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Il caso Italia tra smart working e “south working”

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Sulle conseguenze dello smart working in termini di riorganizzazione dell’attività economica all’interno delle città, a cominciare da una sofferenza economico-sociale specialmente per quelle zone a forte prevalenza di uffici, si è parlato molto durante la pandemia (ad esempio qui su Aspenia online). Ma il lavoro da remoto può avere anche delle conseguenze “dinamiche” per città e territori, veicolate dalla mobilità geografica di imprese e lavoratori. Con lo smart working in molti hanno infatti deciso di trasferirsi provvisoriamente a lavorare altrove, fuggendo soprattutto le città più grandi per potere beneficiare di maggiori spazi e prossimità con la natura.

La fuga dalle metropoli ha assunto toni e colori diversi a seconda del contesto geografico, e in alcuni casi appare avere un carattere più strutturale che in altri. Nella regione dell’Ile-de-France, per esempio, i prezzi delle case nella Petite e Grande Couronne sono cresciuti nel 2020 a un tasso annuale tra il 6% e il 7% contro la media registrata negli anni passati del 4% e contro il 5% nel comune di Parigi. L’andamento del mercato immobiliare conferma dunque una tendenza a trasferirsi dal centro della capitale francese in località più periferiche dove i prezzi delle case sono più bassi e che godono comunque di ottimi collegamenti con il centro della città. Nella capitale francese, la tendenza soprattutto per le giovani coppie che mettono su famiglia a trasferirsi lontano dal centro città non è però una novità: il Covid ha accelerato la decisione in tal senso tra coloro che probabilmente la ponderavano già da tempo.

I cluster economici prevalenti nelle diverse aree d’Europa secondo la classificazione di McKinsey & Company (giugno 2020)

 

Come in Francia, anche negli Stati Uniti sono le grandi città cronicamente afflitte da un deficit di offerta immobiliare e prezzi delle case molto elevati, come San Francisco, a vedere la propria attrattività minacciata da destinazioni anche distanti, ma caratterizzate da un minor costo della vita e un ecosistema imprenditoriale vivace, come le città di  stati di Arizona e Texas. L’andamento del mercato immobiliare, tuttavia, non conferma stavolta questa riallocazione: un recente articolo uscito su VoxEU evidenzia come nell’arco del 2020 i prezzi delle case non siano cresciuti di più nelle aree metropolitane americane inizialmente meno care, cosa che si sarebbe invece dovuta osservare in coincidenza con un aumento della domanda in queste città. È pur vero che diverse società americane hanno annunciato di voler traslocare nei vicini stati di Arizona e Texas, ma tra i motivi dietro questa decisione vi sono non tanto i vantaggi derivanti dallo smart working quanto piuttosto quelli derivanti da una tassazione più bassa e una burocrazia meno onerosa.

I due esempi di riallocazione geografica ad aver preso forza durante la pandemia appena riportati sono molto diversi ma hanno un comune denominatore. Il Covid ha fornito a questi processi la chiave di innesco, non ultimo grazie al lavoro a distanza che ha consentito di ridurre al minimo i costi non-monetari legati al trasferimento e successiva fase di transizione in ambito lavorativo. Tuttavia, in entrambi i casi le premesse che spingevano in favore di una tale riallocazione geografica esistevano già da prima della crisi pandemica, cosa che permette di affermare con un minore margine di incertezza che i cambiamenti saranno strutturali e non passeggeri.

E in Italia? La rilocalizzazione di una parte della forza lavoro, quella in grado di svolgere il proprio lavoro da remoto, lontano dalle città in direzione di mercati del lavoro più periferici, tra cui quelli al Sud, da cui l’espressione di south working, è avvenuta anche nel nostro paese. Sfortunatamente la disciplina che regola il procedimento amministrativo del cambio di residenza viene applicata in Italia – a differenza che in altri paesi – con lassismo, e dunque i dati non consentono di monitorare in maniera affidabile e soprattutto in tempo reale la mobilità dei residenti tanto domestica quanto internazionale. Le uniche stime sul south working provengono da un’indagine commissionata da Svimez su un campione di 150 imprese, che stima pari a 43.000 il numero di occupati in south working nel 2020.

Tuttavia il fenomeno ha assunto una tale consistenza da essere stato ripreso anche dal New York Times, che ha giustamente messo in evidenza l’opportunità per tentare di rovesciare la drammatica fuga di capitale umano che affligge determinate aree del nostro paese. Anche l’andamento del mercato immobiliare parla in favore della consistenza dei numeri del south working: secondo l’ultimo rapporto pubblicato dall’Osservatorio sul Mercato Immobiliare di Nomisma, il mercato immobiliare del Sud Italia fa registrare le prospettive di maggiore rialzo per il prossimo anno sui prezzi di compravendita di abitazioni usate, uffici e negozi sia in centro che in periferia.

