La coalizione russo-iraniana e il Medio Oriente “post-americano”
La guerra civile siriana e l’espansione dello Stato Islamico rappresentano il culmine di un processo di collasso dell’ordine statale medio-orientale. Dal vuoto di potere geopolitico che segue il riorientamento della potenza garante americana verso l’Asia sta sorgendo un Medio Oriente “post-americano” e “post-occidentale”.
Nella grande guerra civile siro-irachena non c’è solo la dissoluzione di quello spazio geopolitico, e dell’ordine statale definito dalle potenze coloniali europee che fu sancito dal trattato di Sèvres del 1920 (con la fine dell’impero ottomano). Un elemento nuovo è la frantumazione del fronte delle “coalizioni di guerra” a guida occidentale che, almeno sin dagli interventi in Bosnia e in Kosovo dalla metà degli anni ‘90, avevano caratterizzato la nuova dottrina del diritto internazionale, centrata sulla “responsabilità di proteggere”.
Certamente, a Washington prevale la percezione che lo state building in Medio Oriente sia ormai impresa al di là delle capacità americane: il regime change non si può più ottenere senza distruggere l´ordine regionale – come sembra aver insegnato l’invasione dell’Iraq del 2003. D’altro canto è altrettanto evidente che – al momento – gli Stati Uniti non hanno ancora elaborato una strategia in grado di saldare il quadrante medio-orientale con quello – ormai per loro prioritario – dell’Asia-Pacifico. E questo pur in presenza di uno spazio, quello dell’Eurasia Marittima, in crescente integrazione: infatti, l’accelerazione e la diversificazione degli interscambi economico-commerciali lungo l’asse Mediterraneo Orientale – Mar Rosso – Golfo Persico – Oceano Indiano, che ha come protagonisti Turchia, Iran e Arabia Saudita più India, Cina e Paesi del Sud-Est Asiatico, delinea ormai l’autonomizzazione delle dinamiche geopolitiche e geo-economiche di quest’area rispetto allo spazio transatlantico.
In questo quadro, mentre gli Stati Uniti hanno scelto il versante dell’Asia-Pacifico e faticano a “tenere” il Medio Oriente, gli Alleati europei come Francia e Gran Bretagna non hanno né la forza né l´autorità per ripristinare in maniera stabile il proprio ruolo centrale come potenze neo-coloniali – o quantomeno influenti a fini di riequilibrio – nel Medio Oriente. La Germania mantiene un profilo a prevalente vocazione geo-economica, che le consente di stare nelle coalizioni (ad hoc) politico-militari in maniera diligente ma “gregaria”. L’Italia, da parte sua, non è in grado di assumere un ruolo-guida autonomo – perfino, come si vede, nel caso della vicinissima Libia – senza una serie di condizioni di contesto giuridico internazionale e di appoggio degli alleati.
In questo quadro, il conflitto ormai intrecciato che colpisce i due Paesi centrali del Levante è la prima crisi pienamente euro-asiatica del 21° secolo. La coalizione forgiata nel cosiddetto accordo “4+1” di fine settembre 2015 tra Iran, Russia, Iraq, Siria, più il gruppo libanese Hezbollah, ha sancito una nuova dinamica nel fronte sud-occidentale del continente euroasiatico: questa si basa sulla cooperazione formale di intelligence sull’asse Russia-Iran, e l’inizio delle operazioni militari russe per respingere l’ISIS e al contempo rafforzare il governo siriano (considerato l’unico legittimo) di Assad. Una dinamica autonoma dall’azione politico-diplomatica e militare dell’Occidente.
In assenza di valide opzioni occidentali, l’ordine del Medio Oriente “post-americano” dipende, dunque, in modo cruciale dal grado di convergenza o di divergenza tra i principali attori regionali, ma anche (almeno per ora) dalla capacità dell’unico attore “esterno”, quello russo, di entrare nel gioco medio-orientale non solo come external balancer ma come co-decisore.
D’altro canto, l’Iran, uscito dall’isolamento internazionale, inizia a mettere in opera una serie di iniziative solo in parte previste in Occidente. La dirigenza iraniana intorno al presidente Rouhani mantiene ferma la propria proiezione di potenza nello spazio regionale e riconferma la distinzione di interessi e di campo rispetto all’asse Israele – Arabia Saudita – USA. Ma allo stesso tempo punta a riaffermarsi come pivot trans-regionale e ad aprirsi a più vaste alleanze con gli altri attori asiatici, come dimostra la recentissima formalizzazione di accordi geo-economici con la Cina. Questi riguardano soprattutto trasporti e logistica, energia nucleare civile, comunicazioni, aero-spazio, agricoltura, industria manifatturiera di lavorazione, e interscambio culturale.
