La Grecia che non vuole farsi emarginare: interessi e alleanze nel Mediterraneo orientale
Stremata dall’austerity, costretta a trattare con la Macedonia del Nord per risolvere una disputa che durava da decenni, in difficoltà per una presenza di migranti di cui non riesce più a sopportare il peso, con una posizione strategica sulla carta del Mediterraneo. Eppure, messa all’angolo sullo scacchiere internazionale. La Grecia di Kyriakos Mitsotakis è stata la grande esclusa dalla Conferenza di Berlino del 19 gennaio sulla Libia. Una scelta, secondo alcuni, operata per compiacere la Turchia, ma che rivela una mancanza di visione non solo per quanto concerne il futuro di Atene, ma anche la stabilità di tutta l’area.
La versione ufficiale per motivare il mancato invito alla delegazione ellenica è stato che alla Conferenza di Berlino si sarebbe parlato unicamente della tregua fra il capo del Governo di accordo nazionale, Fajez al-Serraj e l’uomo forte della Cirenaica, Khalifa Haftar. Nessun accenno, quindi, al memorandum firmato fra Ankara e Tripoli lo scorso 27 novembre, che prevede, fra le altre cose, la creazione di un corridoio marino, destinato a ridisegnare tutte le acque territoriali e le zone economiche esclusive. L’accordo non è riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma questo, per il presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, è un particolare trascurabile, tanto che, pochi giorni fa, ha annunciato che presto inizieranno le operazioni di sondaggio dei fondali che la Turchia giudica di sua pertinenza, ma che per la legge internazionale, appartengono alla Grecia e a Cipro.
Le acque del Mediterraneo dell’est, con i giacimenti di risorse naturali (petrolio e gas) che custodiscono e che si calcolano in centinaia di miliardi di metri cubi, si confermano uno dei capitoli più delicati per quanto riguarda la stabilità della regione. Tutti gli stati che che vi si affacciano, a torto o a ragione, vogliono conquistarsi una posizione di accesso di primo piano.
Ankara, in particolare, è intenzionata a boicottare il progetto Eastmed, che vede coinvolte Grecia, Cipro e Israele e che consiste nel portare un Europa il gas del Mediterraneo orientale. Parte delle acque interessate da Eastmed sono infatti quelle reclamate dall’accordo fra la Turchia e Tripoli, ed è dunque lecito aspettarsi che nell’area nascano nuove, pericolose tensioni. Bruxelles sta procrastinando il più possibile il momento di affrontare il problema; perciò la Grecia si è sentita tradita, ma è comunque pronta a fare valere i suoi diritti sul piano internazionale.
«Per prima cosa la decisione di non invitare la Grecia alla Conferenza di Berlino – spiega ad Aspenia online Vasilis Dalianis, esperto di relazioni europee – è stato considerato un atto di snobismo diplomatico. La Grecia non è mai stata parte del processo di Berlino sin dal suo inizio, nel settembre 2019. Ma dopo la firma del memorandum fra Turchia e Libia è diventata parte in causa. Il governo greco sta tentando di fare sentire la sua posizione, seppure dall’esterno. Prima del Summit il premier, Kyriakos MItsotakis, ha incontrato Khalifa Haftar, oltre naturalmente ad aver protestato con Berlino per l’esclusione. La notizia, comunque, non ha è piaciuta all’opinione pubblica, sia perché la Germania già a causa delle politiche di austerity in atto dal 2010 non è ben vista, sia perché i rapporti con la Turchia sono sempre tesi. Comunque, al di là della protesta ufficiale, il governo di Atene non ha diffuso messaggi polemici nei confronti dell’Unione, sa per primo che la situazione è molto delicata».
Ma, agli occhi dei greci, l’Ellade è stata trattata come la ‘Cenerentola del Mediterraneo’. Un’immagine che il primo ministro Mitsotakis, interessato ad apparire come partner efficiente e affidabile, vuole scrollarsi di dosso al più presto. Atene ha più di un motivo perché Bruxelles prenda le sue richieste in considerazione. La Grecia ritiene di dover essere ascoltata, in partenza, per le sofferenze subite con il programma economico finanziario imposto dall’UE, da cui ancora a fatica si sta risollevando.
Ma in aggiunta, Atene si trova a gestire per conto dell’Unione Europea un’emergenza migratoria che va bel al di là delle sue possibilità: Bruxelles non solo non ha un progetto per alleviare questo peso, ma rischia anche di vederlo aumentare. Fra le isole di Samos, Kos, Chios e Leros, ci sono circa 80mila migranti fra siriani, afghani e pakistani. Provengono tutti dalla vicina Turchia, e questa, a fini piuttosto palesemente ricattatori, dalla primavera dello scorso anno, non solo ha allentato i controlli delle sue coste che limitavano le traversate dell’Egeo con mezzi di fortuna, ma minacciato più volte di riaprire anche la rotta di terra – quella che passa dall’antica Tracia, attraversando la Grecia del Nord e quindi i Balcani verso la Mitteleuropa.
