La Germania e il nuovo “interesse nazionale”
La mattina dopo le elezioni tedesche del 23 febbraio, il più grande sollievo per la CDU di Friedrich Merz è stato il mancato ingresso nel successivo parlamento della sinistra nazionalpopulista BSW. Restando di circa 9mila voti sotto lo sbarramento del 5%, BSW non è andata a influenzare la distribuzione dei seggi. Con una presenza di BSW nel Bundestag, la CDU/CSU sarebbe stata costretta ad accordarsi per un nuovo governo non solo con i socialdemocratici della SPD (con cui si è effettivamente accordata), ma anche con i Verdi. Questa opzione, chiamata “Kenya”, sarebbe stata molto problematica da vari punti di vista.
Paradossalmente, però, ancora prima della nascita di un eventuale esecutivo Merz, è stata intanto proprio una temporanea coalizione “Kenya” a consentire una svolta storica a Berlino. Con i voti di CDU/CSU, SPD e Verdi, il Bundestag (Camera dei Deputati) uscente e il Bundesrat (Assemblea dei Länder) hanno approvato un cosiddetto “doppio bazooka”: l’esenzione dal freno al debito costituzionale tedesco di un fondo di 500 miliardi di euro per investimenti nelle infrastrutture e l’esenzione dallo stesso freno di tutte le spese per la Difesa che supereranno l’1% del PIL.
Nel fondo per le infrastrutture, spalmato sui prossimi 12 anni, i Verdi sono riusciti a far inserire anche 100 miliardi per gli obiettivi di neutralità climatica. Il budget militare potrà invece contare su una cifra dai 500 miliardi in su e comprenderà anche i settori intelligence, protezione civile e “difesa degli stati aggrediti in violazione del diritto internazionale”. Il cancelliere in pectore Merz ha parlato di una scelta imposta da “condizioni molto particolari”, cioè “la guerra di aggressione di Putin contro l’Europa… e non solo contro l’integrità territoriale dell’Ucraina”. Il ministro uscente (ma forse sarà riconfermato) della Difesa, Boris Pistorius della SPD, ha sintetizzato: “la nostra sicurezza non può essere messa in pericolo dai vincoli di bilancio”.
Per Berlino, infatti, la questione non è tanto l’Ucraina in quanto tale, ma la capacità di deterrenza sul fianco orientale NATO-UE.

La nuova urgenza dopo lo shock trumpiano
L’epocale superamento di una parte dell’austerità tedesca è legato innanzitutto al dossier Difesa, mentre tutte le altre voci di budget a debito possono essere lette come elementi di ammortizzazione sociale e concessioni tattiche che la CDU ha fatto a socialdemocratici e Verdi. La sera stessa delle elezioni, Merz aveva già espresso la necessità di accelerare il più possibile verso nuove forme di “indipendenza” e autonomia strategico-militare dagli Stati Uniti. Una decina di giorni prima, il segretario USA alla Difesa, Pete Hegseth, aveva già detto molto chiaramente che Washington non persegue più l’obiettivo di essere il “garante convenzionale primario” di sicurezza per gli europei.
L’allarme generale è infine scattato a Berlino il 28 febbraio, con la clamorosa lite nello Studio Ovale tra Donald Trump, JD Vance e Volodymyr Zelensky. L’hard-power politico tedesco si è immediatamente chiesto: quanto rischiamo anche noi di trovarci, un giorno, nella stessa posizione di Zelensky?
Nemmeno una settimana dopo le elezioni, l’accelerazione del riarmo difensivo della Germania è così diventata elemento prioritario della ragion di Stato tedesca. Emblematico di questa urgenza è come Merz abbia ritenuto irrinunciabile che fosse il vecchio parlamento a votare ancora sul “doppio bazooka”. Per applicare le esenzioni al freno al debito è necessaria una maggioranza parlamentare dei due terzi. Maggioranza presente nel parlamento uscente, ma non in quello nuovo.
