Il Piano Mattei funziona? Una prima valutazione
L’interesse del governo italiano per l’Africa si è rafforzato, in vista della costruzione di un nuovo partenariato strategico con il continente, attraverso la formulazione del Piano Mattei – annunciato già nell’ottobre del 2022 e lanciato ufficialmente nel gennaio 2024. Tuttavia, come evidenziato da Roma, il Piano si configura come una piattaforma programmatica dalla struttura aperta. Quindi, viene da domandarsi: questo modello può orientare in modo efficace nuovi scenari di cooperazione, oppure esiste il rischio che gli investimenti, in mancanza di una cornice ben definita, non producano i risultati sperati?

L’Italia verso Sud
Negli ultimi dieci anni, a prescindere dall’orientamento politico dei vari governi, l’Africa ha assunto un crescente rilievo nell’agenda italiana. La crisi finanziaria globale del 2008-2009, la crisi migratoria del 2014-2016, la guerra in Crimea del 2014 – con la conseguente necessità di diversificare gli approvvigionamenti energetici – hanno contribuito ad accrescerne l’importanza. Al tempo stesso, però, all’interno delle istituzioni italiane si è rafforzata la consapevolezza che l’Africa non rappresenta soltanto un fulcro importante delle attuali sfide geopolitiche, ma anche una fonte di opportunità economiche, essendo destinata a svolgere un ruolo sempre più di primo piano nella crescita globale. Si prevede che la sua popolazione nel 2050 conterà un quarto di quella globale, con un’età media di 25 anni. Ma non è solo la dimensione demografica a rendere l’Africa la “terra del futuro”. È anche il patrimonio significativo in termini di risorse naturali. Il continente, infatti, possiede circa il 30% delle riserve minerarie, 7% di quelle petrolifere e di gas, e oltre il 60% delle terre arabili incolte del mondo.

È proprio in virtù di tale contesto che gli esecutivi italiani dell’ultimo decennio hanno intensificato i rapporti con alcuni Paesi nel continente africano. È soprattutto a partire dal 2022, in seguito alla crisi energetica scaturita dal conflitto in Ucraina, che con il governo di Mario Draghi emerge con urgenza la necessità di orientare l’attenzione dell’Italia verso il Sud, valorizzando la posizione geografica del Paese come ponte naturale tra l’Europa e il Mediterraneo. Tale visione è stata ulteriormente consolidata con il governo guidato da Giorgia Meloni che ha ragionato, fin dalla campagna elettorale, su un progetto strategico di diplomazia, cooperazione allo sviluppo e investimento dell’Italia per rafforzare e rinnovare i legami con il continente: il “Piano Mattei per l’Africa”.
La scelta di denominare questa iniziativa “Piano Mattei” rende naturalmente omaggio a Enrico Mattei, fondatore dell’Ente Nazionale Idrocarburi (ENI). Antifascista e partigiano durante la Seconda Guerra Mondiale, parlamentare per la Democrazia Cristiana (DC) dal 1948 al 1953, ricoprì in seguito un ruolo decisivo nell’evoluzione dell’Azienda Generale Italiana Petroli (Agip) in ENI grazie anche all’elaborazione della “formula Mattei”. Si tratta di un modello cooperativo che puntava a instaurare un equilibrio tra Eni e il Paese ospitante, garantendo una partecipazione congiunta sia nelle operazioni di estrazione e commercializzazione del petrolio, sia nella distribuzione dei profitti. Questo approccio si è concretizzato attraverso la creazione di società a controllo congiunto, fondate sul principio della parità tra le parti coinvolte.
Tale formula permise a ENI di competere, almeno in certa misura, con le grandi compagnie petrolifere internazionali – le cosiddette “sette sorelle” – siglando accordi di rilievo con Paesi del Nord Africa e del Medio Oriente tra il 1952 e il 1964. Non a caso, il battesimo del nuovo Piano è avvenuto, nel gennaio 2023, durante le visite ufficiali della Presidente Meloni in Algeria e in Libia: due Paesi con cui ENI ha storici rapporti che andavano oltre alla dimensione energetica. In particolare, Mattei sostenne la lotta per l’indipendenza algerina finanziando il Fronte di Liberazione Nazionale (FLN), con un’operazione certamente delicata in termini diplomatici, quantomeno nei confronti della Francia.
