Il futuro dell’Irlanda e il puzzle della Brexit
Da quando convivono sotto lo stesso tetto europeo, Irlanda del Nord e Repubblica d’Irlanda vivono un periodo di pace e prosperità. Inoltre, la convivenza – garantita dagli accordi di pace del Venerdì santo del 1998 – conferisce a tutti i cittadini del Nord il diritto di definirsi irlandesi, britannici o entrambi. La nazionalità smette di essere un marchio predefinito e divisivo: nell’Ulster si può decidere liberamente che passaporto avere. Ora però, con la Brexit che bussa alle porte e con la concreta possibilità di lasciare la UE senza accordi (no-deal), i cittadini del Nord torneranno all’obbligo di una scelta per il loro futuro: non solo tra l’essere irlandese o britannico, ma anche tra l’essere europeo o meno.
Le paure che questo scenario comporta si raccolgono con facilità viaggiando lungo i 300 km di confine fantasma tra le due Irlande. La maggioranza della popolazione che ha vissuto sulla sua pelle la guerra civile è preoccupata per la tenuta di quella pace che ai più giovani sembra erroneamente scontata. Non è però questa l’unica paura, perché il timore del ritorno di focolai di conflitto si affianca a quello di un revival del terrorismo, evidenziato in ultima istanza dalla morte della giovane giornalista Lyra McKee nella notte dello scorso giovedì santo. Proprio nel Bogside di Derry, sobborgo della città teatro di scontri feroci negli ultimi decenni del XX Secolo, tra cui il celebre Bloody Sunday. La morte della giornalista, causata dal fuoco incrociato tra polizia e giovani attivisti radicali repubblicani, ha dimostrato che l’attrito tra gli “unionisti”, che ancora dipingono i marciapiedi della zona con i colori dell’Union Jack, chiamano la città Londonderry e si sentono britannici, e i repubblicani partigiani dell’accorpamento dell’Ulster all’Irlanda, cova ancora sotto la cenere, pronto a riesplodere.
Gli irlandesi hanno cercato con insistenza di spiegare ai diversi funzionari dell’Unione che in previsione della Brexit hanno visitato la regione del confine (in Irlanda del Nord il “no” alla Brexit ha vinto con il 56% dei voti) che esistono soprattutto tra i giovani persone pronte a mobilitarsi e a usare la violenza per rivendicare la propria causa, da entrambi i lati. Nello specifico, la morte di Lyra McKee ha mostrato il pericoloso potenziale dell’attività di gruppi di giovani repubblicani dissidenti che, pur ispirandosi alla vecchia IRA, non si rassegnano all’idea della consegna delle armi e si dicono pronti a impugnarle per difendere il progetto repubblicano. Per ora, si tratta di cellule isolate e criticate all’interno degli stessi quartieri dove vivono; soggetti che per ora – gli analisti su questo sono concordi – non sono numericamente significativi, ma in caso di un ritorno di una barriera di confine sorvegliata e di un nazionalismo culturale escludente potrebbero diventare più attraenti.
A questo scenario si aggiungono preoccupazioni di carattere socio-economico, che comunque hanno spesso a che fare anche con i diritti di cittadinanza. Soprattutto chi abita nella regione di confine, ma in senso più ampio chi vive in tutto il nord, teme che il ritorno di un confine diventi un fattore di impoverimento: senza un accordo doganale, dazi e controlli potrebbero fermare i flussi di persone (tra cui non pochi turisti) e di merci che ogni giorno si spostano senza problemi tra le due Irlande. Ed è anche per questo che in diverse parti della regione di confine da oltre un anno le camere di commercio locali svolgono incontri e conferenze per preparare tutti a questa temuta eventualità. Ai tanti che partecipano – così tanti che in diversi casi è stato necessario organizzare più eventi – viene non solo spiegato nei dettagli tecnici come ritornare all’epoca delle pratiche doganali, ma viene anche suggerito di trovare mercati alternativi a quello inglese. L’economia irlandese, infatti, di piccola scala dal punto di vista della produzione di merci, oggi ha il suo sbocco principale nel vicino Regno Unito, oltre che negli Stati Uniti.
Ma la chiusura del confine avrebbe conseguenze pesanti anche sull’intero settore sanitario, a partire dall’acquisto delle medicine. Già negli scorsi mesi ci sono state delle piccole crisi, soprattutto a ridosso delle scadenze – poi posticipate – della data ufficiale dell’uscita del Regno Unito dalla UE, quando gli abitanti delle regioni di confine hanno fatto incetta di medicinali, temendo che il ritorno della dogana avrebbe alzato i prezzi e rallentato le forniture. I cittadini del Nord temono poi di perdere molte opzioni di cura: ad esempio i malati di tumore possono attraversare quotidianamente il confine per sottoporsi a terapia in ospedali della Repubblica d’Irlanda. E’ questo uno dei motivi più forti – insieme a quello della comodità della libertà di movimento – che ha spinto molti unionisti filo-britannici del Nord a chiedere invece il rilascio di un passaporto irlandese – e quindi europeo: gli garantirebbe, anche in un futuro post Brexit, di viaggiare liberamente all’interno della zona Schengen.
Gli irlandesi del Nord temono addirittura di rimanere senza copertura sanitaria, qualora l’Ulster uscisse dall’Unione e quindi dal sistema sanitario europeo che garantisce diritto di assistenza sanitaria in tutti i Paesi UE. Per tranquillizzarli, il governo di Dublino ha promesso che si farà carico della loro assistenza sanitaria, ma nei fatti non è stato ancora approvato un programma chiaro.
Inoltre, in caso di Brexit, i cittadini irlandesi residenti nel Nord verrebbero privati del loro diritto di voto in ambito europeo, visto che in territorio britannico non si terrebbero più elezioni europee. Per correggere questa perdita di un diritto fondamentale, chiedono di poter continuare a eleggere quei tre eurodeputati che dovrebbero essere redistribuiti tra gli altri Paesi europei.
Questi tasselli di un puzzle che sembra irrisolvibile spingono i cittadini della regione a ragionare su un piano di riunificazione nazionale (per altro previsto dagli accordi di pace del Venerdì santo). L’abolizione di fatto del confine rendeva questa ipotesi remota, ma l’avanzare dello spettro della Brexit l’ha fatta tornare una possibilità concreta. Per realizzarla servirebbero due referendum, uno a Nord e l’altro a Sud. Nei dintorni di Belfast il fattore demografico potrebbe giocare un peso, visto che i cattolici sono quasi raddoppiati nel segmento più giovane della popolazione, mentre i protestanti sono dimezzati, e il loro numero potrebbe essere stato superato da quello dei cattolici. Essere cattolici non implica di per sé l’intenzione di votare per l’unificazione con la Repubblica d’Irlanda, ma c’è una forte correlazione tra i due aspetti. Il voto di Dublino, invece, potrebbe sembrare scontato, ma così non è: un’Irlanda unita dovrebbe accollarsi i pesanti debiti del Nord.