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Il pericolo della trappola tecnologica per l’Europa: strategie di “reskilling” e “upskilling”

Ripensare la Strategia di Sicurezza Economica Europea: un approccio bottom-up

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*Questo articolo è il secondo contributo di una serie, parte di un progetto di ricerca e analisi su nuove tecnologie e sicurezza economica europea che Aspen sviluppa assieme al Politecnico di Torino, allo Studio Bonelli Eredi e alla LUISS. Il progetto è supportato dalla Compagnia di San Paolo.

 

Il primo contributo: Ripensare la strategia di sicurezza economica europea: un dibattito necessario – di Alessandro Aresu

 

Paesi e imprese operano oggi in un contesto segnato da shock esterni sempre più frequenti, che si intrecciano generando effetti difficili da anticipare e da governar. Sebbene di shock si parli spesso, in questo articolo osserviamo il loro impatto su dinamiche molto concrete: la traiettoria dello sviluppo europeo e i margini di competitività a nostra disposizione.

Quando nel 2008 si parlava di crisi economica, molti ricorderanno la definizione di “cigno nero”, largamente utilizzata seguendo il quadro concettuale proposto da Nassim Taleb. Oggi eventi di quella portata non sono più eccezioni, ma elementi ricorrenti del funzionamento dei mercati. Le trasformazioni climatiche, i cambiamenti tecnologici, le dinamiche demografiche e le tensioni geopolitiche si amplificano a vicenda, aumentando la complessità del contesto competitivo.

 

L’Europa nella Middle Technology Trap

Affrontare queste trasformazioni richiede sistemi economici capaci di generare innovazione, oggi decisiva per produttività e crescita. Tuttavia, in Europa questa capacità resta in larga parte incrementale: gli investimenti si concentrano su settori consolidati, mentre ambiti emergenti come l’intelligenza artificiale avanzano più lentamente rispetto ad altre economie.

La distribuzione della spesa privata in R&S ne offre un esempio: negli Stati Uniti l’84,48% degli investimenti si concentra in settori high-tech, mentre nell’UE prevalgono industrie mid-tech come l’automotive (European Commission, 2025). Ciò alimenta il rischio di scivolare nella “middle technology trap”, dove ricerca e sviluppo sostengono comparti maturi anziché favorire tecnologie di frontiera.

Questa traiettoria ha già prodotto un divario significativo con gli Stati Uniti, che da due decenni registrano aumenti di produttività più marcati, sostenuti dalla capacità di sviluppare e scalare innovazioni avanzate. Il rischio europeo riguarda dunque la struttura industriale, ma anche la disponibilità di competenze e il controllo sulle traiettorie tecnologiche (Zheng, 2024).

Per comprendere come affrontare questa vulnerabilità, occorre analizzare le trasformazioni che stanno ridefinendo il lavoro: la doppia transizione digitale ed ecologica, l’impatto dell’intelligenza artificiale sulla produttività e l’emergere di profili ad alta intensità cognitiva. Su queste basi si sviluppa il presente contributo, che considera il reskilling e l’upskilling come leve decisive per rafforzare la sicurezza economica europea e per evitare che il continente rimanga intrappolato in un percorso di stagnazione tecnologica.

 

Lo scenario: Le transizioni gemelle come contesto acceleratore di skill mismatch

Cosa significa, in pratica, per un’impresa europea trovarsi nel mezzo di una doppia transizione? La doppia transizione digitale ed ecologica, un’evoluzione congiunta in cui il digitale sostiene la sostenibilità e le priorità ambientali ridefiniscono sviluppo e impatti delle tecnologie (Rehman et al., 2023), impone una trasformazione concreta dei modelli competitivi europei. Le imprese si trovano a ripensare processi produttivi, catene del valore e modelli di business in chiave verde e data-driven: dall’energy all’IT, dall’agrifood alla mobilità, l’introduzione di tecnologie digitali e soluzioni a basse emissioni richiede nuove combinazioni di competenze tecniche, gestionali e relazionali (Osservatorio Look4ward, 2024).

Il divario tra avanzamento tecnologico e disponibilità di competenze adeguate rende le transizioni gemelle un potente acceleratore di skill mismatch. La domanda di profili in grado di integrare competenze digitali, capacità di lettura dei dati, conoscenze ambientali e abilità di coordinamento cresce, infatti, molto più rapidamente rispetto all’offerta formativa e alle traiettorie di sviluppo del capitale umano.

Ne derivano squilibri evidenti, tra cui settori strategici che faticano a reperire figure qualificate, imprese che adottano tecnologie senza disporre pienamente delle skill per sfruttarle, lavoratori che rischiano di rimanere ancorati a ruoli a più basso contenuto cognitivo (Doner & Schneider, 2020).

