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Il quadro alla vigilia elettorale di midterm: nomi e numeri

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Con le elezioni di martedì 4 novembre, verranno rinnovati un terzo del Senato, l’intera Camera dei Rappresentanti e 36 governatori statali. Si terranno inoltre referendum ed elezioni amministrative a livello locale.

La situazione di partenza è la seguente: la Camera dei Rappresentanti è in mano repubblicana, con 234 seggi a fronte dei 201 dei Democratici. In Senato è invece il Partito Democratico a essere in maggioranza, potendo contare su 55 senatori (53 propri più due indipendenti che hano votato con i Democratici), quindi dieci in più di quelli repubblicani. Per quel che riguarda la guida dei singoli stati, è di nuovo il Partito Repubblicano a partire in vantaggio, potendo contare su 29 governatori su 50.

Dei 36 seggi senatoriali per cui si voterà (il canonico terzo dell’assemblea più tre elezioni speciali indette a seguito di dimissioni o decessi di senatori in carica) saranno in palio 21 seggi attualmente in mano ai Democratici e 15 detenuti oggi dai Repubblicani. A livello statale saranno invece 22 i governatori uscenti repubblicani e 14 gli incumbent democratici.

Poiché i sondaggi sono unanimemente concordi nel non attribuire alcuna possibilità ai Democratici di riconquistare la Camera, l’interesse mediatico è interamente focalizzato sulle sfide senatoriali, dove l’incertezza è alta. Il risultato del Senato sarà determinante per gli ultimi due anni di amministrazione Obama: un eventuale dominio repubblicano in entrambi i rami del parlamento renderebbe probabilmente impossibile la vita del Presidente, la cui azione di governo è già oggi fiaccata dall’aspra conflittualità parlamentare e dalla presenza di una solida maggioranza repubblicana alla Camera.

I Democratici devono difendere i sei senatori di vantaggio, ma questo è complicato sia dal dover rimettere in palio un maggior numero di seggi rispetto agli avversari, sia dal fatto che ben cinque senatori uscenti hanno deciso di non ricandidarsi. In West Virginia,  Jay Rockfeller – rieletto già cinque volte – ha deciso di rinunciare a correre per un sesto mandato e ora la giovane candidata democratica Natalie Tennant è sotto di 15 punti rispetto alla rivale repubblicana. In South Dakota, Tim Johnson ha scelto di ritirarsi dalla politica e il suo sostituto Rick Weiland è dato dai sondaggi oltre 10 punti dietro il Repubblicano Mike Rounds, sebbene quest’ultimo sia danneggiato dalla candidatura indipendente dell’ex Senatore repubblicano Larry Pressler. In Montana, Senatore Max Baucus – eletto già per sei volte – ha scelto da tempo di non ricandidarsi e, nominato Ambasciatore americano in Cina, è completamente uscito dalla scena politica locale. Il suo sostituto pro tempore John Walsh è rimasto coinvolto in uno scandalo fatto di paper accademici copiati e ha dovuto ritirarsi dalle primarie di cui era il grande favorito. I Democratici hanno dovuto così nominare la giovane e inesperta Amanda Curtis che si ritrova ora nella disperata impresa di recuperare quasi 20 punti percentuali al Congressman repubblicano Steve Daines.

In Iowa la situazione è più incerta, ma anche qui il seggio democratico è a rischio, stante il ritiro del popolare Tom Harkin, in Senato dal lontano 1985. A contendersi la sua poltrona vacante saranno il Democratico Bruce Braley e la Repubblicana Toni Ernst, quest’ultima data in lieve vantaggio dagli analisti. In Michigan, infine, l’ottantenne Carl Levin ha scelto di non inseguire un settimo mandato, rendendo più aperta la sfida tra il Democratico Gary Peters e la Repubblicana Terri Lynn Land. Qui, tuttavia, gli ultimi dati assegnerebbero un buon margine a Peters.

