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La corsa europea per il gas del Golfo Persico

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Con l’avvicinarsi dell’inverno, l’opinione pubblica europea appare sempre più divisa tra coloro che sostengono rigorose misure di contenimento dell’utilizzo di combustibile anche a costo di una probabile recessione industriale e coloro che chiedono ai governi nazionali di allentare le pressioni contro Mosca, per evitare la totale chiusura dei rubinetti russi del gas verso l’UE.

Fin dal principio dell’interscambio energetico tra la Russia e l’Occidente, il Cremlino si è spesso servito delle proprie riserve di combustibile come un’arma politica nei negoziati internazionali, ma solitamente lo ha fatto in forme piuttosto caute per essere comunque percepito come un partner affidabile.

Il precario equilibrio economico tra i due attori geopolitici è però bruscamente crollato negli ultimi mesi, in particolare quando nei primi giorni di settembre il G7 ha annunciato l’intenzione di introdurre un tetto massimo del prezzo del petrolio russo, per far fronte all’aumento vertiginoso delle bollette in tutti i Paesi europei (mentre il gas rimane a oggi fuori dalle sanzioni internazionali). Il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov ha ammonito che le società che adotteranno tali misure non riceveranno forniture di combustibili dalla compagnia Gazprom. Il Cremlino ha inoltre annunciato che la chiusura del Nord Stream 1, il principale gasdotto della società russa, che porta il gas dalla Russia alla Germania, verrà prolungata a tempo indeterminato. Mosca dichiara che la causa sia un problema tecnico all’impianto, ma i Paesi membri del G7 ritengono sia una ritorsione per il loro appoggio all’Ucraina nell’attuale conflitto. Durante un recente videomessaggio, Il Presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha affermato che “questo inverno, la Russia si sta preparando per un decisivo attacco energetico contro tutti gli europei”.

 

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Per fronteggiare il drastico calo delle importazioni dei combustibili, la Commissione europea lo scorso luglio ha approvato un programma di auto-riduzione del consumo del gas del 15% per ogni Stato membro, dando così prova di una volontà comune. Tuttavia, non sono ancora state definite precise misure di riduzione della domanda dai singoli governi, che agiranno su base volontaria.

L’area del Golfo Persico con le riserve di petrolio (in verde) e gas (rosso).

 

I vantaggi della cooperazione con il Golfo

Un’altra linea di azione dell’Unione Europea è il rafforzamento e la creazione di nuove alleanze internazionali per l’approvvigionamento energetico. Numerosi ministri si sono recati nel continente africano, e hanno ripreso i colloqui con i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (GCC) – in particolare con l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e il Qatar – per l’implementazione dell’accordo di Partnership strategica con il Golfo, stipulato lo scorso maggio. Questa intesa pone le basi per una collaborazione UE-GCC sui temi chiave della sicurezza globale, tra cui: la sicurezza energetica, il cambiamento climatico, la digitalizzazione e la transizione verde, attraverso una serie di iniziative economiche e sociali. L’Unione Europea e i Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo rappresentano insieme il 20% dell’economia mondiale e nel 2020 l’UE è stata il primo partner della regione del Golfo per le importazioni e il quarto per le esportazioni. I vantaggi dei rapporti tra l’Europa e le Monarchie del Golfo risultano quindi numerosi e allettanti.

Dal momento che i Paesi del Golfo rappresentano un importante “gateway” tra Europa, Asia e Africa, si identificano anche come influenti alleati nella collaborazione per promuovere investimenti sostenibili nell’intera regione del Medio Oriente e nel continente africano. Per questo motivo, sono stati coinvolti in alcuni progetti dell’EU Global Gateway, la strategia approvata dalla Commissione Europea che prevede la mobilitazione di 300 miliardi di euro tra il 2021 e 2027 per “promuovere connessioni intelligenti, pulite e sicure nel settore digitale, energetico, dei trasporti, della salute e dell’istruzione”. Nell’attuale situazione precaria di mercati volatili e rischi di sicurezza, non è da sottovalutare nemmeno la convenienza di una rafforzata cooperazione militare e marittima, sebbene il focus principale degli accordi verta sull’implementazione della transizione energetica.