Questa dinamica non è neutrale rispetto alla middle technology trap. Se la struttura delle competenze non accompagna l’adozione delle tecnologie di frontiera, le transizioni gemelle rischiano di consolidare un modello produttivo in cui l’Europa utilizza soluzioni sviluppate altrove senza rafforzare le proprie capacità di generarle, adattarle e scalarle. Le transizioni, in altre parole, possono diventare un moltiplicatore di vulnerabilità industriale oppure, se sostenute da strategie di reskilling e upskilling, una leva per superare e risolvere la middle technology trap.

 

L’AI: frontiera del lavoro aumentato

Che cosa succede al lavoro quando l’intelligenza artificiale smette di essere un tema astratto e diventa uno strumento quotidiano? La trasformazione riguarda non solo i profili richiesti dai settori strategici, ma la natura stessa del lavoro e i modi attraverso cui le persone creano valore nelle organizzazioni (Trevisan et al., 2024). L’AI generativa accelera questa evoluzione, ridefinendo attività e processi e introducendo nuove forme di collaborazione tra capacità umane e computazionali (Bartoli et al., 2025).

Questa dinamica va oltre l’automazione: l’intelligenza artificiale riorganizza le catene del valore cognitivo, dalla produzione di analisi al decision-making fino alla creatività, trasformandoli in processi ibridi in cui l’interazione tra persone e sistemi intelligenti diventa il fulcro della produttività (Look4ward, 2025; James, 2025). Di conseguenza, l’AI-literacy emerge come competenza trasversale che integra alfabetizzazione digitale, interpretazione critica dei dati, uso consapevole degli strumenti e capacità di cooperare con sistemi algoritmici (Stolpe & Hallström, 2024).

L’impatto atteso è rilevante: il World Economic Forum stima che oltre il 75% delle imprese adotterà soluzioni di intelligenza artificiale nei prossimi cinque anni e che il 44% delle competenze richieste subirà una trasformazione profonda (WEF, 2023). L’AI diventa quindi una skill di base per lavoratori e imprese, a prescindere dal settore.

Le implicazioni per la sicurezza economica europea sono significative. La middle technology trap non riguarda soltanto la capacità industriale, ma anche il salto cognitivo necessario per presidiare le tecnologie di frontiera: AI literacy, decision-making aumentato, creatività supportata da tecnologia. In assenza di un potenziamento diffuso di queste competenze, l’Europa rischia di utilizzare soluzioni sviluppate altrove senza contribuire alla loro evoluzione, con ricadute su produttività e competitività.

Le imprese sembrano consapevoli di questo scenario: oltre l’80% dichiara di voler investire in formazione legata all’AI nei prossimi anni (Look4ward, 2025). L’apprendimento continuo diventa quindi parte integrante delle politiche industriali, perché la diffusione di competenze legate all’intelligenza artificiale rappresenta una delle leve principali per evitare che il divario tecnologico si trasformi in divario economico. L’AI assume così il ruolo di fattore abilitante per un modello di lavoro in cui la tecnologia amplifica le capacità delle persone.

Il reskilling come leva di sicurezza economica: costruire capitale umano per la competitività tecnologica

Se c’è un terreno in cui si misura davvero la capacità di uscire dalla middle technology trap, è quello delle competenze. L’evoluzione dei modelli produttivi accelerata dall’intelligenza artificiale e dalle transizioni gemelle mette, infatti, in evidenza la necessità di sviluppare nuove combinazioni di competenze in grado di sostenere la competitività tecnologica europea.

I trend più recenti mostrano una crescita della domanda di profili ad alta intensità cognitiva in quattro aree emergenti: green jobs orientati alla sostenibilità e all’efficienza energetica, ruoli nei servizi educativi e nei sistemi di cura, professioni connesse alla salute e al benessere e il cluster B.E.S.T. (Business, Engineering, Science & Technology), che rappresenta la struttura portante delle economie innovative. In questa prospettiva, l’Italia dovrà creare oltre due milioni di nuovi posti di lavoro ad alta specializzazione entro il 2030, con un fabbisogno crescente di competenze ibride che integrano capacità tecniche, pensiero critico, gestione dei dati, adattabilità e collaborazione con sistemi intelligenti (Intesa Sanpaolo & Accenture, 2024).

Le competenze human-centered assumono dunque un ruolo determinante per la tenuta economica e per la capacità dei sistemi produttivi di generare valore. In un contesto caratterizzato da dipendenze tecnologiche e da una crescente concentrazione della capacità innovativa a livello globale, il capitale umano diventa leva di autonomia industriale e di attrazione degli investimenti, contrastando il rischio di de-industrializzazione e la progressiva riduzione del valore aggiunto tecnologico (Štaffenová, 2024). Il reskilling e l’upskilling acquisiscono dunque una funzione strategica in quanto operano come infrastrutture di sicurezza economica e come componenti essenziali di una politica industriale orientata allo sviluppo e alla diffusione delle tecnologie di frontiera (Li, 2024).

Rafforzare la competitività europea implica lo sviluppo di una capacità strutturale di riconoscere e potenziare le competenze che abilitano le filiere tecnologiche strategiche — dai semiconduttori all’intelligenza artificiale, dalla difesa alle telecomunicazioni fino alla mobilità avanzata. Ciò richiede sistemi di formazione continua sostenuti da collaborazioni tra imprese, attori pubblici e organismi della conoscenza, in grado di connettere l’evoluzione dei profili professionali con i bisogni dell’innovazione.

