La frontiera africana della geo-economia globale
La nuova campagna d’Africa si svolge silenziosa sotto le acque degli oceani che circondano il gigantesco continente. La raccontano migliaia di chilometri di cavi sottomarini che progettano di collegare la grande massa terrestre africana con il resto del mondo assai più di quanto non sia adesso. Collegamenti nascosti, perciò, ma non certo immateriali. La ragnatela dei cavi sottomarini, che potremmo chiamare “Undernet”, è l’ultima frontiera della geoeconomia che inevitabilmente diventa politica, poiché tutta la nostra vita viene declinata ogni istante lungo le dorsali della rete digitale, della quale i cavi sottomarini sono il veicolo più frequentato: sotto il mare viaggia la stragrande maggioranza dei dati che arrivano sui nostri terminali. Volendo fare un paragone, potremmo dire che le rotte marittime per il commercio di beni pesano tanto quanto le rotte dei cavi sottomarini nello scambio di dati.
Ciò è sufficiente a comprendere perché questa partita della Undernet sia strategica per il futuro del continente, di nuovo al bivio fra il desiderio evidente di prendere in mano il proprio destino e le seduzioni egemoniche, travestite spesso da generosità, che promanano da Oriente come Occidente, con l’Europa a interpretare il ruolo di crocevia, che la storia e la geografia le assegnano per natura.
Tutto ciò si può indovinare analizzando anche sommariamente i partecipanti a questo nuovo Grande Gioco globale nel quale l’episodio africano si inserisce con tutto il peso specifico di continente quasi cuscinetto fra l’Eurasia e le Americhe. A tale centralità, nei tempi del dominio digitale, non può che corrispondere una connettività adeguata.
L’Africa, ovviamente, è la prima ad esserne consapevole, come dimostra chiaramente il notevole sforzo profuso in questi anni da numerosi paesi che la abitano per dotarsi di infrastrutture tecnologiche, che ha generato una sorta di equilibrio, basato in gran parte sulla cooperazione regionale, al quale adesso sembrano voler concorrere altre entità che arrivano sia da Oriente che da Occidente. Il futuro ci dirà se tale concorso condurrà, come è sempre stato nella storia, all’ennesimo episodio di predazione ai danni degli africani. Intanto si possono osservare le coordinate di questo Grande Gioco.
L’inatteso laboratorio di innovazione
Sono necessarie alcune premesse di sistema. L’Africa, oltre ad esibire una popolazione con età media molto inferiore a quella di gran parte delle economie avanzate, è, insospettabilmente, uno dei luoghi dove si sperimentano molte tecnologie alternative a quelle tradizionali nei meccanismi dei pagamenti, per la semplice ragione che in Africa esiste una quota ampia di popolazione priva di conti correnti. Costoro quindi sono fuori dal “sistema” che vede le banche centrali e le banche commerciali gestire insieme, pure se con compiti diversi, l’infrastruttura che consente globalmente i passaggi di denaro.
La circostanza anagrafica non è da sottovalutare. Una recente ricerca pubblicata da The Lancet stima che nel 2100 la Terra ospiterà 8,8 miliardi di persone, uno in più rispetto ad oggi, ma con i paesi avanzati demograficamente collassati a causa dei loro tassi di natalità e di invecchiamento. L’Italia sarà fra quei paesi, con Giappone, Spagna e altri, a vedere dimezzata la popolazione. La Cina pure. L’Africa sub-sahariana, invece, vedrà triplicare il numero di abitanti, arrivando a tre miliardi di persone. La sola Nigeria arriverà a 800 milioni di abitanti, secondo le proiezioni. Gli impatti economici saranno rilevanti per tutto il mondo, ovviamente. E l’Africa, per semplice forza di gravità, sarà al centro di queste dinamiche.