In casa repubblicana, invece, solo un senatore uscente ha deciso di non competere per la propria riconferma, Saxby Chambliss in Georgia. E infatti qui sono i Repubblicani a rischiare di perdere il seggio, anche perché l’uomo d’affari David Perdue, candidato del Grand Old Party (GOP), si trova ad affrontare la combattiva Michelle Nunn (tra l’altro figlia dell’assai popolare, tre volte senatore, Sam Nunn) e i sondaggi più recenti li danno esattamente alla pari.

Se, come pare oggi, i Repubblicani hanno ormai in mano Montana, West Virginia e South Dakota, questo significa che hanno già dimezzato lo svantaggio in Senato. Ipotizzando anche che i Democratici riescano a riconfermarsi in Iowa e Michigan e a vincere in Georgia, scenario possibile ma decisamente ottimistico, il problema per il partito del Presidente Barack Obama si sposterebbe su altre quattro sfide dove senatori democratici uscenti sono dati in svantaggio. Mark Begich, che nel 2008 mise fine al regno quarantennale del Repubblicano Ted Stevens in Alaska, è ora staccato di 4-5 punti da Dan Sullivan, già Procuratore Generale dello Stato sotto Sarah Palin. In Arkansas, è considerato assai vulnerabile il seggio del religiosissimo Democratico Mark Pryor, oggi in svantaggio nei confronti del Repubblicano Tom Cotton. In Colorado è incerta la contesa tra l’uscente Democratico Mark Udall e lo sfidante Cory Gardner; mentre in Louisiana Mary Landrieu, uno dei politici democratici più conservatori, è testa a testa col Deputato repubblicano Bill Cassidy.

Una possibile sorpresa potrebbe arrivare dal Kansas, dove l’indipendente Greg Orman è avanti nei sondaggi e potrebbe mandare in pensione il Repubblicano Pat Roberts, che tra Camera e Senato rappresenta ininterrottamente lo stato da 33 anni. Tuttavia, sebbene la vittoria di Orman significherebbe un seggio repubblicano in meno, non è chiaro dove questi andrebbe effettivamente a collocarsi politicamente: in passato è stato registrato sia come Repubblicano che come Democratico e dal 2010 non risulta affiliato ad alcun partito. Egli stesso ha dichiarato di aver votato per Obama nel 2008 e per Romney nel 2012 e sono agli atti le sue donazioni al Senatore democratico Harry Reid nel 2007 e il suo appoggio al Repubblicano Scott Brown nel 2010.

Non sorprende, dunque, che i partiti stiano concentrando investimenti ed energie in queste cinque contese elettorali, per cui sono in atto massicce campagne di spot elettorali. I Democratici, appena due anni fa, all’indomani della riconferma di Obama, contavano di capitalizzare in termini di consenso alcuni provvedimenti presidenziali come l’Obamacare, il pacchetto di stimoli all’economia e l’incremento delle tasse per le fasce di reddito più alte. In realtà, la popolarità di Obama, sebbene leggermente risalita dagli abissi di inizio estate, è ancora ferma al 44%, un livello certamente non soddisfacente. Intanto, alcune delle campagne elettorali chiave di quest’anno si stanno concentrando su questioni potenzialmente dannose per i Democratici: in Colorado, ad esempio, la strategia di Mark Udall appare monopolizzata dal tema dell’aborto, una scelta che ha fatto storcere il naso anche a numerosi commentatori di area liberal.

Secondo lo statistico Nate Silver, che ha analizzato tutti i sondaggi dell’ultimo mese relativi a ciascuna corsa senatoriale (e in passato ha previsto i risultati con impressionante precisione), i Repubblicani avrebbero il 56% di possibilità di conquistare la maggioranza del Senato. Si tratta di una percentuale andata stabilizzandosi nelle ultime settimane, anche se è ancora suscettibile di ribaltamenti e sorprese dell’ultimo minuto.