L’interesse comune alla base dell’intesa russo-iraniana è quello di sostenere Assad. In effetti però, se guardiamo agli interessi più complessivi, alle opzioni tattiche, alla gestione militare dell’azione contro l’ISIS e i ribelli anti-regime, possiamo notare tra i due partner approcci divergenti e potenzialmente confliggenti. Sul campo, la Russia privilegia il suo storico rapporto con l’esercito di Assad, considerato la spina dorsale dello Stato siriano. L’Iran riconosce in Assad e nel regime alawita un utile alleato in un paese a maggioranza sunnita, e il garante della formale esistenza di un soggetto di diritto internazionale con cui rapportarsi diplomaticamente; ma l’ azione iraniana si svolge sostenendo milizie parallele che rispondono direttamente ai comandi di Teheran o che adottano un modello di organizzazione simile alle forze para-militari iraniane. Queste divergenze peseranno nel momento in cui l’azione aerea russa dovesse ridursi.
A quel punto, l’intesa tra Mosca e Teheran potrebbe traballare, per le differenti vedute sulla strategia anti-ISIS e nella prefigurazione dell’autorità civile e militare del dopoguerra (di nuovo Assad, una soluzione negoziata con i ribelli, o un futuro senza Assad). Tanto più se, come traspare da alcune recenti analisi, l’esercito siriano dovesse dare segni di stanchezza,e la sua riconquista territoriale ai danni dei ribelli e dell’ISIS fossero dovuti prevalentamente proprio all’azione aerea russa e alle divisioni nel fronte nemico.
In effetti, queste divergenze nell’approccio sul terreno rinviano a differenze più profonde nella concezione dell’ordine globale e regionale. La Russia mantiene infatti una visione classica, centrata su un sistema di Stati sul modello europeo-westfaliano in vista di un balance of power. Teheran invece parte dal presupposto che vi siano soltanto due Stati in senso westfaliano nella regione: Iran e Turchia. Sono gli eredi di imperi trans-nazionali e per molti versi sovra-statali, che controllavano territori frammentati con sfere di influenza sovrapposte. In questa visione Israele appare un’anomalia “esterna” e l’Arabia Saudita un residuo feudale (oltre che eretico). La leadership iraniana ha visto una conferma della sua teoria nel fallimento sia delle operazioni di regime change e state building a seguito di interventi militari esterni, in Iraq e Afghanistan, sia dei tentativi di regime change e state (re)building favorito da rivoluzioni interne come nel caso delle “primavere arabe”. Staremmo dunque tornando alle coordinate storiche di lungo periodo dello spazio medio-orientale, oscillante fra imperi sovra-statali e autorità sub-statali locali, tribali e claniche.
Tuttavia, una convergenza più strutturale fra Russia e Iran potrebbe comunque realizzarsi, se i rapporti russo-turchi (e quelli iraniano-sauditi) dovessero ulteriormente deteriorarsi. In particolare, dopo il rifiuto americano di intervenire sul campo in Siria e il tacito patto di divisione dei compiti con Mosca, neanche la nuova iniziativa militare francese seguita agli attentati di Parigi ha consentito alle due coalizioni (occidentale e Russia-Iran) di trovare un accordo anche minimo per una vera azione coordinata contro l’ISIS.
Al contrario, sul piano militare, tutti gli attori sono pericolosamente presenti sul terreno con obiettivi e azioni propri; una situazione potenzialmente aggravata e soggetta a imprevedibili (o voluti) margini di errore. Un approfondimento della tensione nelle relazioni russo-turche a seguito del grave incidente del dicembre 2015 potrebbe, in effetti, cementare una convergenza russo-iraniana in senso anti-turco, aprendo uno scenario che andrebbe ben oltre la guerra civile in Siria e la stessa lotta all’ISIS.
In questo quadro, le potenze regionali ma appunto anche la Russia punterebbero a neutralizzare ed emarginare, più che a combattere direttamente, l’influenza atlantico-occidentale. Rischiando però di introdurre un ulteriore fattore di instabilità in uno scenario mediorientale già fortemente conflittuale e già responsabile di gravi effetti di spillover verso il continente europeo – dalla crisi migratoria al terrorismo jihadista di ultima generazione In questo caso, Europa e USA sarebbero coinvolte più direttamente in un conflitto per il quale entrambe non sono preparate.