international analysis and commentary

Il risveglio nucleare della Cina

Questo articolo è pubblicato sul numero 1-2025 di Aspenia

337

Nel corso di una visita ufficiale a Parigi nel marzo 2014 – due anni dopo avere assunto il potere – il segretario generale del Partito comunista cinese Xi Jinping affermò che “la Cina è un leone dormiente. Quando si sveglierà, farà tremare il mondo”.

Se da un lato la citazione faceva risuonare l’eco della famosa dichiarazione di Napoleone (“quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”) dall’altro suscitò una notevole sorpresa per la brutale schiettezza e per l’ambizione che esprimeva, due tratti che sarebbero presto diventati caratteristici della leadership di Xi.

Una parata militare cinese con le testate nucleari in vista

 

Il NUOVO APPROCCIO NUCLEARE CINESE. Nel corso degli ultimi dieci anni, sotto la direzione di Xi, la Cina ha intrapreso un’espansione senza precedenti del proprio arsenale nucleare, uno sviluppo che avrà profonde conseguenze sulla stabilità regionale e globale. Sebbene il numero preciso di testate e di sistemi di lancio rimanga oggetto di ipotesi, le prime indicazioni suggeriscono che questo potenziamento è molto più di un gesto simbolico: è invece significativo per due motivi.

In primo luogo, costituisce per Pechino un netto distacco dalla tradizionale politica di autolimitazione in campo nucleare, un principio a cui la Cina si era attenuta sin dal test del suo primo ordigno atomico nel 1964. Per decenni, la Cina ha mantenuto un deterrente credibile ma di dimensioni modeste, facendo affidamento su una forza nucleare ridotta ma dotata di capacità di sopravvivenza al primo colpo. Oggi sta riconsiderando questa posture, puntando invece a dotarsi di un arsenale più flessibile e diversificato, in grado di agire da deterrente in molteplici situazioni.

In secondo luogo, l’espansione nucleare della Cina si verifica in un contesto che vede intensificarsi la competizione tra grandi potenze, tanto che a Washington si sta riesaminando la strategia americana e si è acceso un dibattito a livello nazionale sulla necessità per gli Stati Uniti di ricalibrare ulteriormente la posture di deterrenza, di accelerare la modernizzazione nucleare e di aggiungere altre testate all’arsenale. Il rischio di una corsa agli armamenti globale sta diventando tangibile – con le principali potenze che valutano modifiche alle loro strategie nucleari – e potrebbe portare a una maggiore instabilità e all’erosione degli accordi di controllo degli armamenti e dei trattati internazionali in vigore. 

 

PERCHE’ LA CINA RAFFORZA IL SUO ARSENALE NUCLEARE? La rapida espansione dell’arsenale nucleare cinese è oggetto di intenso dibattito tra esponenti politici e analisti. Alcuni sostengono che la spinta principale derivi da interessi interni al complesso militare-industriale cinese, mentre altri affermano che essa costituisce una risposta diretta alla supremazia militare degli Stati Uniti e alla loro strategia nell’Indo-Pacifico. Sebbene tali fattori siano certamente importanti, è impossibile ignorare il ruolo della leadership e della sua volontà strategica nel determinare questo cambiamento.

Per oltre sessanta anni la Cina ha mantenuto un arsenale nucleare modesto e contenuto, stimato in 350-400 testate nucleari. Anche all’apice della guerra fredda, quando gli arsenali statunitensi e sovietici erano arrivati a contare fino a 30.000-35.000 armi nucleari, Pechino ha continuato ad aderire a una strategia di “deterrenza minima”. Mao Zedong era notoriamente scettico sull’importanza delle armi nucleari, definendole “tigri di carta” e affermando che “sono gli uomini che vincono le guerre, non la tecnologia”. Mao riteneva che avessero un’utilità estremamente limitata e sosteneva che la forza della Cina non risiedeva nell’hardware militare, ma nella sua grande popolazione, nel suo spirito rivoluzionario e nelle sue capacità di resilienza.

L’ascesa al potere di Xi Jinping ha segnato un radicale allontanamento da questo approccio prudenziale. A differenza dei suoi predecessori – Deng Xiaoping, Jiang Zemin e Hu Jintao – che hanno tutti governato tramite politiche basate sulla cosiddetta “direzione collegiale”, Xi ha rafforzato il suo potere in misura senza precedenti, diventando il leader cinese più potente dai tempi di Mao. Sotto la leadership di Xi, la forza militare è diventata uno strumento essenziale per espandere l’influenza globale della Cina, dissuadere i rivali e rafforzare il controllo del Partito comunista. Nell’ottobre 2017, durante il XIX Congresso nazionale del PCC, Xi sottolineò l’importanza della modernizzazione delle forze armate come elemento centrale del “ringiovanimento nazionale” della Cina, affermando: “Al fine di realizzare il Sogno Cinese di ringiovanimento nazionale e quello di costruire un potente esercito, abbiamo sviluppato una strategia per le forze armate adeguata alle nuove circostanze e abbiamo fatto ogni sforzo per modernizzare la difesa nazionale e le forze armate”.

