India: prospettive e limiti di un futuro “miracolo economico”
Anche secondo IQ Air AG, un’azienda svizzera che dal 1996 produce tecnologie per monitorare e migliorare la qualità dell’aria, è Nuova Delhi, capitale dell’India, la città più inquinata del pianeta – come certificato da molte agenzie internazionali.
Nelle settimane autunnali, infatti, le quantità di polveri sottili di diametro eguale o inferiore ai 2,5 µm – particulate matter 2.5 oppure semplicemente PM2,5 – aerodisperse nell’atmosfera della città, particolarmente pericolose per la salute umana, hanno raggiunto picchi di quasi 500 microgrammi per metro cubo di aria, un valore 65 volte superiore al livello massimo raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, avvolgendo la città in una nube acre di polvere e di fumo.
Il governo dell’area metropolitana di Nuova Delhi, formalmente Territorio Nazionale della Capitale di Delhi, è corso ai ripari disponendo per qualche giorno la chiusura delle scuole elementari e la sospensione dei lavori nei cantieri stradali meno rilevanti, misure poco ambiziose e puramente occasionali che possono, forse, solo mitigare il catastrofico inquinamento atmosferico della città.
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Insieme all’Istituto indiano di tecnologia di Kanpur nell’Uttar Pradesh, il governo metropolitano di Nuova Delhi pensa perfino di creare piogge artificiali tramite una tecnica denominata «inseminazione delle nuvole», che consiste nel dispergere da un aereo sali di argento sulle nuvole – nella fattispecie su una superfice di 300 chilometri quadrati di nuvole – per favorire le precipitazioni piovose, o almeno qualche gocciolina di pioggia, che in un momento di vera emergenza sanitaria per la città possono abbattere al suolo almeno una parte delle polveri presenti nell’aria della regione, poi convogliate nel sistema fognario come acque reflue.
Nei giorni in cui si festeggia il Diwali, una delle più importanti feste indiane, che si svolge a metà novembre, si bruciano milioni di candele e si tengono migliaia di spettacoli pirotecnici. I festeggiamenti portano in città fiumi di persone che peggiorano il già drammatico traffico cittadino, tanto di giorno quanto di notte, aggiungendo altre polveri alle sostanze particolate già prodotte da altre fonti come le torri di raffreddamento gas-liquido delle centrali elettriche, gli incendi di rifiuti, in particolare nella gigantesca discarica di Bhalswa, la combustione di legname e sterco di mucca per usi domestici e i generatori di elettricità alimentanti con diesel, che complessivamente generano circa la metà dell’inquinamento dell’area metropolitana di Nuova Delhi.
Ad aggravare ancora di più le condizioni dell’aria in questo disgraziato periodo autunnale, sono, dulcis in fundo, anche le grandi quantità di polveri combuste sospinte dal vento fin dagli stati nordoccidentali del Punjab, una grande regione agricola attraversata da cinque fiumi e con una fertilità della terra senza uguali nel mondo. In questo periodo dell’anno brucia dopo la mietitura enormi cumuli di residui di colture erbacee come cereali oppure di cascame composto di fibre naturali prodotto dopo la stigliatura e la pettinatura di piante come il cotone, la canapa e il lino, ovvero le cosiddette stoppie, che nell’insieme si ritiene generino l’altra metà dell’inquinamento atmosferico dell’area metropolitana di Delhi, in particolare nel periodo autunnale.
Petrolio, carbone, gas e altri idrocarburi rappresentano la quota principale degli scambi commerciali dell’India con il resto del mondo, il cui abbondante uso, seppure dettato da specifiche necessità economiche, ha come effetto un inquinamento che mette in grave pericolo la salute di milioni di persone.
Nel 2022, il Fondo Monetario Internazionale indica scambi commerciali dell’India con il resto del mondo pari a 1.097 miliardi di dollari, ovvero il 2,2% degli scambi globali, contro il 28,9% dell’Unione Europea, l’11,6% della Cina e il 10,7% degli Stati Uniti.
Si tratta di una cifra relativamente piccola se si considera che l’India ha una popolazione che conta circa un quarto della popolazione mondiale, con i suoi oltre 1,4 miliardi di abitanti. I principali cinque partner commerciali dell’India, non sono altri Paesi asiatici, bensì Stati Uniti (11,1%) e Unione Europea (10,8%), con i quali l’India ha una bilancia commerciale positiva, seguiti da Repubblica Popolare Cinese (9,9%), Emirati Arabi Uniti (7,2%) e Arabia Saudita (4,8%), dai quali l’India importa beni più di quanti ne esporti.
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La Federazione Russa, che merita una riflessione a parte, è il sesto partner commerciale indiano, con la quale l’India scambia in valore economico il 3,6% di tutti i suoi prodotti esportati e importati, con la particolare caratteristica di una bilancia commerciale nettamente a favore delle importazioni.