Meno osservata, ma non per questo meno rilevante, è la fioritura hi tech del continente nero. Un esempio: gli abitanti di Botswana, Ghana, Kenya, Nigeria, Sud Africa e Zimbawe sono massicci utilizzatori di Bitcoin. Alcuni lo usano per difendersi dall’inflazione. Ma possono farlo solo perché c’è stato un notevole sviluppo tecnologico che alimenta la diffusione degli smartphone. Le stime parlano di oltre 700 milioni di sottoscrittori di contratti telefonici entro la fine dell’anno. L’industria della mobile money, ossia dei pagamenti svolte tramite app, è in progresso costante, con transazioni cresciute più di dieci volte dal 2011 ad oggi. Si prevedono centinaia di milioni di utenti in più nello spazio di pochi anni. Fra i servizi più noti c’è M-Pesa, servizio di pagamenti mobili sviluppato sulla rete mobile Safaricom che fa circolare decine di miliardi di dollari fra decine di milioni di aderenti. Ma chiunque frequenti le cronache hi tech sa bene che si potrebbero fare numerosi altri esempi. L’Africa d’altronde è la terra dove una parte importante degli investimenti delle startup vanno regolarmente al settore fintech.
Per sostenere questa rivoluzione in corso è necessario dotare tutto il continente di un’infrastruttura tecnologica all’altezza dei tempi. Non solo reti mobili per gli smartphone, con la tecnologia a 5G sbarcata ormai da tempo in diversi stati e Huawei in espansione senza che gli Stati Uniti possano farci granché, ma soprattutto cavi sottomarini capaci di veicolare gli enormi flussi di dati che lo sviluppo inevitabilmente oggi porta con sé. Oggi, e ancor più domani, Internet significa pacchetti di dati trasmessi ad alta velocità, e quindi servono cavi di ultima generazione capaci di ridurre al minimo i tempi di latenza e moltiplicare al massimo la capacità di banda. Tecnologie che già esistono nei paesi più avanzati e che adesso vogliono far rotta verso l’Africa.
Qualcuno ricorderà l’annuncio del consorzio che nel maggio scorso ha presentato “2Africa”, un progetto molto ambizioso che si propone di circumnavigare il continente dotandolo di una rete di ultima generazione di ben 37mila chilometri di cavi.
Reti, alleanze, competizioni sottomarine
La rete, che come si può osservare connette l’Africa all’Europa e alla penisola arabica, dovrebbe essere attiva fra il 2023 e il 2024. Ma l’aspetto interessante è che nel consorzio che ha dato vita all’iniziativa convivono giganti del calibro di Facebook e China Mobile International. Non solo: anche l’Arabia Saudita, per ragioni evidenti di prossimità con l’Africa, parteciperà al progetto. Nel consorzio ci sono anche MTN Global Connect, Telecom Egypt, Vodafone e WIOCC. A dispetto dei capricci dell’amministrazione Trump, Facebook ha tutto l’interesse a collaborare con la Cina che sull’Africa ha investito moltissimo. Nel Grande Gioco globale della Undernet molte idiosincrasie politiche sono state – per il momento – messe da parte.
La presentazione di 2Africa è arrivata un anno dopo l’annuncio di Google, uno dei più attivi “posatori” di cavi sottomarini degli ultimi anni, del lancio di un nuovo cavo sottomarino, Equiano, icasticamente dedicato a un famoso abolizionista africano del XVIII secolo, per connettere il Portogallo a Cape Town. Seicento anni dopo Enrico il Navigatore, il Portogallo diventa nuovamente il terminale della connettività con l’Africa. Stavolta digitale.
E’ interessante notare che la “rotta” di Equiano replica quella del cavo WACS, operativo dal 2012, e posato da un consorzio di aziende della telecomunicazione (telco) africane, indiane ed europee.
L’investimento in Equiano, che dovrebbe condurre nel 2021 all’accensione del cavo, è destinato ad aumentare notevolmente la potenza della rete sottomarina di Google, che ormai è uno dei principali protagonisti di questo mercato. Ma soprattutto, la competizione fra i due giganti della rete – Facebook e Google – attorno all’Africa si inserisce in un panorama già affollato che rende il Grande Gioco della Undernet africana un altro campo interessante da osservare per capire come si configurerà il traffico dati – che significa potere e influenza – fra il Sud Atlantico e l’Oceano Indiano.