Nel parlamento scaturito dalle elezioni del 23 febbraio, infatti, oltre un terzo dei seggi saranno nelle mani dell’ultra-destra AfD e della sinistra radicale Linke. AfD si oppone a una spesa per la deterrenza difensiva della Germania, perché gran parte del partito segue innanzitutto la linea geopolitica della vicinanza a Mosca. La Linke rivendica invece una classica posizione pacifista contro il riarmo difensivo, che però si risolve concretamente nella richiesta di un atto di fede ideologico verso un disarmo unilaterale da parte unicamente europea.
Non è un caso che sia Linke sia AfD abbiano cercato di bloccare presso la Corte Costituzionale tedesca il voto per il “doppio bazooka”, con l’argomento che non il parlamento uscente, ma soltanto quello nuovo, avrebbe avuto il diritto di prendere una simile decisione. Ma i ricorsi dei due partiti sono stati respinti dalla Corte di Karlsruhe. Non è tuttavia da escludere che diversi nuovi ricorsi verranno presentati rispetto alla stessa legittimità finanziaria delle eccezioni al freno al debito, e il responso della Corte non sarà scontato.
Le concessioni di Merz agli alleati
Pur di avere la certezza di far passare il mega-budget per la Difesa, Merz ha concesso moltissimo a SPD e Verdi, così come ai governi locali dei Länder (cruciali nel voto al Bundesrat).
In prima battuta, sono stati i socialdemocratici a spingere perché il “doppio bazooka” prevedesse anche 500 miliardi per le infrastrutture. Si tratta di investimenti (ormai percepiti come molto urgenti in Germania) su reti di comunicazione, scuole, ospedali e servizi: lo scopo di questo stanziamento è anche quello di “riequilibrare” la nuova spesa militare verso priorità socio-economiche.
Va inoltre anche considerato come una parte degli investimenti nelle infrastrutture potrà comunque avere una valenza per la prontezza tattica militare tedesca (soprattutto considerando il ruolo di hub logistico che la Germania avrebbe nella NATO in caso di conflittualità sul versante Est.) Ancora più difficile per Merz è stato riuscire a garantirsi il sostegno dei Verdi, che hanno contrattato con abilità e spregiudicatezza il loro voto in favore del “doppio bazooka”. Pur essendo usciti sconfitti dalle elezioni e destinati all’opposizione, i Verdi sono così riusciti a far dedicare agli obiettivi climatici il 20% del fondo infrastrutture.
Per una buona parte del mondo conservatore, inclusi alcuni media molto influenti, Merz si è piegato troppo alle richieste di SPD e Verdi, spostandosi eccessivamente a sinistra e concedendo un debito non sostenibile per i principi dell’ordo-liberismo tedesco. Ma la verità è che anche i critici di Merz non avrebbero però saputo trovare un’altra soluzione per far approvare il budget Difesa prima che il dossier venisse bloccato in una lunga disputa ideologica nel prossimo parlamento.
L’intero scenario fin qui descritto mostra anche come siano soprattutto le prospettive geopolitiche la più autentica e vera Brandmauer (“muro tagliafuoco”) che impedisce possibili collaborazioni tra CDU/CSU e ultra-destra AfD. Se è sempre più evidente che i cristiano-democratici potrebbero trovarsi in linea con pezzi dell’ultra-destra su un tema come l’immigrazione, rimane ancora impossibile che questo avvenga sulle questioni difesa e politica estera. Su questo piano va anche interpretata la crescente diffidenza di Merz nei confronti dell’amministrazione Trump, visto che durante la campagna elettorale tedesca sia Elon Musk sia JD Vance hanno spinto platealmente in favore di AfD, con l’obiettivo di favorire a Berlino un “regime-change elettorale” anti-UE.
