Il Golem tecnologico israeliano e il fattore umano
Il Golem era di argilla. Il gigante mitico che deve difendere il popolo ebraico dai suoi persecutori è stato lasciato solo, con i suoi apparati e i suoi sistemi d’arma, in attesa della scintilla dell’intelligenza artificiale che ancora non si è accesa.
L’attacco terroristico di Hamas del 7 ottobre ha sgretolato il senso di sicurezza di Israele e la convinzione che il Golem della supremazia tecnologica fosse un vantaggio strategico di per sé sufficiente. Dopo essere stata catalogata per anni come “affare corrente”, per i cittadini israeliani la guerra è ritornata ad essere il regno dell’incertezza. Il senso di superiorità delle agenzie di sicurezza e delle Israel Defense Forces (IDF), considerate tra le più efficienti e avanzate del mondo, ha contribuito notevolmente a sottovalutare le capacità di un attacco sofisticato e letale sferrato da parte della milizia palestinese. È stata la conferma di quanto teorizzava il feldmaresciallo Helmuth von Moltke, Capo di Stato Maggiore dell’esercito prussiano e artefice delle campagne che portarono all’unificazione tedesca nel 1871: “nessun piano sopravvive al contatto con il nemico”.
Così, la superiorità tecnologica di Israele non è sopravvissuta all’attacco asimmetrico di Hamas. Un’asimmetria, quella tra aggressori e aggrediti, sconcertante. Hamas è una milizia stimata tra i 20mila e i 40mila effettivi, finanziata (secondo il Dipartimento di Stato USA) dall’Iran con 100 milioni di dollari all’anno più altri fondi provenienti dai Paesi del Golfo, Qatar compreso. Israele ha un esercito di 360mila riservisti con un budget di circa 26 miliardi di dollari – al quindicesimo posto al mondo ma al secondo per spesa pro capite con 2.509 dollari e al settimo per percentuale sul PIL con il 5,09% [1]; inoltre Tel Aviv beneficia di una sovvenzione ordinaria USA di 3,8 miliardi l’anno, al netto dei 14 miliardi straordinari chiesti dal Presidente Biden al Congresso. Dal punto di vista tecnologico, Israele vanta il secondo ecosistema più grande al di fuori della Silicon Valley. Le sue industrie ad alta tecnologia sono state il settore in più rapida crescita e fondamentale per lo sviluppo economico, rappresentando il 14% dei posti di lavoro e quasi un quinto del prodotto interno lordo. Non a caso Israele è stata sopranominata in un libro di successo “the Start-up Nation”.
Al di là delle responsabilità politiche e degli alti comandi di cui si è scritto molto e molto si scriverà – considerato che ci sono delle inchieste in corso – è possibile parlare del 7 ottobre come di un fallimento delle sofisticate tecnologie a disposizione di Israele? “Da un punto di vista ingegneristico tutti i sistemi hanno un punto di saturazione”, risponde Fabio Sterle, Direttore dei sistemi radar a Leonardo, che spiega che il concetto vale sia per Iron Dome, il sistema antimissile israeliano, “stabile ed efficiente”, sia per il cosiddetto “smart wall”, la barriera ad alto contenuto di tecnologia lungo i confini di Gaza. Un altro problema è la capacità dei nuovi algoritmi delle reti di sensori radar che non hanno riconosciuto i mezzi asimmetrici con cui è stato perpetrato l’attacco. Dal punto di vista tecnico questa è stata una criticità, “questi oggetti erano immersi nel clutter”, spiega Alfonso Farina, Chair del TechDefense 2023, uno dei padri della radaristica avanzata, autore di libri pubblicati in USA, Russia, Gran Bretagna e Cina. Con il termine clutter si indicano tutti gli echi indesiderati ricevuti da un radar, di solito costituiti dalla riflessione dell’energia elettromagnetica sugli elementi dell’ambiente che circondano il bersaglio, sia naturali, sia artificiali. Il clutter è un disturbo – si aggiunge al rumore termico ed al jamming, l’interferenza intenzionale generata da forze ostili – che si sovrappone all’eco del bersaglio che il radar deve rivelare. “L’attacco per lo più è venuto da terra – aggiunge Farina – e oggi la rilevazione degli oggetti terrestri è uno dei problemi più sfidanti per i sensori radar”.