Se le isole versano in una condizione critica, le città non sono da meno. Nella capitale Atene i migranti arrivati nell’ultimo periodo sono almeno 30mila. Per la maggior parte vivono nei centri di accoglienza o in strutture occupate: nonostante il grande sforzo umanitario del popolo greco, la loro situazione diventa ogni giorno più critica.
Va poi ricordata la crescente aggressività espansionista della Turchia. Erdoğan reclama come proprie alcune isole del Dodecaneso, soprattutto Imia, Simi e Kos, e ha più volte detto di voler ridiscutere il trattato di Losanna quando questo andrà a scadenza, nel 2023, centenario della Repubblica turca. Il trattato, firmato da Kemal Atatürk, sanciva la fine dell’Impero Ottomano e la nascita della Repubblica turca, a condizione di rinunciare a ogni possedimento o conquista in Siria, Iraq, Cipro e nel Dodecaneso – territori che passavano sotto il controllo delle potenze europee.
Ma il nazionalismo nasconde una ragione molto più pratica. Se il capo di Stato dovesse riuscire nel suo intento, cambierebbero anche i confini marittimi di competenza, con il risultato di isolare la parte grecofona dell’isola di Cipro. Cipro, spaccata in due dal 1974, è parte della UE dal 2004 con l’eccezione della parte turcofona, detta Repubblica turca di Cipro Nord e riconosciuta in sede internazionale solo da Ankara.
L’errore di Angela Merkel e di tutti gli altri leader presenti a Berlino è quello di voler affrontare la crisi libica senza considerare la situazione del Mediterraneo nel suo complesso. Cosa che, semplicemente, non è possibile, viste le mire espansionistiche della Turchia nella regione, che rischiano di interessare direttamente anche il Vecchio Continente. «L’accordo fra la Turchia e la Libia – spiega ancora Dalianis – ignora l’isola di Creta, ma soprattutto quella di Kastellorizo. Secondo la Turchia questa piccola isoletta a soli due chilometri dalla costa turca non può avere alcun impatto sulla definizione delle zone economiche esclusive, anche se secondo la Grecia e i 167 Stati che hanno ratificato il trattato UNCLOS delle Nazioni Unite, tra cui non compare la Turchia, ha lo stesso impatto della terraferma».
Si tratta di un particolare non da poco. L’Unclos sancisce sancisce anche la definizione di Zona Economica Esclusiva (EEZ), ossia un’area di mare in cui il Paese in questione ha i diritti sovrani per la gestione delle risorse naturali, quindi anche energetiche, oltre a poter decidere dove e quando installare strutture come piattaforme petrolifere. L’estensione della Zona Economica Esclusiva arriva fino a 200 miglia nautiche, questo significa che Atene ha il diritto di sondare buona parte delle acque dell’Egeo. A partire dagli Anni Sessanta, Grecia e Turchia hanno autorizzato esplorazioni in zone che sono inevitabilmente venute a coincidere. La mancata ratifica dell’Unclos da parte di Ankara ha provocato dispute che i due Paesi periodicamente cercano di risolvere con tentativi di accordi bilaterali o ricorsi ai tribunali internazionali. in particolare l’isola di Castellorizo, che con la sua EEZ crea una continuità fra zone di pertinenza elleniche e greco-cipriote che la Turchia non riconosce.
La situazione è potenzialmente esplosiva. Il Premier Mitsotakis da mesi cerca di attirare l’attenzione di Bruxelles e agli Stati Uniti, ai quali ha anche chiesto l’invio di soldati perché le forze armate greche sono state messe a dura prova dalla lunga austerity. Dopo la Conferenza di Berlino, sta cercando una sponda nella Francia di Emmanuel Macron, non vede di buon occhio il ruolo di primo piano che la Turchia vuole ricoprire nella crisi libica. Atene agisce per tutelare i suoi interessi nazionali. Il successo di Eastmed la metterebbe al centro di nuove rotte energetiche, facendola diventare, almeno parzialmente, un’alternativa alla Turchia che quelle rotte invece le vuole accentrare tutte nelle sue mani.
L’Europa non ha ancora compreso la portata delle ambizioni neoimperiali della Turchia (Paese che per di più ha il secondo esercito per numero di uomini tra quelli della NATO), e della loro marcata connotazione antioccidentale: escludere Atene da una trattativa che la riguarda direttamente non è il modo migliore per arginarle.