Con i sudditi di sua maestà Carlo III, re di Regno Unito di Gran Bretagna, Irlanda del Nord e di altri quattordici reami del Commonwealth, l’India scambia ancora meno che con la Federazione Russa, appena l’1,8% del totale delle sue importazioni e delle sue esportazioni da e verso il resto del mondo.
Le esportazioni indiane sono dirette soprattutto verso Stati Uniti (17,7%), Unione Europea (16,2%), Emirati Arabi Uniti (6,9%), Repubblica Popolare Cinese (3,3%) e Bangladesh (3,1%).
Tra i membri dell’Unione Europea spiccano Paesi Bassi (25,1%) e Belgio (13,3%) non tanto per le loro dimensioni geografiche quanto piuttosto per la grande capacità dei loro porti marittimi, Rotterdam e Anversa, e delle infrastrutture a essi collegati di rappresentare importanti porte di accesso al mercato europeo, seguiti da Germania (14,2%), Italia (11,6%) e Francia (11%).
Le esportazioni verso la Federazione Russa ammontano a 2,9 miliardi di dollari, equivalenti allo 0,6% delle esportazioni globali indiani.
Le importazioni ricalcano sostanzialmente l’ordine delle esportazioni, eccetto per l’assenza del piccolo Bangladesh: Repubblica Popolare Cinese (14%), Unione Europea (7,5%), Emirati Arabi Uniti (7,4%), Stati Uniti (7,1%) e Arabia Saudita (6,3%).
Anche per i Paesi dell’Unione Europea, il gruppo di testa rimane inalterato, tranne che per le quantità importate, ovvero Germania (25,4%), Belgio (18%), Paesi Bassi (10,8%), Italia (10,1%) e Francia (7,7%). Le importazioni dalla Federazione Russa valgono 40,1 miliardi di dollari pari al 5,5% delle importazioni complessive indiane.
Il Dipartimento degli affari economici e sociali dell’Organizzazione delle Nazioni Unite riporta che, ancora per il 2022, il principale prodotto importato in India è il petrolio (20,9%), seguito da diamanti (5,3%), farmaci (3,9%), gioielli (2,7%) e riso (2,4%).
Per le esportazioni, rimane al primo posto ancora il petrolio (23,7%), seguito da carbone (6,7%), oro (5%), gas da petrolio (4,4%) e diamanti (3,7%).
I prodotti petroliferi sono il principale bene esportato e importato dall’India. Secondo i dati diffusi dal ministero del Petrolio e del gas naturale indiano, le importazioni di prodotti petroliferi sono rimaste stabili negli ultimi tre anni, più precisamente hanno subito una lieve riduzione passando dai 43,8 milioni di tonnellate del 2020 ai 42,1 milioni del 2022 pari a un calo del 4% in volume, senza però fornire indicazioni sulla distribuzione delle importazioni secondo il paese di provenienza.
In termini di valore economico, l’India ha importato petrolio greggio per 170 miliardi di dollari nel 2020 e per 255 miliardi di dollari nel 2022, considerando anche che nell’anno dell’invasione dell’Ucraina, Mosca offriva petrolio a Dehli a un prezzo mediamente più basso di 70 dollari per tonnellata rispetto ai prezzi correnti di mercato.
Tuttavia, il governo indiano afferma che a causa dei rischi di interruzioni delle regolari forniture di petrolio dai paesi mediorientali per ragioni legate alla guerra in Ucraina, le importazioni di petrolio greggio dalla Federazione Russa sono aumentate, senza specificarne i termini.
Secondo il Fondo Monetario Internazionale, la Federazione Russa ha esportato in India beni per 5,9 miliardi di dollari nel 2020 e per 40 miliardi di dollari nel 2022.
Siccome la Federazione Russa è un paese che esporta principalmente idrocarburi, in particolare petrolio greggio all’India, è presumibile ritenere che tutte, o quasi tutte, le esportazioni russe verso l’India siano consistite di petrolio greggio.
Con un calcolo semplificativo, ma molto realistico, rapportando i valori delle importazioni, si può affermare che le importazioni di petrolio greggio russo siano passate in valore economico dal 3,5% del 2020 al 15,7% del 2022, cioè le importazioni sono quasi quintuplicate, una cifra che è destinata a crescere nei prossimi anni, le cui quantità andranno a sommarsi alla produzione interna di petrolio, che in molti casi è più costosa del petrolio fornito dalla Federazione Russa a prezzi alquanto inferiori ai prezzi medi di mercato dopo la sospensione degli acquisti di gran parte dei Paesi membri dell’Unione Europea a seguito della brutale invasione dell’Ucraina voluta dal presidente Putin.
In entrambi i casi, sia di esportazione sia di importazione, a mancare nei primi cinque posti sono macchine utensili e altri beni strumentali, minerali ferrosi e non ferrosi, metalli per costruzioni e prodotti chimico-farmaceutici tipicamente destinati ai processi industriali. Tale situazione è in contrasto, ad esempio, con la Repubblica Popolare Cinese che è stata, e ancora è, una grandissima importatrice di tali beni per potere sostenere il proprio sviluppo socioeconomico.
