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La geografia dell’innovazione

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Il Global Innovation Index 2025 (GII), giunto alla sua diciottesima edizione, analizza 139 economie e 100 cluster d’innovazione, fotografando un sistema globale in transizione. Dopo un decennio di espansione nella spesa in ricerca e sviluppo e negli investimenti di venture capital, il ritmo di crescita si è bruscamente rallentato, ma l’attività innovativa rimane vivace, trainata da tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale, il supercalcolo, le batterie e le biotecnologie.

La classifica 2025 vede confermato al vertice il blocco dei leader storici, ovvero Svizzera (1ª), Svezia (2ª) e Stati Uniti (3ª), che restano ancora le tre economie più innovative del mondo, seguite dalla Corea del Sud (4ª) e da Singapore (5ª).

 

Questi Paesi condividono caratteristiche strutturali comuni come un’elevata intensità di attività di ricerca e sviluppo, università d’eccellenza, una governance efficiente e forti sinergie tra ricerca pubblica e industria privata. La loro capacità di tradurre conoscenza in valore economico – tramite brevetti, startup tecnologiche e imprese ad alto contenuto di capitale intellettuale – spiega la loro posizione nella speciale classifica.

 

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Novità di questa edizione del Global Innovation Index, è la presenza della Cina nei primi dieci Paesi più innovatori, precisamente in decima posizione grazie a livelli record di spesa in ricerca e sviluppo, al primato mondiale nei depositi di brevetti internazionali e alla concentrazione di cluster altamente performanti, come Shenzhen–Hong Kong–Guangzhou e Pechino. Il successo cinese deriva dall’investimento massiccio in infrastrutture digitali e nella filiera manifatturiera avanzata, che favorisce la trasformazione industriale.

Tra gli altri protagonisti emergenti spiccano l’India (38ª) e il Vietnam (44ª), che da oltre un decennio sovraperformano rispetto al loro livello di sviluppo, grazie a una crescente base di capitale umano e a ecosistemi di startup dinamici. Anche la Turchia (43ª), le Filippine (50ª), l’Indonesia (55ª), il Marocco (57ª) e l’Uzbekistan (79ª) consolidano i loro progressi. In Africa, il Ruanda (104ª) guida i Paesi a basso reddito, seguito dal Togo e dall’Uganda, mentre le Mauritius (53ª) dominano nell’Africa subsahariana. Questi risultati riflettono la capacità dei Paesi emergenti di sfruttare nicchie di competitività legate alla digitalizzazione, ai servizi e alla formazione scientifica.

Sul piano regionale, l’Europa mantiene la densità più alta di economie ad alte prestazioni, ma l’Asia orientale si conferma il nuovo motore dell’innovazione globale, con Corea, Singapore, Cina e Giappone ai vertici. L’America settentrionale resta una potenza scientifica e imprenditoriale, mentre l’America Latina e l’Africa mostrano progressi disomogenei ma promettenti.

Le economie più innovative sono tali non solo per il volume degli investimenti, ma per la qualità del loro ecosistema in termini di connessione tra università, imprese e finanza, politiche di sostegno all’imprenditorialità, infrastrutture digitali diffuse, capitale umano qualificato e un ambiente normativo favorevole alla sperimentazione.

Il rapporto 2025 sottolinea che per colmare i divari di innovazione, i policymaker dovrebbero rafforzare l’istruzione nelle materie tecno-scientifiche inclusa la formazione continua, creare incentivi fiscali mirati alla ricerca e sviluppo, promuovere la collaborazione tra pubblico e privato, garantire un accesso diffuso a connettività e dati. È cruciale anche diversificare i flussi di venture capital verso settori non tradizionali e regioni meno servite, adottando politiche di «open innovation» e partenariati internazionali – il che, si può qui notare, contrasta decisamente con le diffuse tendenze a chiudere i mercati e imporre barriere difensive di vario tipo. Infine, l’innovazione dovrebbe essere orientata alla sostenibilità, favorendo la transizione verde e l’inclusione sociale come nuove frontiere della competitività globale.