La Germania nell’europeizzazione della NATO
Nonostante tutti gli attuali attriti con Washington, nessuno nella politica tedesca vuole ancora strappare lo storico cordone ombelicale con gli Stati Uniti. L’approccio di Merz resta quello di una ricerca di dialogo e confronto con Trump, come lo stesso potenziale cancelliere ha più volte dichiarato. La tattica tedesca dei prossimi quattro anni potrà essere di cercare di evitare strappi troppo traumatici e controproducenti con Washington e, intanto, accelerare il più possibile verso una qualche indipendenza difensiva. Se il tutto non avvenisse nel quadro dell’imprevedibilità trumpiana rispetto all’Alleanza Atlantica, il percorso intrapreso da Berlino sul dossier militare sarebbe semplicemente in linea con quanto gli stessi Stati Uniti chiedono da anni ai propri alleati NATO. Armin Papperger – CEO di Rheinmetall, l’azienda tedesca leader nel settore armi – ha ad esempio ottimisticamente dichiarato: “so che l’amministrazione Trump teme che, se non è abbastanza dura, gli europei non faranno di nuovo nulla”. Una dichiarazione che implica, in fondo, che un’ulteriore sferzata da parte americana era necessaria.
Con il “doppio bazooka” appena approvato, il pericolo che la Germania non “faccia nulla” è stato probabilmente superato. Per Berlino, così come per l’Unione Europea e i Paesi membri, sarà decisivo capire come usare al meglio le risorse mobilitate per la capacità militare. Sarà anche cruciale muoversi nella dialettica tra una sempre maggiore autonomia UE e l’europeizzazione della NATO, due processi che possono essere più o meno sovrapponibili.
Dopo l’approvazione del “doppio bazooka”, Merz ha parlato di “un primo passo verso una nuova comunità europea della difesa”, da allargare a stati non UE come Regno Unito e Norvegia. L’obiettivo del leader CDU è anche provare a tranquillizzare chi vede (giustamente) nel mega-budget tedesco un massiccio aiuto di Stato, capace quindi di liberare risorse che rendano l’industria tedesca smisuratamente competitiva all’interno dell’UE, rispetto a quelle degli altri Paesi.
Il Cancelliere in pectore ha anche aperto alle proposte di Parigi di allargamento dell’ombrello nucleare francese. Questo non significa però che Berlino pensi di poter rinunciare al nuclear sharing con gli Stati Uniti, che resta essenziale per il complesso di difesa della Germania. Le preoccupazioni tedesche sono piuttosto rivolte all’opzione che Trump possa seguire una linea che attiverebbe l’articolo 5 della NATO proprio solo nella componente nucleare e non in caso di conflittualità a più bassa intensità. Questa potrebbe essere ad esempio un’azione russa mirata a testare la reazione della NATO, come un’aggressione appositamente contenuta in un’area a maggioranza etnica russa in una delle repubbliche baltiche.
Per Berlino sarà certamente molto importante fare analisi previsionali che permettano di capire la natura degli scenari di rischio, le necessità di deterrenza, e l’adeguata portata di eventuali interventi che garantiscano la sicurezza nazionale scongiurando pericoli di escalation. La logica degli investimenti militari tedeschi dovrà essere aggiornata e non potrà riprodurre gli inefficienti schemi burocratici degli ultimi anni.
Dopo decenni in cui il mondo militare è stato letteralmente escluso dalla ragion di Stato tedesca, la Bundeswehr continua ad avere necessità materiali e di capacità operativa a dir poco considerevoli. Anche per questo motivo, qualsiasi interpretazione del riarmo tedesco come potenzialmente offensivo è analiticamente fallace. Il solo soggetto che possa davvero mettere in dubbio la natura difensiva del riarmo tedesco sarebbe un soggetto geopolitico che abbia in programma di aggredire proprio le capacità di difesa tedesche.