Un approccio di questo tipo consentirebbe di consolidare una base di competenze in linea con le tecnologie più avanzate, riducendo il rischio di scivolare nella middle technology trap e sostenendo un modello di crescita orientato alla generazione di valore cognitivo, allo sviluppo di innovazione e alla capacità di competere sulle frontiere tecnologiche.

Costruire un approccio bottom-up alla formazione

Proviamo adesso a spostare lo sguardo dal “che cosa sta accadendo” al “che cosa possiamo fare”. Per tradurre in un approccio più pragmatico le dinamiche evidenziate, questa sezione presenta alcuni orientamenti operativi che potrebbero contribuire a rafforzare le competenze nei settori strategici e sostenere la competitività tecnologica europea, formulati alla luce dei dati e delle evidenze discusse nei paragrafi precedenti e finalizzati a integrare imprese, sistemi formativi e attori istituzionali in una logica coerente con le trasformazioni in corso.

Si possono identificare quattro possibili direttrici di intervento per il reskilling e l’upskilling:

  • Co-progettazione dei curricula formativi con le imprese: Promuovere modelli di sviluppo delle competenze basati sul competency modeling, che valorizzino il contributo diretto delle organizzazioni nella definizione dei profili professionali necessari alle filiere tecnologiche più esposte all’innovazione.
  • Meccanismi di incentivo per l’upskilling nelle PMI e nei settori tradizionali: Sostenere programmi che favoriscano l’accesso alla formazione avanzata anche per le realtà produttive meno strutturate, con particolare attenzione a quelle coinvolte in processi di transizione digitale ed ecologica.
  • Adattamento contestuale di esperienze internazionali: Esplorare la trasferibilità di elementi presenti in politiche come il Chips & Science Act europeo o l’Inflation Reduction Act statunitense (amministrazione Biden), con l’obiettivo di identificare strumenti utili a rafforzare capacità produttive e competenze tecnico-scientifiche in Europa.
  • Modelli ecosistemici di apprendimento continuo: Favorire la collaborazione tra imprese, università, centri di ricerca e istituzioni, sostenendo percorsi di formazione lungo tutto il ciclo di vita professionale e capaci di rispondere ai rapidi mutamenti dei fabbisogni di skill.

Passando dalle competenze alla politica industriale, si possono identificare tre leve principali per evitare la middle technology trap:

Per affrontare in modo strutturale il rischio di una middle technology trap, è inoltre utile affiancare alle iniziative formative mirate ad agire su reskilling e upskilling alcune direttrici di politica industriale capaci di sostenere la generazione di tecnologie di frontiera e di ancorare nel territorio le filiere più strategiche.

  • Orientare gli investimenti verso tecnologie avanzate: Definire priorità chiare per settori come semiconduttori, AI, quantum, robotica avanzata e bio-engineering, sostenendo cluster industriali che possano ridurre la dipendenza da tecnologie mature e da importazioni extra-UE.
  • Rafforzare la capacità produttiva nelle tecnologie critiche: Promuovere programmi di reindustrializzazione mirati, fondati su partenariati pubblico-privati, per scalare tecnologie ad alto valore aggiunto e trattenere conoscenza nelle filiere europee.
  • Favorire la mobilità del capitale umano verso i settori high-tech: Infine, sviluppare strumenti che facilitino la transizione professionale verso ruoli ad alta intensità cognitiva — voucher formativi, crediti di apprendimento, percorsi brevi professionalizzanti — evitando che il mismatch alimenti dipendenze tecnologiche esterne.

 

L’Europa delle competenze strategiche

Le trasformazioni che attraversano l’economia europea — dagli shock globali alle transizioni gemelle, fino alla diffusione dell’intelligenza artificiale — stanno riconfigurando il lavoro, i fabbisogni professionali e le condizioni della competitività tecnologica. L’analisi ha mostrato che il valore si concentra sempre di più in attività ad alta intensità cognitiva, in cui l’integrazione tra capacità umane e tecnologie avanzate diventa elemento determinante per innovazione e produttività. In questo quadro, il rischio di una middle technology trap non riguarda soltanto la dimensione industriale, ma anche la capacità dei sistemi formativi e delle imprese di sviluppare le competenze necessarie per presidiare le tecnologie di frontiera. Il rafforzamento del capitale umano attraverso reskilling e upskilling emerge quindi come leva per sostenere autonomia tecnologica, presidio delle filiere strategiche e capacità di creare valore nel lungo periodo.

Alla luce di quanto discusso, il futuro competitivo dell’Europa dipenderà dalla capacità di sviluppare le competenze che rendono possibile innovare, così da scongiurare una middle technology trap e sostenere un’economia fondata sul valore cognitivo e sulla produzione tecnologica avanzata.

 

 


Riferimenti

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