Kazakistan e Russia fra divergenze e pragmatismo
La Russia in questi mesi ha assunto le sembianze di un ex impero in decadenza, contornato dalle ex colonie lungo i confini, con le quali non riesce ad avere rapporti sereni. Ogni tentativo per cercare stabilità sembra suscitare effetti opposti a quelli desiderati, e la Russia stessa non sembra più essere in grado di garantire la sicurezza e la stabilità dei suoi tradizionali alleati, dal Caucaso all’Asia centrale. Aree nelle quali, peraltro, il disimpegno militare statunitense – e la limitata presenza politico-economica dell’Unione Europea – sta lasciando spazi sempre più ampi di manovra alle potenze regionali.
Ora per il Cremlino non c’è più solo il confine occidentale a destare preoccupazione: la situazione sembra capovolgersi lungo tutto quello che la dottrina di politica estera russa degli anni ’90 ha definito l’«estero vicino«. L’Armenia, sostenuta dalla Russia e sconfitta amaramente dall’Azerbaijan (aiutato dai turchi) nell’autunno 2020, è stato il primo campanello d’allarme, e nemmeno negli scontri di confine che si sono succeduti a intermittenza in questi mesi fra Tajikistan e Kirghizistan la Russia è chiamata a far da paciere, magari tramite l’Organizzazione del trattato di sicurezza collettiva (CSTO, Collective Security Treaty Organization in inglese), organizzazione militare fra alcune ex repubbliche sovietiche. A inizio 2022 il suo intervento era servito per sedare rivolte sfuggite di mano in Kazakistan, soprattutto nella ex capitale Almaty, e poi represse nel sangue anche grazie all’intervento a guida russa delle truppe del CSTO. Ma dopo l’invasione russa in Ucraina questo non basta più. Le scelte della leadership kazaka dimostrano in modo plastico che la percezione della Russia come garante di sicurezza è sulla via del tramonto.
Il Kazakistan è stato infatti il Paese dello spazio post-sovietico che ha fatto più sentire alla Russia il suo disappunto per la guerra in Ucraina. A Mosca ci si aspettava riconoscenza e per certi versi gratitudine soprattutto da parte del presidente, Kassim-Jomart Tokayev, proprio grazie all’aiuto ricevuto in gennaio. Tokayev invece ha sempre manifestato una certa indipendenza e anzi non esita a liberarsi della coorte di fedelissimi dell’ex presidente, Nursultan Nazarbayev, indicendo elezioni anticipate per il parlamento. Così, con l’invasione russa dell’Ucraina, Tokayev ha detto che il suo paese non farà nulla per consentire alla di aggirare le sanzioni internazionali nei confronti di Mosca e ha rifiutato di riconoscere le repubbliche autoproclamate di Lugansk e Donetsk e i referenda con cui in settembre Mosca ha preteso di ratificare l’annessione dei territori occupati in Ucraina.
Il più grande paese centro-asiatico ha dimostrato una buona dose di determinazione nell’assicurare che nessuno dei suoi cittadini in territorio russo, o con doppia cittadinanza, rischiasse di essere richiamato fra i riservisti, in seguito alla mobilitazione parziale lanciata dal Cremlino nelle ultime settimane. E, allo stesso tempo, ha voluto aprire le porte ai cittadini russi, con una mossa di sostegno che combina sia la convenienza logistica che quella politica. Tokayev, infatti, ha dato detto al suo governo che “dobbiamo prenderci cura dei cittadini russi che vogliono lasciare la Russia e garantire la loro sicurezza. È una questione politica e umanitaria”. Secondo alcune stime, sono 100 mila circa i cittadini russi entrati nel paese da quando il Cremlino ha richiamato i riservisti il 21 settembre.
Incassato nel cuore dell’Eurasia, il Kazakistan confina per migliaia di chilometri con Russia e Cina, mentre non molto lontano dai suoi confini a sud e a sud-ovest si trovano Turchia e Iran, le cui influenze culturali sono significative, complici anche affinità religiose. Il Paese centro-asiatico ha una superficie pari a quella dell’Europa occidentale, occupa una particolare posizione geografica che rappresenta un ponte naturale fra l’Europa e il cuore dell’Asia. Questa localizzazione peculiare, con infiniti spazi aperti pianeggianti e sottosuolo ricco di materie prime, ne ha condizionato l’approccio alla politica estera, improntato a una logica di convivenza pacifica e di dialogo con più attori, promuovendo anche quello fra le religioni, come testimonia il recente viaggio in Kazakistan di Papa Francesco per il VII Congresso dei leader delle religioni mondiali e tradizionali, a metà settembre. È stata definita politica “multivettoriale”, ma nei fatti è una necessaria strategia di sopravvivenza.
Pochi giorni dopo il congresso mondiale delle religioni, nella capitale kazaka ha fatto tappa il presidente cinese, Xi Jinping, en route verso Samarcanda per il summit annuale dell’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (SCO). Per Xi è stato il primo viaggio fuori dal territorio cinese dall’inizio della pandemia, ma è stato anche un ritorno simbolico in un luogo chiave.