Il Piano Mattei e i suoi obiettivi
Il Piano promosso da Meloni dichiara di mirare a relazioni bilaterali basate sulla parità, evitando logiche di sfruttamento. Formalizzato con un decreto-legge nel novembre 2023 e convertito in legge il 14 gennaio 2024, il Piano Mattei è stato presentato pubblicamente dalla Presidente del Consiglio durante il vertice Italia-Africa (per la prima volta elevato al rango di Vertice di Capi di Stato e di Governo), svoltosi a Roma il 29 gennaio 2024. In quell’occasione, Meloni ne ha illustrato gli obiettivi fondamentali, evidenziando soprattutto la natura aperta: non un progetto statico e definitivo, ma una piattaforma in continua evoluzione, plasmata in collaborazione con i Paesi africani. Nel corso dell’anno, il Piano è stato progressivamente ampliato e definito, fino alla sua formalizzazione definitiva avvenuta con un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri il 7 ottobre 2024.
La prima fase di attuazione del Piano, già avviata dal governo italiano, ha riguardato nove Paesi pilota: quattro del Nord Africa e cinque dell’Africa subsahariana. A seguito del decreto di ottobre, a gennaio 2025 sono stati presi in considerazione altri cinque Paesi per una prima espansione (Angola, Ghana, Mauritania, Tanzania e Senegal). Vi sono inoltre altri Stati che potrebbero rientrare nelle strategie di sicurezza energetica del Piano Mattei in Africa, pur non essendo stati ancora inseriti ufficialmente, come il Ruanda.

Pur nascendo da priorità strategiche legate alla sicurezza (economica, energetica e migratoria) il Piano Mattei è stato elaborato anche in coerenza con gli impegni internazionali già sottoscritti dall’Italia in chiave di cooperazione allo sviluppo e collaborazione economica. I settori principali di intervento individuati sono dunque sei: sanità, istruzione e formazione, agricoltura, acqua, energia e infrastrutture – a questi potranno aggiungersi iniziative in ambito culturale e sportivo. La gestione diretta dei flussi migratori non rientra direttamente tra i pilastri del Piano, in quanto l’approccio adottato punta a intervenire sulle cause strutturali della migrazione, creando opportunità di sviluppo nei Paesi di origine. La sua gestione inoltre è già affrontata dal Processo di Roma, avviato nel luglio 2023 per definire accordi e finanziamenti destinati a contenerli. Nel 2024, sotto la presidenza italiana, il G7 ha posto un forte accento su Mediterraneo e Africa. In particolare, la ministeriale di Capri ha riconosciuto sia il Processo di Roma sia il Piano Mattei come elementi centrali della strategia migratoria, evidenziando la necessità di contrastare i trafficanti e promuovere al contempo lo sviluppo economico.
Leggi anche: Il G7 italiano e la via dello sviluppo in Africa: materie prime, filiere industriali e cultura
Il governo italiano ha stabilito che il Piano ha una durata di quattro anni, con possibilità di rinnovo. È stata istituita una Struttura di missione, per assistere il governo nell’attuazione del Piano, e una Cabina di regia, per gestire le sue varie attività. In particolare, quest’ultima, convocata tre volte nel 2024, è presieduta dalla premier stessa (il vicepresidente è il ministro degli Esteri, oggi Antonio Tajani), ed è composta da rappresentanti delle istituzioni, delle imprese e delle organizzazioni della società civile. Inoltre, è previsto che il governo trasmetta alle Camere una relazione annuale sullo stato di attuazione del Piano Mattei entro il 30 giugno di ciascun anno. La relazione al Parlamento è approvata proprio dalla Cabina di Regia e deve indicare lo stato di avanzamento del Piano e contenere le possibili misure volte a migliorare l’attuazione del medesimo e ad accrescere l’efficacia dei relativi interventi rispetto agli obiettivi prefissati.
Vi sono alcune difficoltà interpretative riguardo al conteggio effettivo delle iniziative, a causa dell’incertezza nel distinguere tra progetti autonomi o parti di interventi più ampi, e nella categorizzazione degli stessi. Per questo motivo, è al momento necessaria un’analisi di tipo qualitativo, piuttosto che quantitativo. I progetti pilota si presentano eterogenei per dimensioni e finalità. In generale, si nota che gli interventi nei Paesi del Nord Africa si contraddistinguono per una maggiore ambizione, con opere infrastrutturali di rilievo come il Centro panafricano per le energie rinnovabili in Marocco o il collegamento elettrico ELMED tra Italia e Tunisia. Diversamente, in Africa subsahariana il Piano tende a rispondere a esigenze più immediate o comunque essenziali, focalizzandosi su ambiti come l’istruzione di base, l’assistenza sanitaria, i servizi agricoli e la formazione professionale.

