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La guerra di Biden alla nuova povertà

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“C’è un sogno, si chiama ‘Build back better’, e vorremmo approvarlo al Senato prima di Natale”,  così ha detto Chuck Schumer, leader della maggioranza al Senato. Oltre che un sogno, il Partito Democratico vorrebbe farne il suo regalo di Natale agli americani. E poi c’è un altro Senatore, Joe Manchin, dirimente per realizzare questo sogno, che, a sette giorni da Natale, ai microfoni di Fox News, ha dichiarato in modo definitivo, dopo mesi di trattative e no incerti, che “no, non voterà questo pezzo di legislazione mammuth”.

Joe Manchin affetta contrarietà durante un intervento di Chuck Schumer al Senato

 

Di cosa parliamo? Di una delle misure più controverse e progressiste che gli Stati Uniti abbiano mai compiuto: di una più accessibile assistenza all’infanzia, di programmi universali di “pre-k” (pre-asilo), di due anni di istruzione post-secondaria gratuita, di un’espansione dell’assistenza sanitaria oltre l’Obamacare (Affordable Care Act), di congedi parentali pagati. Un piano di spesa sociale per il quale  l’83% degli elettori democratici è molto favorevole e persino un terzo dei votanti repubblicani. Ma è un sogno che deve scontrarsi con una realtà che non regala niente, e che è anzi un fuoco amico: le divisioni interne ai Dem al Congresso che ne hanno già modificato e ridotto le ambizioni, e continuano a metterlo sotto ricatto al Senato. Una storia già nota.

Nel marzo 2010, 34 Democratici votarono contro l’”Affordable Care Act” alla Camera, insieme all’opposizione repubblicana. Non abbastanza per affossare la famosa legge di riforma del sistema sanitario, ma abbastanza per dare un segnale al Presidente Obama, che su quel provvedimento avrebbe speso la maggior parte delle sue energie durante il suo mandato. Un segnale che arrivò ancora più lontano, tanto da impattare sulle elezioni di midterm che seguirono, le quali videro l’ingresso del Tea Party al Congresso, la perdita per i Dem della Camera e diversi seggi al Senato, la sconfitta per il partito di Obama dei governatorati in sei stati chiave, la presidenza repubblicana delle commissioni al Congresso e l’insediamento di un insieme di giudici distrettuali di area conservatrice che condusse successivamente anche alla nomina dei tre nuovi giudici più vicini ai Repubblicani alla Suprema Corte. Più che un segnale, dunque, un solco profondo: quanto è lungo e difficile il percorso riformista, soprattutto negli ultimi venti anni, per un’assistenza sanitaria più universalistica e delle misure sociali e di welfare che vi possono essere associate?

Il 19 novembre, undici anni dopo, è stata approvata alla Camera la legge sui programmi di welfare sociale e climate change, che fanno parte del piano Build Back Better, l’intervento più corposo del governo americano nell’ultimo mezzo secolo. Il provvedimento, che tiene insieme da una parte la ‘Social Safety Net’ e dall’altra gli interventi contro il cambiamento climatico, è uno dei pezzi forti dell’agenda del Presidente Biden. 220 deputati (213 contrari) hanno approvato una legge che prevede di destinare 2,2 mila miliardi per ritessere la rete di un’assistenza sociale che negli anni si è lacerata o che non è mai stata approntata adeguatamente, e che lascia ancora dei buchi importanti. Una legge che arriva, non a caso, durante la grande crisi di salute pubblica dovuta al Covid, con una congiuntura economica che ha colpito fortemente la classe media oltre che i poveri, benché abbia fatto aumentare le entrate dei più ricchi.

Un provvedimento dunque in parte figlio del momento storico, in cui la ripresa dalla pandemia non è affatto completa e che è complicata da costi imprevisti per le famiglie: la cura dei figli, l’accesso all’istruzione, la necessità per i genitori di restare a casa per seguire i propri figli nei momenti in cui le scuole non funzionano, anziché lavorare. Ma non c’è solo questo nella legge: c’è l’urgenza di intervenire per mitigare gli effetti del cambiamento climatico, gli incendi e le devastazioni degli uragani di questi ultimi mesi.

E’ una legge omnibus, che si propone anche di fronteggiare l’ingiustizia razziale resa sempre più intollerabile dall’uccisione di uomini e donne di colore per mano della polizia; le carovane di migranti al confine con il Messico e gli Stati del centro America arrestati dalla polizia di frontiera e rispediti a casa, e la frontiera ancora sigillata a causa della pandemia. La legge prevede infatti una parte, 113 miliardi di dollari, su temi legati all’immigrazione, in particolare per i permessi di lavoro.

