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Il responso delle elezioni americane sulle questioni del gender: un quadro contrastato

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Sono state, le recenti elezioni americane, una sconfitta della “guerra dei Repubblicani contro le donne”? Sono state, quindi, una “vittoria delle donne”? I dati che abbiamo a disposizione, e la storia che abbiamo alle spalle, suggeriscono risposte positive a queste domande, ma con alcuni caveat. Il conflitto intorno ai ruoli, e ai corpi, delle donne è stato importante in questa tornata elettorale. I Repubblicani e i Democratici hanno assunto posizioni politiche e simboliche contrastanti; e ai primi non è andata bene. Questa battaglia, tuttavia, è stata combattuta anche fra le donne, per tanti aspetti diverse le une dalle altre: alcune hanno vinto, altre hanno perso. Ed è una battaglia destinata a continuare, perché radicata nella società americana e nelle sue trasformazioni.

Il Partito Repubblicano è diventato il partito dei “fondamentalisti sessuali”, secondo la definizione polemica della storica Nancy Cohen, che ne racconta le vicende nel libro Delirium: The Politics of Sex in America. Costoro hanno acquisito un peso rilevante nella vita del paese insistendo su temi come l’opposizione al controllo delle nascite e al sex for pleasure, all’aborto, ai diritti degli omosessuali, ai modelli non tradizionali dei comportamenti di genere, delle relazioni famigliari, e della famiglia stessa (in particolare per ciò che riguarda i ruoli femminili). Hanno così mostrato una sorta di ossessione per il sesso e il controllo delle pratiche sessuali, con un approccio che sembra essere in contraddizione con la filosofia di libertà personale e governo limitato che caratterizza, per altri versi, il conservatorismo americano.

I fondamentalisti sessuali non sono una novità. Come fenomeno popolare, sono nati negli anni settanta, in quanto reazione alla rivoluzione sessuale del decennio precedente, alla diffusione di facili mezzi anti-concezionali (la pillola), al femminismo e all’orgoglio gay. Sono entrati con decisione nelle “guerre culturali” iniziate dai progressisti, schierandosi sull’altro lato della contesa. Le prime manifestazioni del loro attivismo si sono coagulate nei gruppi anti-abortisti pro-life, contro la sentenza Roe vs. Wade (1973) della Corte suprema. E nei gruppi pro-family che hanno bloccato l’Equal Rights Amendment (ERA), un emendamento costituzionale che avrebbe dovuto riconoscere l’eguaglianza dei diritti senza distinzioni di sesso – mai ratificato proprio per la loro opposizione.

Partendo da questi fenomeni di attivismo politico-sociale, sono diventati un arcipelago. Si sono intrecciati con i movimenti della destra religiosa. Hanno scelto le elezioni come terreno principale delle loro lotte, a cominciare dalla politica locale, dai consigli scolastici elettivi, e hanno fatto del GOP il loro veicolo, finendo per controllarne molte leve negli stati. Hanno così contribuito ai successi della nuova maggioranza repubblicana, e ridisegnato il panorama politico negli anni Ottanta e Novanta.

Dopo l’insediamento di Barack Obama, questi gruppi conservatori hanno giocato di sponda con il Tea Party, ottenendo buoni riconoscimenti alle elezioni di medio termine del 2010. E hanno influenzato le primarie presidenziali repubblicane del 2012. Alla fine della storia il candidato prescelto, Mitt Romney, non era proprio cosa loro, ma alcune parti del programma del partito sì.

I nemici del fondamentalismo del gender sono stati le politiche sociali dei Democratici È stato infatti il Partito Democratico e, in questi ultimi anni, l’amministrazione Obama, a essere pro-choice in materia d’aborto, nonché favorevole alla pianificazione familiare, alla copertura assicurativa delle spese per gli anti-concezionali, alla parità di diritti e opportunità per le donne, ai diritti di gay e lesbiche. È stato Obama a revocare Don’t Ask, Don’t Tell, la legge che discriminava gli omosessuali nelle forze armate. È stato il suo ministero della Giustizia a suggerire la incostituzionalità del Defense of Marriage Act, una legge che non riconosce a livello federale i matrimoni gay celebrati negli stati dove essi sono permessi. Ed è stato lui il primo presidente in carica a sostenere la marriage equality, ovvero il diritto al matrimonio civile per persone dello stesso sesso.

Nella tornata elettorale del novembre 2012 si è consumata l’ennesima tappa di questo conflitto sul sesso, e le posizioni democratiche sono state premiate. Il same-sex marriage è stato adottato in tre stati con referendum popolari, una novità assoluta. I candidati repubblicani che più si sono esposti con posizioni conservatrici estreme sull’aborto, sono stati puniti. Alcune candidate democratiche che si sono fortemente caratterizzate sul fronte opposto hanno invece vinto. E naturalmente importanti gruppi demografici, molto interessati a queste questioni, hanno contribuito alla vittoria di Obama: secondo gli exit polls, hanno votato per lui il 55% delle donne e fra esse il 67% delle donne single, nonché il 76% di lesbiche e gay (una categoria quest’ultima che rappresenta complessivamente una minoranza del 5% degli elettori, ma potenzialmente decisiva nell’aritmetica elettorale).

Una vittoria delle donne, dunque? Della maggioranza delle donne, indubbiamente, e di un certo tipo di donne: soprattutto giovani, single (come si è visto), non bianche, meno religiose della media, urbanizzate, di idee politiche da moderate a liberal – donne “moderne” si potrebbe dire. Resta quel 45% che non ha votato Obama, e che rappresenta l’altra faccia della medaglia: sposate, bianche (il 56% ha votato Romney), meno giovani, meno metropolitane, più religiose, conservatrici – più “tradizionali” o tradizionaliste. Costoro hanno condotto la loro battaglia dalla parte dei Repubblicani, negando ai Democratici e alle “femministe” l’autorità di definire per intero le women’s issues.

Ma è importante notare che se le donne conservatrici sono pro-family, per affermare la causa sono in realtà ben disposte a uscire dalla famiglia, a entrare nella piazza pubblica, a diventare efficaci attiviste. Sono state loro ad animare i movimenti pro-life degli anni settanta. La campagna Stop ERA è stata guidata da una donna, Phyllis Schlafly, e ha fatto appello alle ansie delle housewives: con l’emendamento sulla parità dei diritti, avrebbero rischiato di perdere il sostegno economico del marito, nel matrimonio o nel divorzio? Avrebbero dovuto fare il servizio militare? O subire l’onta dei matrimoni omosessuali? Femminile è stata, ed è, la dirigenza grassroots dei Tea Party, come anche la sua dirigenza congressuale: il Tea Party Caucus della Camera dei Rappresentanti è stato fondato da Michele Bachmann, deputata repubblicana e candidata alle primarie presidenziali.

Le donne, dopo tutto, non sono un blocco monolitico. Hanno interessi e passioni diverse, con in comune solo il desiderio e la forza di far sentire la propria voce.