Gli investimenti diretti esteri, sia in entrata sia in uscita, intesi come trasferimenti di capitale e di tecnologie da un Paese all’altro, forniscono indicazioni sul grado di internazionalizzazione delle imprese indiane.
Sono le aziende dell’Unione Europea che investono più di tutte in India sia in attività di costruzione di impianti logistico-produttivi in aree precedentemente non utilizzate (greenfield) oppure di riconversione di impianti già esistenti (brownfield) sia in attività di fusioni e acquisizioni di aziende, con una percentuale pari al 20,4% dei complessivi 666 milioni di dollari di capitali esteri allocati nel 2021 in India; tra le aziende europee campeggiano le olandesi (9,6%), seguite da francesi (3,4%), tedesche (3,2%), svedesi (0,6%) e cipriote (0,4%).
Dopo l’Unione Europea, seguono Mauritius (16,4%), Stati Uniti (16,3%), Singapore (15,4%) e Regno Unito (12,1%).
Si tratta, tuttavia, di cifre modeste, poiché in un confronto con un Paese simile per dimensioni della popolazione e del territorio, per esempio la Repubblica Popolare Cinese, si scopre che in quest’ultima gli investimenti diretti in entra sono stati di 3.577 miliardi di dollari, ovvero una quantità più di cinque volte superiore, la quale mostra in quale stato avanzato di sviluppo economico-industriale si trovi Pechino rispetto a Nuova Delhi.
Le aziende indiane preferiscono allocare i propri capitali per investimenti diretti, stimati a 106 miliardi di dollari, a Singapore (23,5%), nell’Unione Europea (16,5%), negli Stati Uniti (1,5%), in Mauritius (10,3%) e nel Regno Unito (8,7%).
Tra i Paesi dell’Unione Europea, destinazione privilegiata dei capitali di ventura indiani, dominano i Paesi Bassi (75,3%), e a seguire Cipro (7,6%), Germania (4%), Svezia (2,8%) e Irlanda (0,4%).
È evidente che date le loro modeste dimensioni geografiche ed economiche, Paesi come Mauritius, Singapore e Cipro, anche se partner importanti dell’India, sono più collettori di capitale finanziario altrui che destinazioni con aziende che investono il proprio capitale accumulato nel tempo prodotto da attività economiche.
Anche per gli investimenti esteri in uscita si tratta di dimensioni relativamente piccole se confrontate con la Repubblica Popolare Cinese, le cui aziende hanno investito all’estero 2.785 miliardi di dollari nello stesso periodo, un valore di ben 26 volte più grande rispetto all’India: il dato mostra quanto i due Paesi siano distanti tra loro, e che l’ipotetico sorpasso dell’India, semmai avverrà, sarà in un futuro piuttosto lontano e al momento nemmeno prevedibile.
La Banca Mondiale, infatti, riporta per il 2022 un prodotto interno lordo nominale per la Cina di 18 trilioni di dollari e per l’India di 3,4 trilioni di dollari, ossia, la Repubblica Popolare Cinese ha prodotto beni ed erogato servizi per un valore economico di più di cinque volte superiore all’India.
Inoltre, prendendo in considerazione l’ultimo decennio, il prodotto interno lordo cinese è cresciuto a un tasso di crescita annuale composto del 7,25% mentre il prodotto interno lordo indiano è cresciuto annualmente del 6,90%. Sebbene la fase di crescita super-accelerata della Cina sembri decisamente chiusa, rimane la considerazione che avere più braccia e gambe non è sufficiente; ci vuole anche volontà politica, capacità governativa e visione di lungo, anzi, lunghissimo periodo.
L’Unione Europea è evidentemente il principale partner commerciale dell’India in termini sia di scambi commerciali sia di capitale investito in attività economiche. Dunque l’India, escluse le questioni di difesa militare nello spazio Indo-pacifico, ha tutto l’interesse a sviluppare al massimo grado possibile le relazioni bilaterali con Bruxelles.
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Per rimanere alle questioni di breve-medio periodo e concentrandosi sulle priorità ambientali, all’India converrebbe importare per almeno un paio di decenni tecnologie per il monitoraggio e il miglioramento della qualità dell’aria come pure per il miglioramento dell’efficienza energetica, la riduzione delle emissioni di anidride carbonica e le energie rinnovabili in generale.
Nello stesso periodo, l’India dovrebbe parallelamente convogliare gli investimenti diretti in entrata verso lo sviluppo e la produzione locale delle stesse tecnologie così da aumentare il contenuto tecnologico e il capitale umano del paese per trasformarla in una grande democrazia liberale, e in economia non più emergente ma avanzata.
Per le aziende dell’Unione Europea orientate all’innovazione tecnologica e organizzativa, l’opportunità indiana è comunque grande e duratura.