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Proprio dalla capitale kazaka, che ribattezzata Nur-Sultan in onore dell’ex presidente Nazarbayev tornerà presto a chiamarsi Astana, il presidente cinese nel 2013 lanciò la sua iniziativa per una nuova »Via della Seta«, la famosa Belt and Road Initiative (BRI) che ha definito la politica internazionale cinese durante tutta la sua presidenza. E nella breve tappa Xi ha trovato il tempo di mandare un messaggio chiaro sia al Kazakistan che alla Russia, affermando che “indipendentemente da come cambierà la situazione internazionale, continueremo a sostenere risolutamente il Kazakistan nella protezione della sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale”.
Il Kazakistan ha rapporti importanti con la Cina. Nel 2021 il commercio bilaterale sino-kazako ha raggiunto i 25 miliardi di dollari. Inoltre Pechino ha anche una quota importante di investimenti nell’economia kazaka, a partire dai settori del petrolio e gas, oltre che nelle energie rinnovabili e nell’automotive. Al Kazakistan interessa trovare un altro sbocco per il suo petrolio su un mercato internazionale, in un momento in cui l’oleodotto che porta il greggio kazako in Russia è fermo per “riparazioni”. Un’ipotesi è quella di aprire una nuova rotta attraverso il mar Caspio che porti direttamente alla Cina, rientrando in pieno negli obiettivi della BRI. Per questo suo approccio, il Kazakistan era considerato un pilastro per la stabilità politica ed economica dell’Asia centrale, punto di passaggio strategico per l’ambizioso progetto della nuova “Via della Seta” di Pechino, alleato chiave e storico della Russia e importante partner economico dell’Unione Europea (principale partner commerciale e destinatario di quasi il 40% dell’export totale kazako, di cui l’80% costituito da gas e petrolio).
Il Kazakistan, quindi, è il nucleo di un’area geografica che sia la Russia che la Cina considerano il loro cortile di casa. Ma la geopolitica non si nutre solo di armi e di calcoli politici, e qui entrano in gioco le ricchezze del suolo e del sottosuolo. Entro i suoi confini si trova circa il 60% delle risorse minerarie dell’ex Unione Sovietica, dal ferro al carbone, insieme a importanti riserve di petrolio (oltre 1,5 milioni di barili al giorno), metano, uranio. E poi, c’è la frontiera delle terre rare. L’America è lontana e sembra ormai aver abbandonato qualsiasi ruolo in quella parte del mondo; non così l’Unione Europea, la quale, però, è debole e disarmata.
La cooperazione russo-kazaka, sia a livello bilaterale che multilaterale, non è stata messa in discussione. Tuttavia, ci sono stati diversi disaccordi nell’ agenda condivisa. Inoltre, il Kazakistan non ha nascosto la sua preferenza per il diritto internazionale consolidato in materia di territorio e sovranità, le sue preoccupazioni per l’impatto delle sanzioni sull’area eurasiatica e il suo timore per il potenziale isolamento che potrebbe subire se il conflitto russo-ucraino dovesse continuare. Qualsiasi analisi che enfatizzi le narrazioni dicotomiche di “pro” o “contro” la Russia è destinata a perdere la complessità delle relazioni russo-kazake.
Nur-Sultan è ben consapevole dei fattori strutturali che hanno legato, vincolato e continueranno a legare il Kazakistan a Mosca, ma ciò non impedisce al grande Stato centro-asiatico di giocare le sue carte quando la sua autonomia e il suo sviluppo sono seriamente minacciati. Bilanciare queste due posizioni non è insolito per il pragmatismo multivettoriale kazako. Tuttavia, può diventare sempre più difficile da sostenere nel lungo periodo, soprattutto se la guerra porta a un ulteriore deterioramento delle condizioni di vita della popolazione e una conseguente polarizzazione interna.
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Se con l’invasione dell’Ucraina Mosca intendeva portare avanti quella che ha definito una ”operazione speciale” per difendere la propria sicurezza nazionale, al momento le altre frontiere dell’ex impero sembrano andare sempre più in ebollizione. La Russia è pur sempre un vicino ingombrante dal quale non si può scappare, ma che bisogna guardare con circospezione, come nella fiaba siberiana dell’orso e dello scoiattolo. Una mattina l’orso, di buonumore più del solito, in segno di affetto verso l’amico scoiattolo gli dà una pacca sul dorso, ma involontariamente con i suoi artigli e la sua potenza graffia e ferisce lo scoiattolo. Che così impara a essere sempre guardingo quando incontra l’orso, che pure rimane suo amico.
Si può riassumere così il destino delle relazioni fra Russia e Kazakistan, l’inevitabilità della geografia, delle affinità culturali, del passato recente condiviso, che però deve fare i conti con il mondo che cambia e una realtà sempre più diversa e in divenire.