Larghe intese in nome dell’interesse nazionale
Nel frattempo, la Germania non ha ancora un esecutivo. Risolta la questione del “doppio bazooka” con il sostegno dei Verdi, continuano adesso le trattative per la formazione di una nuova Große Koalition CDU/CSU e SPD (anche se ormai non sarà più una “grande” coalizione, visto che avrebbe una maggioranza parlamentare di soli 12 voti). Merz vuole creare un governo entro Pasqua. Le consultazioni sono molto riservate, quasi blindate, e per niente facili.
Per i cristiano-democratici e i cristiano-sociali bavaresi è irrinunciabile riformare le politiche dell’immigrazione, soprattutto per contenere la crescita di AfD, ormai secondo partito su scala nazionale e già ampiamente primo partito nei cinque Bundesländer della ex DDR. Nelle trattative, la CDU/CSU vorrebbe andare verso un accordo che non si discosti molto della legge sull’immigrazione Zustrombegrenzungsgesetz proposta dai cristiano-democratici lo scorso 31 gennaio (e per cui c’era stata la polemica apertura ai voti di AfD).
L’obiettivo è permettere i respingimenti anche dei richiedenti asilo alle frontiere tedesche. La formulazione della discordia nelle attuali trattative per l’accordo di governo è quella secondo cui i respingimenti andrebbero fatti “in consultazione con i paesi confinanti”: per la SPD significa trovare un’intesa con i partner europei, per la CDU/CSU significherebbe invece soltanto informarli. Nel secondo caso, l’effetto domino nelle politiche migratorie UE potrebbe essere notevole. Secondo le prime intese preliminari, una conquista di CDU/CSU potrà essere il reinserimento della “limitazione” dei flussi negli scopi della legge sull’immigrazione (il termine era stato tolto nel 2023).
Lo tesso vale per la ricerca di vie costituzionalmente applicabili per ritirare il passaporto tedesco ai cittadini con doppia cittadinanza che siano comprovatamente sostenitori del terrorismo, dell’antisemitismo o coinvolti in estremismo eversivo della FdGO (l’ordine di base libero e democratico tedesco). Anche i ricongiungimenti familiari per chi non ha un permesso completo di soggiorno in Germania potranno potenzialmente essere bloccati.
La SPD non accetterà certamente con facilità questi passaggi, a partire dalla sua corrente interna di sinistra, rappresentata dalla co-leader Saskia Esken. Al tempo stesso, la parte più pragmatica dei socialdemocratici, guidata dal co-leader Lars Klingbeil, è forse consapevole dell’enorme peso che il tema dell’immigrazione ha avuto nelle ultime elezioni.
Altrettanta consapevolezza c’è ormai in merito all’uso ibrido dei flussi migratori da parte di paesi come Russia e Bielorussia, il cui scopo è destabilizzare la politica europea e spingere ulteriormente i consensi dell’ultra-destra anti-immigrazione e filo-russa. Sia l’attacco ideologico da parte del trumpismo sia quello da parte del sovranismo anti-UE verrebbero consistentemente disinnescati con una riformulazione delle politiche europee sull’immigrazione.
Su altri fronti, la CDU/CSU dovrà fare compromessi con i socialdemocratici sulle politiche sociali. Cruciale, in un eventuale accordo finale, sarà come verrà formalizzata la possibile modifica del sussidio di cittadinanza. Altrettanto decisive saranno le decisioni su nuove riforme delle pensioni, sulla tassazione e sull’aumento del salario minimo (la SPD chiede 15 euro l’ora).
Il percorso verso un governo CDU/CSU ed SPD guidato da Merz continua a non essere scontato nell’esito. Ma le alternative a questa soluzione sembrano al momento molto caotiche, agitate da una crescente conflittualità ideologica e geopolitica. Il vero motore che muove le trattative resta quindi un approccio di interesse nazionale, con lo scopo di evitare ad ogni costo un fallimento che possa favorire l’ulteriore rafforzarsi dell’ultra-destra e della sinistra radicale. Se ci sarà un’intesa CDU/CSU – SPD, sarà basata politicamente sulla creazione di un esecutivo di “ragion di Stato” della Germania.