 

Leggi anche: Il doppio standard cinese e le grandi alleanze

 

Le “nuove circostanze” cui Xi faceva riferimento erano evidenti: la crescente competizione strategica con gli Stati Uniti, l’espansione delle alleanze americane nell’Indo-Pacifico e l’escalation delle tensioni su Taiwan.

 

DIMENSIONI E IMPLICAZIONI DEL RIARMO CINESE. L’espansione nucleare cinese è complessa e multiforme. Dal punto di vista quantitativo, questo riarmo potrebbe non sconvolgere immediatamente l’equilibrio di potere globale. Le stime indicano che, all’inizio del 2024, la Cina disponeva di circa 500 testate nucleari: secondo le proiezioni, il loro numero potrebbe oltrepassare le 1.000 entro il 2030. Anche se questo aumento si verificasse, l’arsenale nucleare cinese rimarrebbe significativamente più piccolo di quelli di Stati Uniti e Russia, che contano ciascuno più di 5.000 testate.

Ma i numeri, da soli, non raccontano tutta la storia. La Cina non sta solo aumentando il numero delle testate, ma sta anche modernizzando i sistemi di lancio. Ciò include lo schieramento di missili balistici intercontinentali (ICBM) del tipo DF-41, in grado di trasportare testate multiple indipendenti, e l’aumento delle unità mobili di ICBM, che migliorano le chance di sopravvivenza al primo colpo. Inoltre, Pechino sta sviluppando una nuova classe di sottomarini a propulsione nucleare del tipo 096, equipaggiati con missili balistici tipo JL-3, migliorando significativamente le capacità di secondo colpo e assicurandosi un deterrente nucleare di maggiore credibilità.

Per decenni, la Cina si è affidata principalmente ai missili balistici intercontinentali basati a terra per la deterrenza nucleare. Pur essendo efficace, questo approccio rendeva il paese più vulnerabile in uno scenario di primo colpo, in quanto gli avversari avrebbero potuto colpire i suoi silos missilistici fissi e i sistemi di lancio mobili con un attacco preventivo. Lo sviluppo e il dispiegamento di sottomarini dotati di missili balistici è importante perché aumenta la capacità di secondo colpo da parte di Pechino, rendendo il suo deterrente nucleare più credibile.

Lo sviluppo di armi ipersoniche – quali il sistema di bombardamento orbitale frazionale testato nel 2021 – sottolinea come l’intenzione di Pechino sia quella di eludere le difese missilistiche statunitensi e ampliare le proprie opzioni strategiche. In sostanza, la Cina starebbe cercando di sviluppare la propria capacità di sferrare attacchi nucleari da molteplici vettori, complicando la pianificazione della difesa avversaria. Inoltre, Pechino sta sviluppando attivamente la deterrenza strategica aerea grazie al bombardiere stealth H-20, dotandosi del suo primo autentico bombardiere strategico a capacità nucleare. Una volta operativo, l’H-20 completerebbe la triade nucleare cinese, andando ad aggiungersi ai missili basati a terra e alle testate lanciate dai sottomarini, e offrirebbe a Pechino maggiore flessibilità nella proiezione della forza e nelle opzioni di attacco nucleare. Nel loro insieme, questi progressi segnalano l’ambizione della Cina di passare da una posture di deterrenza minima a una forza nucleare più assertiva, capace di sopravvivenza e multi-domain.

Le implicazioni strategiche della decisione cinese di espandere ma anche di diversificare il proprio arsenale nucleare sono di notevole spessore. La disponibilità di una forza nucleare più flessibile e potente indica che il paese potrebbe non considerare più il suo arsenale come un deterrente di ultima istanza, ma piuttosto come uno strumento per ottenere risultati sul terreno geopolitico, dissuadere gli interventi militari convenzionali e in generale rafforzare la propria influenza strategica. Una forza nucleare più diversificata e capace di sopravvivenza non solo aumenta la capacità della Cina di esercitare una deterrenza credibile verso gli Stati Uniti in un confronto diretto, ma alza anche la posta in gioco nell’ambito dei conflitti regionali, in particolare nello Stretto di Taiwan e nel Mar Cinese meridionale. Possedere un deterrente più forte potrebbe incoraggiare Pechino ad assumere maggiori rischi strategici, nella convinzione che il timore di un’escalation limiterà la risposta di Washington. Questa svolta potrebbe tradursi in rivendicazioni territoriali più assertive e in una diplomazia coercitiva, sostenuta dalla minaccia implicita di una effettiva capacità di secondo colpo.