L’applicazione del piano e le questioni aperte
Pur essendo prematuro valutare concretamente il successo del Piano Mattei, è opportuno fin da ora interrogarsi sulla coerenza dei progetti pilota rispetto agli obiettivi generali e sulla loro reale capacità di raggiungerli.
Il Piano Mattei presenta infatti alcune debolezze, in particolare la mancanza di risorse economiche adeguate ai progetti avviati o impostati. Attualmente, il governo italiano ha messo a disposizione circa 5,5 miliardi di euro, tra crediti, operazioni a dono e garanzie, di cui circa 3 miliardi dal Fondo Italiano per il clima e 2,5 miliardi dei fondi della Cooperazione allo sviluppo.
È evidente che uno stanziamento di 5,5 miliardi di euro, distribuiti su sei settori di intervento e su un minimo di nove Paesi pilota, non può ritenersi sufficiente per affrontare in maniera efficace le ambiziose sfide che il “Piano Mattei per l’Africa” si propone. Consapevole ne è comunque il governo, che infatti, come emerge dal documento ufficiale redatto dalla Presidenza del Consiglio, ha previsto ulteriori strumenti di supporto finanziario. Tuttavia, questi vengono citati in termini generici, senza fornire dettagli concreti sull’entità delle risorse, sulla loro provenienza né sulle modalità di erogazione. Tale vaghezza solleva dubbi sulla reale portata dell’impegno e sulla capacità di tradurre le intenzioni dichiarate in azioni efficaci e coordinate.
Leggi anche: La crisi climatica: una crisi umanitaria che pesa sull’Africa sub-sahariana
In particolare, il documento fa riferimento alla possibilità di fare affidamento su diverse fonti di finanziamento. Dalle risorse dell’Aiuto Pubblico allo Sviluppo destinate all’Africa, al sostegno delle Istituzioni Finanziarie Internazionali e delle Banche Multilaterali di Sviluppo. Dalla partecipazione finanziaria di altri Stati donatori (tra cui membri dell’UE, alcuni Paesi del Golfo – come gli Emirati Arabi Uniti, Stati del G7 o del G20), fino all’utilizzo di fondi pubblici nazionali già attivi o in via di costituzione, destinati al supporto di iniziative nel continente africano, anche attraverso partenariati pubblico-privati. Si cita inoltre la possibilità di accedere a programmi finanziati nell’ambito del Global Gateway Africa-Europe dell’Unione Europea e di altre iniziative europee come il Connecting Europe Facility e Horizon Europe, oltre che a programmi di cooperazione tripartita con Unione Africana e Nazioni Unite.
Cooperazione allargata
Alcuni attori istituzionali, come la Banca centrale egiziana, la Banca Mondiale e il programma europeo Connecting Europe Facility, hanno già assunto impegni concreti, segnando i primi passi verso l’attuazione del Piano Mattei. Anche a livello del G7 sono già stati attivati dei canali per il sostegno finanziario di alcuni progetti. È infatti in corso una collaborazione con la Partnership for Global Infrastructure and Investment (PGII), iniziativa promossa dal G7 sotto presidenza italiana nel 2024, volta a favorire lo sviluppo economico delle regioni più fragili, in particolare in Africa, Asia e America Latina. In questo quadro, anche gli Stati Uniti hanno stanziato fondi per progetti specifici.
In quest’ottica si inserisce la recente visita a Roma, il 25 marzo, del Commissario europeo per i Partenariati internazionali, Josef Síkela, che ha posto le basi per una più concreta collaborazione tra il Piano Mattei e il Global Gateway.
Quest’ultimo, lanciato dalla Commissione Europea nel dicembre 2021, mira a mobilitare investimenti pubblici e privati nel campo delle infrastrutture e presenta priorità in sinergia con il modello di cooperazione italiano: transizione energetica e digitale, crescita economica sostenibile, rafforzamento dei sistemi sanitari e promozione dell’istruzione. Considerato la risposta europea alla “Via della Seta” cinese, il Global Gateway si distingue dai modelli promossi da altri attori globali (come la Cina con l’ambiziosa Belt&Road, e la Russia con i vari interventi paramilitari o economici) per la sua attenzione alla sostenibilità, al multilateralismo e al rispetto dei diritti umani.
Dopo la visita a Roma, il 27 marzo si è tenuto l’evento “Il Piano Mattei per l’Africa e la Strategia Global Gateway dell’Unione Europea: uno sforzo comune con il continente africano”, organizzato dall’Italia in collaborazione con l’UE. Vi hanno partecipato oltre 400 rappresentanti istituzionali – funzionari del governo italiano, dell’UE, di Paesi africani e degli Stati Uniti, oltre a leader del settore privato e di organizzazioni internazionali – evidenziando come gli approcci “Sistema Italia” e “Team Europe” possano offrire soluzioni di alto livello e costruire partenariati di lungo periodo con le nazioni africane.