Le cifre più significative restano comunque per le famiglie: per il ‘child care’, circa 273 miliardi, il ‘child tax credit’, 185 miliardi, la l’‘universal pre-school’ 109 miliardi e il ‘paid leave’, 205 miliardi di dollari. A cucire insieme la rete sociale contribuiranno anche i 401 miliardi di dollari per l’assistenza sanitaria, che prevede di portare a 74 miliardi i sussidi per il premio assicurativo a coloro che ancora non hanno una copertura; per la sanità di prossimità e di domicilio ci saranno 150 miliardi, per colmare il ‘medicaid gap’ ci saranno 57 miliardi e, tra gli altri, 26 miliardi di dollari per aumentare le risorse della sanità pubblica.

 

Dalla “Great Society” alla ”Opportunity Society

Today we have an historic opportunity to make welfare what it was meant to be: a second chance, not a way of life. And even though the bill has serious flaws that are unrelated to welfare reform, I believe we have a duty to seize the opportunity it gives us to end welfare as we know it”. Potrebbe averlo detto Joe Biden quando la Camera ha approvato la Social Safety Net. E invece sono le parole di Bill Clinton, il primo agosto del 1996, prima del voto al Congresso sulla sua proposta di legge sul welfare. Ma perché scomodare un discorso da fine mandato di un Presidente in cerca di rielezione?

Clinton all’epoca alla fine del primo mandato, parlando al Congresso, non fece che richiamare alla mente dei deputati gli sforzi da lui compiuti nei tre anni e mezzo precedenti e poco sembra avere a che fare con Biden, alla presidenza solo da un anno, ma già in grave calo di consensi e che ha però portato a casa un primo risultato. Sembrerebbero quindi due posizioni molto differenti, Clinton in una condizione di forza, Biden di debolezza. Con la riforma proposta da Clinton, nel 1996, si modificò una misura simile alla child tax credit (CTC) ed introdotta da Franklin Delano Roosevelt negli anni Trenta, un sussidio rivolto ai bambini più bisognosi che Clinton interpretava come un intervento dannoso se non legato ad altre azioni. La misura attuata da Clinton e che rientrava nel Middle Class Bill of Rights Tax Relief Act del 1995, prevedeva il Ctc di 300 dollari per figlio per i primi due anni, 1996-98, e dal 1998 500 dollari, con un decremento però che iniziava alla soglia di reddito di 60mila dollari annui dei genitori e solo per i bambini sotto i 13 anni. Considerato il tasso di povertà tra i minori dei primi anni Novanta, il 22%, l’intervento di Clinton era davvero minimale e comunque ancorata sempre alla concezione che i sussidi dovessero raggiungere le famiglie che cercano un lavoro, se non ce l’hanno, o che hanno salari molto bassi.

La misura, con diversi ritocchi, rimase a livello federale e in sette Stati in particolare, ma solo nel 2017 subì degli aggiustamenti, aumentando l’importo del sussidio. Biden ha ulteriormente rafforzato questa misura, raddoppiandola, e già da prima del passaggio della legge alla Camera, durante i primi mesi della presidenza come intervento legislativo nell’ambito dell’American Rescue Plan Act, un pacchetto di misure economiche da 1.900 miliardi di dollari per sostenere gli americani in difficoltà dalla pandemia e rilanciare l’economia. La Ctc fa ora parte del Social Safety Net ma vedremo come ne fa parte.

La misura voluta da Clinton, abolendo quella concepita nel New Deal, prevedeva infatti di fornire i sussidi solo alle famiglie con un impiego e delle entrate, nella convinzione che dare soldi a “chi non fa niente” fosse controproducente. Sostanzialmente si trattava di aiutare solo chi rientrava in quel 10-12% di poveri, costantemente individuati nella società americana da Census Bureau, escludendo dal beneficio coloro che pur non rientrando nella categoria vivevano in profonda ristrettezza. Bisognava dare un’opportunità per Clinton, non fornire la soluzione. Serviva costruire una società forte in grado di far leva su una possibilità in più data dal governo per risollevarsi: una sorta di ‘opportunity society’.