La ricerca della superiorità tecnologica di Tzahal – l’esercito israeliano – potrebbe, insieme ad altre cause, aver compromesso la sua visione e capacità tattica. Secondo alcuni analisti[2] era già accaduto nella guerra in Libano del 2006, quando un eccessivo affidamento sulla tecnologia e sulla superiorità aerea insieme al limitato utilizzo dei mezzi di combattimento tradizionali aveva portato all’erosione degli standard di efficienza al progressivo spostamento dell’obiettivo militare dalla conquista al controllo del territorio – sul modello dei territori occupati in Cisgiordania. Questi fattori, insieme alla priorità attribuita alla vittoria militare rispetto a una visione globale di tutti gli obiettivi, avevano influenzato negativamente le performance dell’IDF. Come scrive Foreign Policy il feticismo della tecnologia militare israeliana è una strategia fallimentare che crea un’illusione di sicurezza e una scusa per evitare scelte difficili[3].
La riprova sta nel fatto che malgrado la striscia di Gaza sia uno dei luoghi più sorvegliati al mondo, dagli accordi di Oslo del 1993 fino al 7 ottobre sono stati uccisi in attacchi terroristici 1.334 civili israeliani. Il problema è che i dati per essere veramente utili devono consegnare informazioni, che devono essere analizzate e poi valutate da un punto di vista militare e politico. Su questo punto il corrispondente militare da Tel Aviv del New York Times, Ronen Bergman, ha scritto che i servizi israeliani il 6 luglio di quest’anno, quindi tre mesi prima dell’attacco, avevano rilevato un’esercitazione militare diversa dal solito condotta da Hamas nel centro di Gaza City: l’addestramento sostanzialmente simulava un’invasione. Inoltre i servizi già nel 2022 avevano ottenuto una sorta di manuale (denominato “Jericho Wall”) di un’operazione di invasione da parte di Hamas. L’insieme di queste informazioni avrebbe dovuto far scattare l’allarme – cosa che non è avvenuta.
Al netto della veridicità totale o parziale di questa storia, è interessante notare che il livello della tecnologia disponibile in Israele è tale da avere una capacità di penetrazione nel territorio interessato elevata, e con diversi strumenti, come sensori elettrottici e sensori radar SAR in grado di cogliere tutto quello che avviene nella striscia di Gaza, in superficie e non solo. “Gli israeliani in ogni caso dispongono di radar SAR , sistemi radar ad apertura sintetica che permettono di raggiungere risoluzioni dell’ordine dei centimetri in qualsiasi condizione meteorologica nonché la classificazione degli oggetti presenti nella scena ”, dice Danilo Orlando, Associate Editor at IEEE Aerospace & Electronic Systems Society. “I sistemi SAR possono essere utilizzati sia su satelliti che su droni in maniera per imaging bi- e tridimensionale mediante interferometria”, aggiunge Orlando spiegando che nel caso di satelliti SAR attraverso l’effetto micro-doppler è possibile anche individuare sotto terra degli ambienti scavati, dei tunnel sotterranei come quelli di Hamas.