Infine, l’espansione dell’arsenale nucleare cinese ha profonde conseguenze anche per gli alleati degli Stati Uniti. La credibilità delle garanzie di sicurezza americane in Asia – a lungo basate sulla superiorità nucleare – potrebbe indebolirsi, costringendo paesi come il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia a riconsiderare le proprie opzioni strategiche. Ciò apre una seria possibilità di proliferazione nucleare regionale: gli alleati potrebbero valutare che un deterrente indipendente rappresenti la loro unica opzione affidabile.

 

LA RISPOSTA DI WASHINGTON. Finora l’America ha reagito al rafforzamento nucleare della Cina con un mix di revisione strategica, modernizzazione militare e iniziative diplomatiche. I responsabili della difesa americani considerano la rapida espansione nucleare di Pechino un fattore di cambiamento significativo per la stabilità strategica globale, tale da suscitare discussioni sulla deterrenza, sul controllo degli armamenti e sul futuro della deterrenza estesa nell’Indo-Pacifico. La Nuclear Posture Review 2023 del Pentagono ha sottolineato il potenziamento dell’arsenale cinese, definendolo come una sfida a “tenere il passo” e argomentando così la necessità di modernizzare le forze nucleari statunitensi per garantirne la credibilità contro molteplici rivali nucleari.

 

Leggi anche: La terza era nucleare

 

Un elemento chiave della risposta di Washington è stata l’accelerazione degli sforzi di modernizzazione. Gli Stati Uniti si sono impegnati a potenziare la loro triade nucleare, che comprende missili balistici intercontinentali basati a terra, missili balistici lanciati da sottomarini e bombardieri con capacità nucleare. Programmi come il nuovo ICBM Sentinel, lo sviluppo del bombardiere stealth B-21 Raider e lo schieramento di ulteriori sottomarini della classe Columbia dotati di missili balistici, sono indice di uno sforzo per mantenere la superiorità strategica. Inoltre, Washington ha puntato sul miglioramento della difesa missilistica, in particolare nell’Indo-Pacifico, tramite una maggiore cooperazione con Giappone, Corea del Sud e Australia.

Oltre alla modernizzazione militare, Washington ha cercato di rafforzare il suo impegno a una deterrenza estesa, per rassicurare gli alleati preoccupati dalla crescita della capacità nucleare della Cina. Sono aumentate le esercitazioni militari congiunte, è stata rafforzata la cooperazione in materia di difesa missilistica e si è discusso di accordi di condivisione nucleare con partner chiave come il Giappone e la Corea del Sud. Gli Stati Uniti hanno anche consolidato le loro alleanze tramite AUKUS (Australia-Regno Unito-Stati Uniti) e Quad (Stati Uniti-Giappone-India-Australia), dando il segnale di uno sforzo più ampio volto a controbilanciare l’espansione militare cinese.

A livello diplomatico, Washington ha sollecitato un maggiore dialogo strategico con Pechino per ridurre il rischio di errori di valutazione in campo nucleare. La Cina, però, ha generalmente respinto le proposte statunitensi sul controllo degli armamenti nucleari, sostenendo che non dovrebbe essere soggetta agli stessi accordi di Stati Uniti e Russia, considerato il suo arsenale storicamente più piccolo. La mancanza di meccanismi formali per il controllo degli armamenti tra Washington e Pechino rimane una lacuna critica per la riduzione del rischio nucleare. Di fronte all’espansione della potenza nucleare cinese, per Washington la sfida sarà quella di mantenere una deterrenza credibile senza innescare una corsa senza freni agli armamenti che potrebbe ulteriormente destabilizzare la sicurezza globale.

PER L’EUROPA, UN APPROCCIO PRUDENTE. Gli europei potrebbero tendere a considerare l’escalation delle tensioni tra Stati Uniti e Cina in Asia come una questione lontana e irrilevante per i loro interessi immediati. Tuttavia, mentre il riarmo nucleare di Pechino e le crescenti tensioni regionali rimodellano il panorama geopolitico globale, l’Europa non può permettersi di restare un osservatore passivo. Allo stesso tempo, un suo coinvolgimento deve essere ben ponderato: l’Europa non dovrebbe impegnarsi senza un quadro strategico chiaramente definito.

L’instabilità nell’Indo-Pacifico non è un problema remoto; le sue ripercussioni si rifletteranno inevitabilmente sull’Europa, influenzando il commercio globale, la stabilità economica e le dinamiche di sicurezza. La risposta strategica dell’Europa dovrebbe essere proattiva piuttosto che reattiva, tesa a garantire la salvaguardia dei propri interessi ma evitando anche il rischio di farsi trascinare in conflitti tra grandi potenze che sono estranei alle sue principali priorità in termini di sicurezza. Ciò richiede che l’Europa definisca un approccio chiaro, coerente e indipendente, che armonizzi le sue priorità diplomatiche, economiche e di difesa con la stabilità nel lungo periodo.

