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Il cyberspazio come terreno di competizione russo-americana – e non solo

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Dietro i ripetuti cyber-attacchi ai danni del Partito democratico che – almeno in qualche misura – stanno condizionando la corsa verso la Casa Bianca, c’è la mano di Mosca. Ad esserne certa è Hillary Clinton – già colpita dalla violazione di un suo server privato. In una recente intervista ha rivolto accuse dirette alla Russia e ai suoi servizi segreti per aver prima sottratto e poi aiutato a rendere pubblici email e dati tratti da server utilizzati da alcuni comitati vicini al Partito.

L’ex segretario di Stato non è la sola ad addebitare queste responsabilità alla Russia. Nonostante le smentite ufficiali di Vladimir Putin, la stragrande maggioranza degli esperti di sicurezza – tanto governativi quanto indipendenti – sembrano concordi sul fatto che sia il Cremlino a manovrare questa inusitata e crescente ondata di offensive informatiche.

Non tutti, però, concordano su quali siano i veri obiettivi del governo russo. Da un lato c’è chi sostiene che l’interesse attivo di Mosca per la campagna elettorale americana sia un palese sostegno al candidato repubblicano Donald Trump. Il miliardario neworchese in questi mesi ha preso posizioni fortemente filo-russe: ha detto senza troppi giri di parole di vedere nello “zar” della Repubblica Federale un valido alleato; di voler fermare le iniziative anti-russe avviate dall’Amministrazione Obama in risposta alla crisi in Crimea e ai disordini in Ucraina; e ha pesantemente criticato il principio di mutua assistenza in caso di conflitto che caratterizza un pilastro dei rapporti transatlantici, la Nato (a sua volta vittima di attenzioni cyber dietro le quali si vede la mano di Mosca).

D’altra parte, però, è sempre più nutrito il fronte di chi considera le mosse russe un tassello di una più ampia e precisa strategia, fatta di visione globale, mantenimento dello status-quo interno e rappresaglie.

Il tema è stato affrontato recentemente da James Clapper, capo della National Intelligence (l’agenzia del governo americano incaricata di coordinare l’integrazione di tutti i servizi di intelligence): in occasione di un forum internazionale sulla sicurezza ad Aspen, Clapper ha messo in guardia su come la nazione guidata da Putin stia interferendo nelle questioni di politica interna di altri Paesi ormai d’abitudine – non solo a Kiev, in Siria e nel vecchio continente, e non solo con tradizionali cyber attacchi, ma anche usando la Rete come mezzo principe per diffondere “disinformatia” e disorientare le opinioni pubbliche nel più classico stile sovietico.

Un’interpretazione interessante di ciò che sta accadendo l’ha poi data recentemente David P. Fidler, esperto del think tank di New York Council on Foreign Relations. A suo parere, l’offensiva informatica lanciata verosimilmente dalla Russia contro il Democratic National Committee potrebbe essere stata una risposta di Mosca alla persistente posizione adottata dagli Stati Uniti – e difesa strenuamente dalla candidata democratica alla presidenza – in favore della libertà della rete.

In sostanza, ci si troverebbe di fronte all’ennesima battaglia nella guerra tra sovranità nel cyberspazio e internet libero. Gli Stati Uniti, evidenzia Fidler, si sono sempre schierati durante l’amministrazione Obama al fianco degli oppositori ai regimi autoritari che impedivano la libera circolazione di idee nel cyberspazio. Paesi come la Russia e la Cina – dove le ong internazionali considerano la censura online una pratica consolidata – hanno invece ripetutamente accusato  Washington di immischiarsi senza averne il diritto nei loro affari interni.