Leggi anche: Il conflitto ibrido tra Israele e Hamas: potenza e limiti della dimensione cyber
C’è uno studio[4] molto interessante condotto da alcuni ricercatori – tra cui lo stesso Danilo Orlando – che mostra come sia stato possibile tracciare delle mappe delle deformazioni della Terra dovute a dei test nucleari nordcoreani di Punggye-ri, rivelando l’esatta posizione del luogo dell’esplosione nucleare avvenuta nel 2017 e la rete sotterranea di tunnel che deriva dal campo di spostamento generato. Le immagini sono un’elaborazione di una serie temporale di dati dalla costellazione di satelliti COSMO-SkyMed, il sistema radar SAR duale italiano di osservazione della Terra. È bene ricordare che sulla base dei dati di COSMO-SkyMed è stato firmato l’accordo tra l’italiana e-GEOS, leader a livello mondiale nella geoinformazione (partecipata di Leonardo e dell’Agenzia Spaziale Italiana) e l’israeliana ISI, (ImageSat International), società israeliana leader nelle soluzioni di intelligence basate su tecnologie spaziali. L’idea è quella di un’alleanza strategica per creare la costellazione di satelliti per l’osservazione della Terra più avanzata al mondo.
Tra le altre contromisure tecnologiche contro i tunnel di Hamas, gli esperti israeliani si aspettano molto dai Ground Penetrating Radar (GPR) che possono vedere nel terreno. Sono stati utilizzati dalla superficie (bisogna avere quindi il controllo del territorio circostante) per cercare i tunnel di contrabbando sotto il confine tra Stati Uniti e Messico. Una tecnologia simile viene installata anche in buchi profondi nel terreno per cercare tunnel di attacco sotto la zona demilitarizzata tra le due Coree. Secondo alcuni esperti il radar GPR coreano potrebbe essere installato lungo il confine di Gaza per creare una barriera di rilevamento permanente, abbastanza profonda da individuare qualsiasi tunnel scavato dai militanti palestinesi.
Uno dei campi di maggior applicazione dell’intelligenza artificiale sono le minacce alla sicurezza e Israele è all’avanguardia in questo campo. L’IA dovrebbe garantire una serie di vantaggi, tra cui l’analisi di grandi quantità di dati (intelligence, immagini satellitari, sorveglianza elettronica e sensori) per identificare pattern e anomalie e fornire rapidamente informazioni critiche ai responsabili; oppure la gestione di sistemi di difesa aerea avanzati per analizzare i dati radar in tempo reale e identificare e inseguire le minacce.
Leggi anche: Israele, Hamas e un possibile nuovo equilibrio della deterrenza
Il 7 ottobre molte di queste promesse non sono state mantenute, e il motivo è da ricercare nel fatto che ad oggi l’applicazione efficiente dell’IA avviene su scenari più ridotti di un campo di battaglia. In ogni caso, l’asimmetria tra Israele e Hamas non ha impedito all’organizzazione terroristica di usare, con ovvie limitazioni di budget e competenze, la tecnologia dei droni. Così è stato fatto per neutralizzare alcune postazioni di mitragliatrice automatizzate lungo il muro, ottenendo un vantaggio decisivo, considerata la scarsità di truppe israeliane nei siti.
L’uso dei droni da parte del gruppo terrorista nell’attacco di ottobre è stato un fattore determinante del suo successo, a dimostrazione della capacità e della resilienza delle forze armate che utilizzano tecnologie relativamente poco costose. Laura Antinori, Program manager per le tecnologie radar della TNO, l’ente olandese che si occupa di ricerca applicata con molte competenze nella difesa, sottolinea che in quell’attacco il “vero asset di Hamas è stata la sorpresa”. Ossia, il fattore umano. Un motivo in più per coltivare – a fianco alla necessaria supremazia tecnologica – il caro e vecchio pensiero non convenzionale.
Note:
[1] SIPRI Military Expenditure Database
[2] Avi Kober: The Israel defense forces in the Second Lebanon War: Why the poor performance?
[3] https://foreignpolicy.com/2023/10/26/israel-hamas-gaza-military-idf-technology-surveillance-fence-strategy-ground-war/#cookie_message_anchor
[4]https://ieeexplore.ieee.org/abstract/document/9541513