L’accesso ai fondi europei è un aspetto cruciale per il successo del Piano, dal momento che il Global Gateway prevede un pacchetto complessivo di circa 300 miliardi di euro, di cui metà destinata al continente africano. Rappresenta un elemento cruciale anche se, ad oggi, il dialogo si è limitato a un primo incontro esplorativo: un segnale di apertura, certo, ma ancora privo di impegni operativi vincolanti. Questa situazione alimenta aspettative, ma anche dubbi sulla reale capacità del Piano di produrre effetti tangibili. I Paesi africani, infatti, hanno già assistito a numerose iniziative ambiziose – soprattutto da parte dei Paesi occidentali – che si sono arenate poco dopo il lancio o non sono mai state attuate. Non a caso, il Presidente della Commissione dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, ha dichiarato sempre durante la giornata del 29 gennaio scorso: «Desidero insistere qui sulla necessità di passare dalle parole ai fatti: capirete bene che non ci possiamo più accontentare di semplici promesse che spesso non sono mantenute».
Sarà in effetti indispensabile comprendere a fondo il contesto locale per strutturare interventi efficaci che siano in grado di coinvolgere attivamente partner del business e delle società civili africane. Anche perché l’Italia non è l’unico Paese europeo a guardare con interesse crescente all’Africa. Francia, Germania e Spagna, ad esempio, hanno già avviato iniziative di rilievo sul continente, con un approccio strategico che spazia dalla cooperazione culturale allo sviluppo delle infrastrutture, passando per la transizione energetica e digitale. Tale concorrenza interna all’Unione Europea rende indispensabile per l’Italia mettere in campo un progetto più solido o (più auspicabilmente) che Bruxelles riuscire a far convergere sotto l’ombrello europeo le singole strategie dei suoi Paesi Membri, per promuovere un solido progetto comunitario di cooperazione con il continente africano.
Comunque, un elemento che emerge con una certa chiarezza dal Piano Mattei è l’intento di rinnovare la posizione di Roma nelle dinamiche economiche e politiche del Mediterraneo – considerandone giustamente l’Africa come sua naturale estensione “verticale”. Questa strategia si inserisce in una più ampia visione strategica, stimolata da una parallela diplomazia energetica delle interconnessioni energetiche, di rendersi un vero e proprio hub per l’approvvigionamento energetico tra l’Africa e l’Unione Europea. Non è un caso che tra i maggiori progetti già finanziati e previsti dal Piano Mattei ve ne siano numerosi in ambito energetico.
L’atteggiamento dell’esecutivo guidato da Giorgia Meloni pare quindi includere l’energia nell’ottica della sicurezza nazionale, non potendo realisticamente affrontare da solo le cause strutturali e le dinamiche di lungo periodo. Il Piano Mattei in qualche modo ne prende atto, prevedendo di attuare progetti già avviati e solo in un secondo tempo di analizzare complessivamente il contesto africano.
Si potrebbe appunto sollevare il dubbio che l’allargamento dei settori di intervento del Piano Mattei ad altre materie – quali istruzione, formazione – risponda più ad una volontà di accedere ai consistenti fondi messi a disposizione dalle varie organizzazioni internazionali. In questo senso, l’Africa, “terra del futuro”, appare non solo come un continente ricco di opportunità, ma anche come uno spazio strategico in cui le sfide geopolitiche attuali (quelle sentite come tali dal bacino elettorale) possono attirare gli ingenti investimenti già stanziati a livello internazionale. Può rivelarsi un limite, ma certo è un approccio comprensibile nell’ottica di una difficile costruzione del consenso per un’iniziativa di politica estera comunque piuttosto innovativa.
Tuttavia, è fondamentale non perdere di vista le sfide interne che il continente africano sta affrontando, le quali rischiano di compromettere la stabilità e la riuscita di qualsiasi progetto di cooperazione esterna. Le crisi in corso, come quella in corso che coinvolge soprattutto la Repubblica Democratica del Congo (DRC) e il Ruanda, rappresentano non solo tensioni regionali irrisolte, ma anche il riflesso di dinamiche storiche complesse, radicate in questioni etniche, territoriali ed economiche.
Questo scenario ci richiama con forza al presente, ricordandoci che qualsiasi visione strategica dell’Africa non può prescindere da una comprensione approfondita delle sue criticità politiche e sociali.