Bill Clinton firma la riforma del welfare (1994)

 

Biden ha invece tarato il suo intervento su un altro piano: aiutare tutti coloro che sono colpiti da una qualche forma di privazione, non solo chi è povero per le statistiche ma tutti coloro che hanno figli e rientrano nei 150mila euro di reddito cumulativo tra i due genitori. Il Presidente ha quindi consegnato alla Camera, dove i Democratici hanno la maggioranza, una legge che come abbiamo visto non gode dell’unanimità del suo partito e che ha davanti un cammino ancora tortuoso al Senato dove i Dem sono 50 a 50 con i Repubblicani e, anzi, dove almeno due Senatori Dem, oltre Joe Manchin, Kyrstin Sinema, promettono di non voler sostenere la legge a causa dei suoi costi incerti ed eccessivi e del rischio, secondo Manchin, che con il problema dell’inflazione questa norma gravi non solo sulla spesa sociale ma sulle risorse che potranno ancora servire per l’economia e far fronte alla lotta al Covid. Una marcia che con ampia probabilità dovrà far ritorno alla Camera e subire ulteriori e profonde trasformazioni, oltre a possibili ritardi che faranno saltare i sussidi del Ctc.

Il problema che tiene insieme Clinton e Biden è che qualsiasi intervento sul welfare prevede un processo di assimilazione lungo nella società, una consapevolezza da parte delle persone sull’uso degli strumenti e delle risorse a cui accedere che necessita di un dibattito culturale  che si sedimenti. Il Child tax credit di Biden, già attivo da mesi e che è rinnovato nel Social Safety Net ma per solo per un anno, è stato forse una delle misure che più hanno impattato: l’88% delle famiglie con figli ha avuto accesso alla misura che può arrivare a 3,600 dollari annui per figlio, dove l’unica condizione è rappresentata dai 150mila dollari massimi di reddito annuo messi insieme dai due genitori. La misura infatti può calare dal minimo di 350 dollari mensili per figlio, e non importa quanti ce ne siano, a seconda che si raggiunga quel reddito.

Ma sarà impossibile rendere permanente questa misura senza un ampio sostegno al Congresso. Il Partito Repubblicano, di partenza, valuta questi interventi troppo gravosi sul deficit, insostenibili già nel medio termine. E Il Congressional Budget Office, una sorta di Ragioneria di Stato, ha valutato il costo in 1,7 mila miliardi di dollari di spesa diretta ma non è una stima completa, tanto che viene valutato più attendibile una spesa di 2,5, e ancora meglio di 3 mila miliardi di dollari per 10 anni, con alcuni capitoli che andranno rifinanziati di anno in anno. Il Presidente e il Partito Democratico ripetono che in ogni caso il piano non aggiungerà alcun punto di deficit, ma, come detto, anche tra i Dem non c’è unanimità: i senatori Sinema e Manchin probabilmente continueranno a ridurne i costi una volta che la legge approderà al Senato.

 

La povertà che non vogliono vedere

L’8 gennaio 1964 Lyndon B. Johnson lanciò il suo programma di ‘Great Society’ per quella che chiamò ‘guerra alla povertà’, costruita su una serie di azioni, interventi e sussidi per milioni di indigenti, investimenti sull’istruzione e una vera rete di welfare. Lo fece dal portico della casa di un operaio disoccupato, in Kentucky, la stessa casa che è stata immortalata dal fotoreporter Matt Black che a partire dal 2015 fino agli inizi del 2021 ha raccontato per immagini la nuova povertà nel volume ‘American Geography’. Black non ha avuto difficoltà a raccontarla, è partito con una mappa del Census e ha attraversato con pullman e un furgoncino l’America da nord a sud, da est ad ovest, trovando la povertà di ‘Furore’ di John Steinbeck, come se i poveri di quasi un secolo fa, quelli della Grande Depressione raccontati dallo scrittore premio Pulitzer, non fossero mai scomparsi.

Ma che cos’è la povertà oggi? Nel 2019, secondo il Census Bureau, la soglia di povertà si attestava sui 26,172 dollari mensili per una famiglia di quattro persone, sotto questa cifra una famiglia poteva considerarsi indigente. Secondo un sondaggio Gallup, per gli americani che in quella povertà vivono, per stare fuori dalla condizione, servono almeno 58mila dollari mensili di entrate. La povertà è però anche mancanza di un lavoro, di un’assistenza sanitaria, e tutte le privazioni che hanno toccato gli americani in questi due anni pandemici. Non è infatti solo il costo della vita, il cibo da portare in tavola che poteva essere considerato uno degli indicatori più importanti nella società degli anni Sessanta quando il Presidente Johnson lanciò il programma ‘Great Society’, ma anche il costo di un’abitazione, l’affitto, il mutuo. Tanto che il Census recentemente ha calcolato che la povertà, in questa prospettiva, riguarda il 38% di americani che in qualche modo sono stati privati di assistenza, istruzione e beni essenziali nel corso della loro vita.