Hillary Clinton, insieme a Barack Obama, ha a più riprese difeso pubblicamente la libertà di internet. In un discorso tenuto nel 2010, ad esempio, la candidata alla Casa Bianca rimarcava che in Rete potevano trovare soddisfazione le “quattro libertà” formulate nel 1941 dal presidente Roosevelt (libertà di parola e di fede, libertà dal bisogno e dalla paura) e sottolineava che, proprio con l’avvento di internet, fosse nata una quinta libertà, quella di essere connessi. Corollario di questa libertà è il divieto per i governi di impedire ai cittadini di connettersi a internet per interagire con i siti web e comunicare tra loro.

In effetti, gli Stati Uniti hanno sempre offerto varie forme di sostegno per far sì che questa libertà non restasse carta straccia. Una tesi sensata è dunque che vari governi autoritari – come quello russo – vedano nelle proprie attività di disturbo nel cyberspazio (quindi sia la censura sia gli attacchi degli “hacker di Stato”) una difesa contro la penetrazione dell’influenza americana, diretta e indiretta – e un messaggio chiaro sulle capacità russe di interferire nelle vicende interne americane.

Come ha rilevato Fidler, ecco perché la mossa della Russia, se fosse appurato il suo coinvolgimento, potrebbe essere interpretata anche come un nuovo capitolo nello scontro tra due concezioni differenti della rete e della libertà popolare.

Gli ultimi episodi, in ogni caso, sono soltanto la punta di un grande iceberg. Già nel 2014 alcuni hacker russi si sarebbero infiltrati in server non classificati della Casa Bianca per ottenere informazioni sulle email scambiate tra il presidente Barack Obama e il suo staff. Secondo quanto riportato allora dal New York Times, gli stessi cyber-criminali si sarebbero introdotti anche nei server del Dipartimento di Stato e, in base a quanto riferito dal segretario della Difesa Ashton Carter,  avrebbero avuto accesso anche ai sistemi del Pentagono.

Finora, però, Obama si è guardato bene dal condannare pubblicamente Mosca almeno per due distinte ragioni. La prima, hanno spiegato ai media d’oltreoceano diversi funzionari governativi, è che farlo metterebbe istantaneamente pressione su Washington, che sarebbe costretta a divulgare le prove in suo possesso, che si basano su fonti e metodi di raccolta altamente classificati.

La seconda attiene invece al metodo che il Obama ha finora utilizzato per placare gli animi degli Stati più attivi in rete. Con la Cina, altro attore cibernetico di primo piano a cui sono stati addebitati nel tempo svariati attacchi informatici e con il quale le tensioni geopolitiche certo non mancano, la Casa Bianca sta ottenendo buoni risultati grazie ad incontri e discussioni bilaterali. Dopo gli impegni assunti da Usa e Cina durante la visita di Stato del presidente Xi Jinping nel settembre del 2015, si è tenuto a maggio scorso a Washington il primo incontro del Senior Experts Group su “International Norms and Related Issues”: è un nucleo composto da rappresentanti militari e del governo di entrambi i Paesi che si riunirà due volte l’anno per discutere di norme e approcci. Il percorso di avvicinamento ha anche portato alla conclusione di un accordo in virtù del quale Cina e Usa si impegnano a desistere dal porre in essere qualsiasi offensiva informatica che abbia come obiettivo quello di ottenere dei vantaggi in ambito commerciale.

La medesima tattica potrebbe essere ora utilizzata con Mosca. Ad aprile un gruppo di funzionari dei due Paesi si è infatti incontrato a Ginevra per discutere di una revisione degli accordi sulla sicurezza informatica bilaterale firmati nel 2013, implementando nuove misure per rafforzare la fiducia reciproca.

Una di queste è l’istituzione di un “numero verde” per consentire a funzionari statunitensi e russi di parlare gli uni con gli altri nel corso di una crisi di sicurezza informatica, in modo da scongiurare il peggio di una possibile escalation, come un reciproco attacco a infrastrutture critiche e servizi essenziali che potrebbe mettere entrambi i Paesi in ginocchio. Ma visti i recenti attriti, la strada è certamente da considerarsi in salita.