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Il risveglio degli alauiti verso una Siria post-Assad?

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Tra fine marzo e inizio aprile è circolato su alcuni dei principali media occidentali (dalla BBC, a die Welt, a Le Figaro) un documento redatto da alcuni leader della comunità alauita siriana. Gli alauiti sono la minoranza religiosa di cui è espressione il presidente Bashar al-Assad, e del cui regime ha costituito un tassello fondamentale. Il testo, intitolato “Declaration of Identity Reform”, potrebbe rappresentare un punto di svolta nella transizione del paese verso un nuovo ordine.

Apparentemente autentico, è composto di 20 pagine dattiloscritte che comprendono una versione araba preceduta dalla sua traduzione certificata in inglese, e presenta notevoli spunti di interesse sia dal punto di vista religioso, che da quello politico, che è utile esaminare separatamente.

Dal punto di vista religioso, il documento rivendica orgogliosamente per gli alauiti l’identità di ‘terza branca’ dell’Islam – con pari dignità rispetto alle due principali colonne, i sunniti e gli sciiti. Questa rivendicazione di differenza rappresenta una grossa novità, dato che per molto tempo nel paese la comunità è stata identificata come una particolare forma di sciismo: una versione che da un lato era utile ad evitare l’etichetta di eresia e di estraneità all’Islam; ma, dal punto di vista politico, serviva anche a legittimare l’alleanza tra il regime alauita di Assad e l’Iran sciita.

Due aspetti piuttosto eclatanti, dal punto di vista della dottrina e anche di quello della politica, emergono dal testo. Intanto l’ammissione, proprio in chiusura del documento, secondo cui “l’alauismo incorpora elementi di altre religioni monoteiste, particolarmente ebraismo e cristianesimo”: un aspetto che, secondo il testo, non deve essere visto come deviazione dell’Islam, ma come indice di arricchimento e universalità. Un’affermazione di meticciato che appare volutamente provocatoria a fronte dell’aspirazione alla purezza e all’intolleranza dei fondamentalisti religiosi. Il testo poi presenta l’esoterismo come qualità distintiva dell’alauismo, “non da difendere ma da rivendicare”, che deriverebbe dalla necessità di interpretare il Corano, un testo “in codice” e “incommensurabile”. Un punto abbastanza oscuro per il comune lettore, ma probabilmente mirato contro la tendenza dei fondamentalisti a prendere il Corano alla lettera.

Se possibile, le implicazioni ideologiche del documento sono anche più dirompenti: a partire dalla dichiarazione di adesione “ai valori di uguaglianza, libertà e cittadinanza”, come principi per organizzare e mantenere l’unità sociale. Il che, a sua volta, presuppone l’applicazione di laicità e democrazia come “meccanismi adeguati a mettere in pratica quei valori”, in modo da rifondare lo stato siriano su una base non settaria, ma inclusiva di tutte le sue componenti in un’unica comunità nazionale. Ne consegue anche il rifiuto di una religione di stato, e la parità di tutte le confessioni.

Su queste basi, gli autori del documento sembrano voler avviare una nuova fase storica, con il superamento dell’etichetta di “minoranza”, con lo sguardo rivolto a una futura società più “aperta”, in cui blocchi sociali e religiosi potranno dialogare. Ciò è esplicitato sia con un’autocritica al passato settarismo della propria comunità nel contesto della nazione siriana – messo in pratica durante la collaborazione con Assad – sia con una dichiarazione di perdono per le persecuzioni subite in passato, in particolare dai sunniti, che hanno spesso considerato gli alauiti alla guisa di eretici.

La parte più dirompente è composta però dalle critiche e dalle dissociazioni a proposito dello stesso regime di Assad: si definisce la “sollevazione” di molti siriani come “un’iniziativa di nobile rabbia” e l’integrazione nazionale come “niente più che un’illusione esibita da regimi totalitari”. Soprattutto, gli alauiti mettono in chiaro: “il potere politico, da chiunque sia personificato, non ci rappresenta e non dà forma alla nostra identità o preserva la nostra sicurezza e la nostra reputazione”. Parole chiarissime, a rivendicare la propria autonomia (in generale, e nei confronti del passato regime) nello scenario della transizione siriana.

Se alcuni messaggi del testo appaiono netti, più difficile è capire quale potrà essere il loro reale impatto, anche viste le modalità poco chiare con cui questo è trapelato. Molto dipenderà da un fattore: se il documento è condiviso da una parte consistente della comunità, o se è il prodotto di una piccola frangia in cerca di consensi e alleati.

Possiamo comunque trarne una conclusione evidente: è la perdita di credibilità interna del regime, oggi sorretto essenzialmente dall’appoggio militare di Teheran e Mosca. Tanto che persino una parte della comunità di cui il leader è espressione – e del cui regime ha costituito un pezzo essenziale, pur rappresentando solo il 15% della popolazione – sente oggi la necessità di smarcarsi, per giocare un ruolo autonomo in una futura transizione. È un segnale rivolto a potenziali interlocutori interni e internazionali: “date le opportune circostanze – sembrano dire – siamo disposti a scaricare Assad”.

La comunità aveva già segnale dato segnali di scontento: dalla fine del 2014 hanno tenuto manifestazioni a Latakia, la cui regione ha costituito uno stato alauita indipendente sotto il mandato francese tra il 1920 e il 1936, contro la gestione della guerra e le ingenti perdite umane subite dalla comunità; e nelle scorse settimane hanno tenuto al Cairo una riunione di dissidenti siriani alauiti. Il testo del documento segna tuttavia un ulteriore cambiamento di passo, forse motivato proprio dal timore di essere stritolati tra il martello di Assad e l’incudine dell’estremismo religioso: ovvero tra le decimazioni belliche e le possibili vendette post-belliche.

Insomma: i rappresentanti degli alauiti che hanno prodotto questo documento cercano una terza via, dicendosi disponibili ad abbandonare il regime e lavorare per la transizione, in cambio di garanzie internazionali forti per il futuro; non vogliono cioè che la nuova Siria che emergerà dalla fine della guerra li consideri “nemici”, collusi con il terribile passato. Anche se non avesse un impatto immediato sulla situazione sul terreno, il documento rappresenta dunque una risorsa importante per la comunità alauita negli eventuali negoziati al termine del conflitto, e un tassello per la costruzione di una Siria pluralista e democratica.