Questa è una grande tessera di un puzzle ancora più grande. Il mercato dei cavi sottomarini vede sin dall’inizio della sua storia competere attori di calibro rilevante. Alle tradizionali compagnie telefoniche, primi posatori di cavi già dal finire del XIX secolo, ma poi sempre più attive nel secondo dopoguerra, si sono aggiunti nel tempo operatori privati, sia finanziari che industriali e soprattutto, dopo l’avvento di Internet, i giganti come Google, Facebook e Amazon. Costoro, dovendo gestire data center sempre più affollati hanno tutto l’interesse a controllare l’intera filiera del processo industriale di trasmissione dati. Volendo fare un paragone con la storia, i posatori di cavi sottomarini di oggi somigliano ai posatori di binari del XIX secolo che, tracciando le linee economiche di sviluppo dei territori di loro interesse, fecero fiorire la globalizzazione di quel tempo alla quale, non a caso, risale il primo esperimento di cavo sottomarino teso fra Londra e New York. Un’esperienza che fu traumaticamente interrotta dalla Prima guerra mondiale, che bloccò la globalizzazione iniziata nella seconda metà del secolo XIX.
Ieri come oggi, queste esigenze puramente industriali generano giocoforza influenze, non semplicemente economiche, nelle aree che vengono raggiunte dai cavi. Basta ricordare l’impegno che la Cina sta profondendo nella sua “digital silk road” per averne contezza.
Attori, investitori, capitali, connessioni
Il continente africano registra un trend di crescita robusta degli investimenti da parte di soggetti anche molto diversi fra loro. Il grafico sotto riepiloga alcuni progetti.
Il cavo Ellalink collega l’Africa occidentale con la penisola Iberica e la costa orientale dell’America Latina.
Il cavo è gestito da una società indipendente che ha come principale azionista il Marguerite Fund, un’entità che ha alle spalle l’Unione Europea.
Il cavo Dare1 circonda il Corno d’Africa unendo Gibuti a Mombasa.
Il ruolo di leader spetta qui all’azienda di telecomunicazione di Gibuti, piccolo stato africano al centro di infinite influenze geopolitiche ed economiche. Il cavo è posseduto da un consorzio di telco dell’Africa orientale.
Dare1 è il quinto cavo che collegherà il Kenya con il resto del mondo insieme con SEACOM, in larga parte costruito con capitali africani, The East African Marine Cable System (TEAMS), finanziato dal governo kenyota, l’Eastern African Submarine Cable System (EASSy), cui partecipa un consorzio di Telco africane, e Lion2. La circostanza interessante di questi ultimi progetti è che si tratta di iniziative dove il capitale africano gioca un ruolo rilevante. Segno che, almeno nel settore tecnologico, l’Africa del XXI sta cercando faticosamente di raggiungere un equilibrio in un mondo dove si fa sempre più pronunciata la lotta per l’egemonia fra la potenza in carica e quelle emergenti.
A tal proposito, il cavo PEACE racconta un’altra storia molto interessante. Nel 2017 la Huawei ha firmato con altri soggetti un accordo per costruire la Pakistan East Africa Cable Express, che, oltre ad avere un acronimo assai ammiccante, si propone di stendere un cavo dal Pakistan al Kenya passando, ancora una volta, per Gibuti. In sostanza si tratta di un collegamento fra Africa e Asia lungo le vie della Seta sponsorizzate dai cinesi, con l’ammiccamento europeo. Il cavo infatti ha come terminale europeo la Francia. Oltre a sembrare il perfetto complemento del cavo Equiano di Google.
Sicché abbiamo la Cina che penetra in Africa da Oriente e da lì tesse la sua ragnatela verso l’America Latina, che non a caso ospita generosamente molti capitali cinesi. Poi abbiamo gli USA, le cui corporation penetrano da Occidente, mentre l’Europa, a metà strada, tenta le sue incursioni dalla cima dell’emisfero Nord. Ieri come oggi l’Africa è circondata e fonte di innumerevoli appetiti. E non potrebbe essere diversamente, essendo il centro del mondo.
Oggi però, a differenza di ieri, l’Africa sembra maggiormente consapevole non solo delle sue possibilità, ma anche del ruolo che andrà a interpretare – in un futuro che ancora ci appare lontano, ma che per i tempi geologici delle internazionalizzazioni, è praticamente dietro l’angolo. Il destino dell’Africa “cablata” potrebbe essere diverso da quello che siamo abituati a conoscere per questo continente poco fortunato: non più soltanto un terminale di investimenti, una fonte di materie prime e un mercato di sbocco per il resto del mondo. E’ elemento centrale di un sistema economico internazionale nuovo, in cui la storia sarà finalmente accordata con la geografia.