Grazie al know-how europeo e agli investimenti dei GCC infatti si potrebbe verificare un boom nel settore rinnovabile, soprattutto nella produzione di idrogeno, di cui i Paesi del Golfo sono importanti produttori emergenti. Anche i rapporti commerciali e finanziari potrebbero trarre grande vantaggio dall’aumento degli scambi interregionali, dal momento che si verificherebbe un significativo incremento della diversificazione economica di entrambe le regioni e si creerebbero nuovi posti di lavoro nei settori del turismo, del digitale, della ricerca e dell’innovazione. I Paesi del Consiglio del Golfo sono noti come paesi rentiers, ovvero dipendenti principalmente da una rendita esterna – l’esportazione di idrocarburi – che ostacola lo sviluppo degli altri settori produttivi delle economie nazionali. Negli Stati rentiers, solo una minoranza della popolazione lavorativa è impegnata nella generazione della rendita, mentre i Governi ne sono i principali beneficiari. L’aumento dell’interscambio con i Paesi europei potrebbe in prospettiva promuovere significativi cambiamenti sociali e in materia di diritti umani, oltre a nuove opportunità di istruzione per i giovani cittadini di entrambe le regioni. Infine, come dimostra la stessa esperienza europea, la cooperazione regionale può ridurre i conflitti e migliorare la prosperità dei singoli Paesi.

 

Nuovi legami, nuovi rischi

Legami più forti sono però anche fonte di nuovi rischi geopolitici e strategici per entrambe le regioni, oltre che per i rispettivi alleati. Come avvenuto con la Russia, l’Unione Europea non sarebbe esente dal coinvolgimento nelle dinamiche sociopolitiche nel MENA, dove sono presenti monarchie assolute in contrasto con i principi occidentali, governi instabili e numerose dispute marittime nei chocke point – ad esempio nello stretto Bab al-Mandeb e nelle zone del Mediterraneo orientale – a causa della competizione per le risorse.

L’estrema instabilità regionale del Medio Oriente e la minaccia dell’allargamento del conflitto russo-ucraino in Europa rappresentano quindi un serio ostacolo alla longevità dei rapporti tra i Paesi europei e la regione del Golfo.

 

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Ma gli accordi di compravendita di gas mediorientale non sono esenti nemmeno da problemi tecnici e logistici. In primo luogo, la regione è ancora prevalentemente impegnata nella produzione ed esportazione di petrolio, il principale combustibile fossile di cui l’Unione Europea vuole limitare l’utilizzo per rispettare gli impegni presi alla COP26 e sottoscritti nel RePowerEU. Un ulteriore ostacolo è rappresentato dai contratti a lungo termine che gli Stati del Golfo hanno stipulato con diverse potenze emergenti asiatiche, riservando a queste ultime il primato di approvvigionamento di GNL. Ad esempio, il Qatar, il principale esportatore di GNL, non avrà gas in eccesso da esportare in Europa prima del 2025.

Tali accordi sono stati avviati nel corso degli ultimi due decenni, allo scopo di aumentare l’interconnessione commerciale regionale e solo lo scoppio della guerra in Ucraina ha rivelato all’Unione Europea l’alta competitività delle Potenze emergenti asiatiche nel settore energetico. Ci vorrà dunque tempo per costruire nuovi gasdotti che trasportino le risorse del Golfo al mercato europeo. L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti si stanno specializzando con successo nella produzione di idrogeno, che l’Unione Europea ha annoverato tra le risorse rinnovabili da implementare, tuttavia le statistiche prevedono che tale fonte energetica potrà sostituire l’uso del gas naturale in Europa solo a partire dal 2026.

Un’ulteriore problematica per la cooperazione energetica interregionale è la mancanza di obiettivi di produzione comuni tra gli stessi Paesi del Golfo. Infatti, mentre l’Oman si concentra sull’idrogeno verde, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti investono sia in quello blu che in quello verde, mentre il Qatar ha fatto progressi circoscritti nella produzione di idrogeno blu. La differenza principale tra le due tipologie di idrogeno risiede nel loro processo di produzione: quello blu deriva da combustibili fossili accoppiati a un sistema di cattura e di stoccaggio permanente della CO2, invece l’idrogeno verde è completamente decarbonizzato, poiché la sua produzione è priva di emissioni di CO2. L’approvvigionamento europeo di idrogeno dovrebbe dunque essere condotto con misure specifiche per ogni Paese produttore, eliminando la possibilità di un accordo multilaterale.

In conclusione, i fragili equilibri geopolitici odierni sia in Europa che in Medio Oriente e la minaccia di numerosi inverni da affrontare con riserve di gas inferiori alla domanda pongono l’accento sull’urgenza del rafforzamento della collaborazione tra l’Europa e i Paesi del Golfo. L’Unione Europea è il mercato più grande al mondo, oltre che la paladina della transizione ecologica; parallelamente i Paesi del Golfo sono da sempre i più grandi produttori ed esportatori di materie prime e stanno investendo ingenti capitali in tecnologie innovative verdi. La loro interconnessione costituisce una risorsa in più per l’implementazione della transizione energetica a livello globale e facilita il coinvolgimento dei Paesi più poveri dell’Africa e dell’Asia attraverso il supporto economico e tecnologico congiunto.

L’avvicinamento delle due regioni è in fieri e sicuramente richiederà un lungo periodo di assestamento attraverso un iter complesso e a volte conflittuale; tuttavia appare ormai un processo ben avviato.