In questo senso quella ingaggiata da Biden è una nuova guerra alla povertà. Il piano Build Back better, che tiene insieme il piano per le infrastrutture approvato al Congresso, gli aiuti Covid, gli investimenti per combattere il cambiamento climatico e la Social Safety Net, è un ibrido tra il New Deal di Roosevelt e la Great Society di Johnson, la ripresa di una politica di intervento pubblico interrotta e, nonostante i tentativi, mai realmente coronata dal successo. Le misure elaborate durante una fase di ripresa economica, come quella che viveva il Paese a metà degli anni Sessanta in cui l’economia cresceva del 10%, hanno una maggiore forza sia in termini di approvazione dell’opinione pubblica, sia di consenso parlamentare.

L’idea di Johnson, con la Great Society, era di creare un piano al di sotto del quale le persone in difficoltà non sarebbero andate. Quella di Biden è di costruire un piano ulteriore, sopra il quale le persone possano stare meglio e risollevarsi, e questo non perché sia diminuita la povertà, anzi, forse è peggiorata: dall’inizio della pandemia 74,7 milioni di americani hanno perso il lavoro, impieghi per lo più del settore industriale con salari bassi. E i dati del Census Bureau spiegano l’impatto del Covid sulle entrate delle famiglie ma anche le disuguaglianze che si sono create negli ultimi mesi: mentre diminuisce la capacità di spesa dei ‘working poor’ e degli appartenenti alla ‘middle class, peraltro impiegati a tempo pieno, aumentano i guadagni dei 651 miliardari più ricchi, che nel 2021 hanno fatto un balzo in avanti del 36%, mettendosi in tasca tra dividendi e profitti oltre 1000 miliardi di dollari.

L’idea di una “(ri)costruzione nazionale” che consenta agli americani di sentirsi sicuri e protetti attraversa tutti i partiti, quindi non dovrebbe essere difficile da portare avanti in termini di consenso parlamentare. Così non è però: la Social Safety Net e gli interventi per i cambiamenti climatici nelle intenzioni prevedevano la spesa di oltre 3,5 mila miliardi di dollari; sono stati già tagliati a 2, 2 mila miliardi, ma soprattutto sono venute meno alcune misure centrali come la copertura dentistica e oculistica per i destinatari del Medicare, la “free community college”, ovvero la gratuità degli ‘junior college’; il congedo per motivi familiari e per motivi medici è stato ampiamente ridotto. Una ‘diminutio’ che già indebolisce la legge prima ancora che arrivi al Senato.

Il tema della spesa sociale, ‘from cradle to grave’, dalla culla alla tomba, non ha comunque mai smesso di occupare la scena politica anche negli anni Settanta e Ottanta, anche se dopo la rivoluzione della Great Society di Johnson è stato interpretato in maniera sempre più critica. A partire da Ronald Reagan, presidente dal 1981 all’89, ma che già nella sua campagna elettorale per il governatorato della California derise il ‘social spending’ e una volta divenuto presidente dichiarò che “il declino dell’economia americana degli anni Settanta” era da riconnettere “all’intrusione del governo,  per colpa di una non necessaria ed eccessiva spesa dell’amministrazione”.

Lyndon Johnson incontra Martin Luther King alla Casa Bianca, prima della firma di una delle leggi della “Great Society”

 

Ma la spesa sociale non godeva di buona fama nemmeno durante l’amministrazione del Democratico Jimmy Carter (1977-81): Carter infatti incaricò il segretario per Salute, Istruzione e Welfare, Joseph Califano Jr. di lavorare al ‘pro-work and pro-family rules’, un programma che non venne mai alla luce per ragioni di spesa. Negli anni che seguirono si affermò l’idea che i programmi di spesa per combattere la povertà fossero semplicemente inutili, perché la povertà era vista come un fallimento personale. Non solo: le misure di welfare erano considerate come una specie di regalo ai criminali e agli indolenti. Il tema dell’aiuto alle famiglie era in contrasto con la sicumera che le famiglie che hanno successo, gli individui che ce la fanno, ce la fanno da soli. Due decenni, gli anni 80 e 90, che hanno visto una crescita del numero di persone in povertà anche in relazione alle varie fasi di recessione dell’economia americana.