 

Leggi anche: Il riarmo e l’idea di Europa da difendere

 

In questo panorama di sicurezza in evoluzione, uno dei maggiori rischi per l’Europa è quello di essere manovrata tatticamente sia dalla Cina che dagli Stati Uniti, trovandosi così stretta tra due potenze in competizione senza avere una posizione ben definita. Per evitarlo, l’Europa deve elaborare una politica strategica unitaria nei confronti della Cina e degli Stati Uniti, assicurandosi di mantenere una propria linea d’azione indipendente, piuttosto che schierarsi semplicemente con una parte o con l’altra. Un approccio equilibrato e attento ai propri interessi dovrebbe concentrarsi sulla resilienza economica, sul progresso tecnologico e sull’influenza diplomatica, garantendo così che l’Europa resti un attore globale piuttosto che un osservatore passivo o un alleato subalterno.

Ciò significa anche resistere a eventuali pressioni da parte di Washington per impegnarsi militarmente in Asia con un intervento della NATO. Gli Stati Uniti si sono già assicurati il coinvolgimento di alcune nazioni europee (come Germania, Paesi Bassi e Regno Unito) nell’Indo-Pacifico, ma l’Europa deve resistere alla tentazione di farsi trascinare nel teatro asiatico. La missione principale della NATO rimane la sicurezza europea e transatlantica e qualsiasi deriva verso operazioni militari in Asia potrebbe indebolire le sue responsabilità di fondo, riducendone le risorse e minando le capacità effettive della difesa europea. Pur appoggiando la stabilità diplomatica in Asia, l’Europa deve evitare di restare coinvolta in conflitti che potrebbero distogliere l’attenzione da sfide urgenti per la sicurezza del continente, come le minacce della Russia, la sicurezza energetica e la competizione tecnologica.

Infine, con l’intensificarsi della rivalità tra Stati Uniti e Cina, le catene di approvvigionamento globali e gli ecosistemi tecnologici diventeranno sempre più frammentati. L’Europa deve dare priorità all’autosufficienza economica nei settori critici, investire in tecnologie di nuova generazione e sviluppare misure di salvaguardia contro le forme di coercizione economica. Rafforzando la propria base industriale e mettendo in sicurezza le catene di approvvigionamento per i settori strategici, l’Europa può ridurre le proprie vulnerabilità e rimanere competitiva in un ordine mondiale in rapida evoluzione.

LA NORMALITÀ DI UNA SFIDA CRUCIALE. Ritengo che l’espansione nucleare della Cina non sia un’anomalia ma rifletta piuttosto un modello storico, e che il suo comportamento vada considerato “normale” nel più ampio contesto relativo alle potenze in ascesa. Nel corso della storia, ogni nazione in ascesa ha cercato di tradurre il suo crescente potere economico e politico in forza militare, utilizzandola non solo come strumento di difesa, ma anche come mezzo per plasmare le dinamiche internazionali a proprio favore.

Una Cina più forte non equivale necessariamente a una minaccia imminente per la sicurezza internazionale. Diventando più fiduciosa nelle proprie capacità, la principale potenza asiatica potrebbe anche dimostrarsi più incline a ricercare accomodamenti e negoziati in un quadro di controllo degli armamenti. Tuttavia, affinché questo cambiamento si verifichi la Cina deve prima percepire di avere un ruolo riconosciuto nell’ordine mondiale. Se Pechino si percepisce come permanentemente esclusa o contrastata, avrà scarsi incentivi a impegnarsi nel controllo degli armamenti o nelle misure di rafforzamento della fiducia.

La questione, quindi, non è se l’espansione nucleare della Cina costituisca qualcosa di eccezionale, ma se la comunità internazionale si adatterà a questo cambiamento in modo da incoraggiare la stabilità strategica piuttosto che aumentare le tensioni. Una Cina più integrata, che si consideri uno stakeholder chiave piuttosto che un antagonista, potrebbe in ultima analisi essere più disposta a impegnarsi in misure di sicurezza cooperative.

Il momento attuale offre un’opportunità per influenzare la traiettoria della Cina, assicurandosi che la sua ascesa rafforzi l’ordine internazionale, anziché destabilizzarlo. L’esito rimane incerto, la posta in gioco è immensa e il percorso da seguire è sia costoso che costellato di rischi. Tuttavia, non impegnarsi in questa sfida strategica potrebbe portare a conseguenze ben più gravi.

 

 


Questo articolo è pubblicato sul numero 1-2025 di Aspenia