Il “south working” ha assunto consistenza soprattutto a partire dall’estate 2020. Qui, una giovane lavoratrice in una piazza di Palermo (Fonte: Repubblica)

 

La domanda che è lecito porsi a questo punto è se la possibilità di conservare il proprio lavoro ben remunerato da remoto sia sufficiente per innescare un reverse brain drain che abbia carattere strutturale. Da qui discendono almeno due considerazioni. La prima è che il lavoro non è l’unica determinante delle scelte di mobilità geografica dei lavoratori. A guidare la scelta di trasferirsi in una città piuttosto che in un’altra vi è il costo della vita, ma anche l’efficienza dei servizi pubblici (tra cui molto importanti per le famiglie che si trasferiscono a vivere in un’altra città sono gli asili nido), del sistema dei trasporti, l’offerta d’intrattenimento.

Trasferirsi a vivere da una capitale nord-europea o anche grande città italiana in una città di piccole dimensioni del Sud Italia vuol dire perdere l’accesso a molti di questi vantaggi, ben di più di quelli a cui rinuncia il parigino che si trasferisce da Parigi a vivere in un comune limitrofo che rimane comunque ben collegato con la capitale francese. L’urgenza del potenziamento della connettività, sia digitale che fisica, nelle aree del Sud Italia per tentare di rendere strutturale una parte di questo controesodo l’hanno perfettamente compresa i promotori di “South Working – Lavorare dal Sud”, tra le cui proposte figura appunto il miglioramento della dotazione infrastrutturale e dei collegamenti trasportistici nelle regioni meridionali.

La seconda considerazione è legata alla volontà da parte delle aziende di continuare a offrire un salario sufficientemente elevato a lavoratori residenti in località dove la produttività del mercato del lavoro locale è più bassa. Da una parte è vero che diverse imprese si dichiarano disposte a proseguire con il lavoro da remoto anche ad emergenza conclusa, lasciandoci concludere che il paventato calo della produttività associato al lavoro da remoto quantomeno per determinate professioni alla fine non c’è stato. Dall’altra è pur vero che le aziende non hanno alcun controllo sull’iniziativa del singolo di intessere relazioni sociali e procacciarsi opportunità di crescita nell’ambito del più ampio tessuto urbano che lo circonda, e sbaglierebbero dunque a condizionare le proprie scelte di organizzazione aziendale su fenomeni che sfuggono al loro controllo.

Oltretutto, questo premio “esterno” sulla produttività del singolo – esterno in quanto associato al contesto urbano di riferimento – si manifesta soprattutto nei contesti lavorativi che richiedono maggiore sforzo creativo e innovazione. Il fatto che l’emergenza Covid possa avere messo ragionevolmente in pausa lo spirito di innovazione delle imprese rappresenta un ulteriore motivo per non consentirci, quanto meno non ancora, di dichiarare con matematica certezza che i vantaggi delle grandi città in termini di produttività non esistono più.

Un segnale di speranza lo fornisce il lavoro di due ricercatori spagnoli, Diego Puga e Jorge De la Roca, i quali hanno dimostrato come il capitale umano accumulato durante le esperienze lavorative svolte nelle grandi città non si depauperi al momento del trasferimento in un mercato del lavoro più piccolo e potenzialmente meno produttivo ma continui ad accompagnare il lavoratore nelle sue esperienze successive.

Animati da questo ottimismo, la strategia più efficace per tentare di attuare un reverse brain drain sulla scia del south working non può che essere quella dell’attrarre, dopo i lavoratori, anche le aziende, o favorire quanto più rapidamente possibile la nascita di nuove imprese nelle regioni interessate. Esistono esempi nella letteratura sulla geografia economica che evidenziano la capacità da parte dei “migrants”, ossia persone che si sono da poco trasferite in una nuova città o paese, soprattutto se con livelli di formazione e istruzione elevati, di contribuire allo sviluppo locale tramite il canale dell’imprenditoria, in quanto persone dotate grazie alla loro esperienza di mobilità internazionale di maggiore senso di adattamento e minore avversione al rischio.

Il Centro Direzionale di Napoli. La Campania è stata la terza regione italiana per numero di start-up nel 2019

 

È evidente che da un punto di vista di policy le azioni da intraprendere sono diverse se si cerca di favorire il trasferimento di grandi aziende al Sud o la nascita di nuove imprese. Una differenza sostanziale che vale la pena menzionare sta nel fatto che se gli incentivi fiscali possono essere utili a favorire la rilocalizzazione di aziende esistenti, da soli non bastano per favorire lo sviluppo dal punto di vista dell’imprenditoria di una determinata area, per il quale servono riforme strutturali (per esempio, semplificazione amministrativa, efficientamento del sistema giudiziario, e miglioramento del sistema dell’istruzione), oltre che il già menzionato potenziamento della rete infrastrutturale.

Traducendo il titolo del già citato articolo del New York Times, “il Covid ha aiutato a invertire il fenomeno del brain drain in Italia ma può durare?”, si può rispondere che durerà solamente se la politica avrà la consapevolezza dell’occasione che l’Italia ha davanti, e deciderà di considerare il rovesciamento della fuga dei cervelli una priorità per il paese, e il Sud soprattutto.