L’assioma povertà = fallimento è stato contrastato anche nelle alte sfere della politica solo quando Bernie Sanders si è candidato alle primarie democratiche, nel 2016. Un quarto di secolo prima, nel biennio 1981-82, ciò che era stato costruito durante gli anni di Johnson era già stato smantellato. Reagan infatti intervenne subito, con tagli per 22 miliardi di dollari, sia sui programmi di welfare sia sui ‘federal student loans’ e persino su un programma dall’impatto modesto elaborato con il ‘Comprehensive and Training act’ finalizzato ad avviare ad una professione le persone svantaggiate. Nonostante i tagli, argomentati anche come strumento di riduzione del debito pubblico, il deficit crebbe – soprattutto grazie alle spese militari: nel 1987 arrivò una recessione che solo nel 1989 si arrestò, in cui oltre 6 milioni di americani caddero in povertà.

Un percorso che i Democratici, tornati alla presidenza con Bill Clinton a fine 1992, promisero di cambiare nettamente, ma senza successo. Anche Barack Obama (2008) dovette abbandonare l’idea dell’assistenza sanitaria universale e gratuita: riuscì, solo di stretta misura, a far passare l’Affordable Care Act, dunque l’estensione universale della copertura assicurativa. Oggi il tasso di povertà in America è stimato all’11%, lo stesso registrato nel 1973; sette anni dopo che Johnson aveva avviato la Great Society.

Nel West Virginia, lo stato del Senatore Joe Manchin, il quale non intende sostenere la legge sulla Social Safety Net e il cambiamento climatico al Senato, il Child tax credit di Biden copre 170 mila bambini in più che in precedenza. A luglio scorso, la percentuale di famiglie che non potevano mettere il cibo in tavola è scesa dall’11,6 all’8,4 grazie a questa misura. Le famiglie che hanno avuto accesso a questo sussidio hanno dichiarato al Washington Post di aver potuto acquistare anche beni come nuovi vestiti per i figli, o la legna per scaldare la casa. Manchin vorrebbe portare il reddito oltre il quale non si riceve più il sussidio a 60mila dollari, poco più di quella soglia per cui le famiglie sentono di non poter far fronte alle spese, di non poter più combattere la guerra alla povertà.

La misura del CTC in tutti gli Stati Uniti ha dato sostegno a circa 60 milioni di bambini e ragazzi e un gruppo di ricercatori della Columbia University ha stimato che in questi primi mesi sono usciti dalla povertà 3 milioni di minori; e che se tutti i bambini potessero accedere a questo beneficio la condizione di privazione e di povertà più seria si ridurrebbe del 40% in tutto il Paese. Se il Build Back Better, come è ormai probabile, ritarderà il suo iter di voto in Senato, scomparendo dai doni di Natale di Chuck Schumer, Biden e i pezzi forti del partito, cercheranno di raddoppiare i sussidi nel mese di febbraio, quantomeno per il CTC, speranzosi e convinti però che se non sarà ora, la legge verrà comunque approvata. Anche perché, se così non fosse verrebbe meno il paradigma con cui il Presidente e anche lo stesso partito Democratico hanno costruito la propria agenda, non solo da qui alle elezioni di midterm del 2022, ma anche per le elezioni presidenziali del 2024. Le misure di contrasto alla povertà contenute nel Build Back Better, infatti, mirano a colmare il gap di povertà anche tra gli stranieri. Molti di questi non conoscono la misura del CTC o non hanno fatto richiesta del credito tramite la propria dichiarazione dei redditi perché temono di mettere a rischio l’ottenimento del permesso di residenza, o anche per mancanza di redditi. Lo stesso dipartimento del Tesoro ha stimato che di 67,6 milioni di bambini eleggibili per la misura, fino ad oggi i pagamenti sono andati nei conti correnti dei genitori di 61 milioni di bambini.

Sempre i ricercatori della Columbia University stimano che, se la misura raggiungesse tutti i bisognosi del CTC, la povertà arriverebbe sotto il 10%, e in particolare tra le famiglie di colore e ispaniche: rispettivamente calerebbe dal 18,4% al 13,6% e dal 16,8% al 14,1%.
La guerra contro la povertà di Biden è una lotta contro le ingiustizie e non può essere neutrale; per avere significativi effetti deve agire anche sulle disparità razziali, dalla Great Society alla Justice Society.