino-russo, ha trasferito la controinformazione anche nella sua comunicazione ufficiale: rivelando i dettagli del piano, le immagini satellitari delle truppe, i possibili pretesti utili al Cremlino per l’invasione, le intercettazioni tra gli alti ufficiali vicini a Putin; e liberando così una mole di informazioni come mai nessun altro presidente aveva fatto. Un’operazione-verità aiutata anche dall’”open-source intelligence”, Osint, ovvero la collezione e l’analisi di dati da parte di fonti aperte, rese disponibili dai satelliti commerciali che hanno reso fruibili, ad esempio, le immagini dei mezzi militari nel campo di Rechitsa in Bielorussia, dove tra i primi di febbraio e la metà del mese è stato rivelato lo spostamento di uomini e mezzi russi dalle basi in Bielorussia a quelle in Crimea.

In questo senso la presa di posizione di Biden contro il “brain-washing” delle fake news e la propaganda del Cremlino, di cui la Russia si è servita in tutti questi anni, a partire dall’abbattimento del volo della Malaysia Airlines MH17 proprio sui cieli ucraini nel 2014, ha trovato terreno fertile: un mondo fatto da giornalisti, accademici e analisti dei think-tank che hanno contribuito alla diffusione della controinformazione americana attraverso la rete e, per ironia della sorte, anche grazie all’app cinese TikTok, dove sono stati pubblicati videoclip dei mezzi russi della base di Rechitsa.

 

Lesson Learned

Una campagna di comunicazione, dunque, che continua e che ha lo scopo di combattere la propaganda russa che ha agito indisturbata per molti anni. Ma  anche una mossa politica per definire gli Stati Uniti di oggi, sotto la sua presidenza, in antitesi con la visione dell’ex Presidente Trump. Una lezione, sembrerebbe, appresa sul campo della sconfitta dei Democratici alle presidenziali del 2016: secondo molti, una narrazione distorta della realtà, promossa e orchestrata dal suo predecessore, con bugie montate ad arte, negazione dei fatti, diffusione di false notizie sugli avversari politici e un’intensa propaganda in stile putiniano, hanno consegnato la Casa Bianca a Donald Trump e rilasciato dopo quattro anni, come dopo una prigionia, un Paese ostaggio delle lacerazioni interne.

Biden ha reiterato l’uso di alcune parole ed espressioni specifiche in molte delle sue recenti dichiarazioni sulla guerra in Ucraina, un’insistenza culminata nel suo discorso sullo Stato dell’Unione, il 1° marzo: quella di Putin contro l’Ucraina è “una guerra premeditata”, ha detto; “Putin ha pensato di poterci dividere, sia tra gli alleati europei che al Congresso, ma si sbagliava, siamo pronti e uniti e restiamo uniti”, ha rincarato. Parole che hanno convinto e unito Repubblicani e Democratici, distanti su tutto e specchio del Paese, a convergere sulle sanzioni contro Putin decise dalla Casa Bianca.

Una sintonia, è bene ricordarlo, subito strozzata quando Biden ha toccato, nel discorso al Congresso, le questioni interne. Del resto non c’è più niente di più unificante ed effimero di un nemico comune e atavico come la Russia.

 

Nuove strategie di contenimento

Biden, il presidente del cosiddetto nuovo ‘New Deal’, non ha però intenzione di indossare i panni di Franklin Delano Roosevelt, che guidò gli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale. Se lo avesse fatto durante il discorso sullo Stato dell’Unione, avrebbe consegnato l’idea di un’America in guerra contro la Russia, esattamente quello che la Casa Bianca non vuole. Perché il vero obiettivo è provare a risolvere quella che è stata una crisi esistenziale della democrazia negli Stati Uniti, culminata nell’assalto al Congresso del 6 gennaio 2021, crisi a cui la narrativa anti-sistema di Trump ha contribuito.

 

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Per ottenere l’appoggio dell’opinione pubblica, il presidente Democratico non ha voluto far sentire gli americani sull’orlo di un conflitto: ha invece deciso di portare l’”odore” della propaganda russa e di conseguenza della guerra abbastanza vicino da suscitare e compattare una reazione collettiva. Una controffensiva che ha avuto lo scopo di giocare d’anticipo sulla battaglia politica contro i Repubblicani, ancora molto influenzati dalla visione trumpiana, in vista delle elezioni che a novembre rinnoveranno tutta la Camera e un terzo del Senato. E anche l’obiettivo di anticipare con gli alleati le possibili mosse – e l’annuncio delle sanzioni prima ancora dell’attacco russo lo ha dimostrato – rafforzando la leadership degli Stati Uniti all’interno dell’Alleanza atlantica, recuperando l’approccio del ‘contenimento’, paradigma degli anni più bui della guerra fredda.

Perciò Biden ha operato un’inversione di marcia decisiva: un anno fa, all’indomani del suo giuramento, aveva infatti dichiarato di voler coltivare rapporti stabili con la Russia. Una relazione che, a poche ore dallo scoppio del conflitto in Ucraina, non è solo diventata impossibile ma anche innaturale da perseguire perché, ha detto Biden, “non può esservi alcun genuino interesse da parte di Putin a trattare con gli altri Paesi”, visto che ha mentito al mondo sulle sue reali intenzioni.

Queste parole sembrano riecheggiare quelle di George F. Kennan, l’autore del famoso “lungo telegramma” che dava inizio alla strategia del contenimento dell’Urss: secondo il diplomatico americano, nel 1946, l’unica strada era limitare le ambizioni territoriali di Stalin, anche perché il leader comunista era “paranoico, ostile e minaccioso”, contrastare la propaganda, e controbilanciare i tentativi sovietici di dividere i paesi alleati. Nel 2022, a distanza di 76 anni da quella lucida valutazione di Kennan che è dai più considerato l’avvio della ‘Cold War’, Biden conia un nuovo contenimento, che può dare il via ad una ulteriore stagione della guerra fredda.