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I think tank di Bruxelles e l’ecosistema dell’Unione Europea

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Bruxelles è ormai de facto la sede delle principali istituzioni europee, cioè Commissione, Consiglio e Parlamento – sebbene quest’ultimo abbia de jure tuttora tre sedi cioè anche Strasburgo e Lussemburgo, in base al Trattato di Lisbona. Vicino alle istituzioni è così proliferato un vero e proprio sottobosco di organizzazioni che si dedicano alla raccolta di informazioni privilegiate e alla ricerca di influenza sulle decisioni dell’Unione Europea. In questo ambiente tali organizzazioni, che possiamo definire think tank europeisti, costituiscono un fenomeno recente, ma cresciuto in maniera esplosiva negli ultimi vent’anni.

La vecchia guardia

La vecchia guardia dei think tank europeisti è rappresentata emblematicamente da tre organizzazioni – nate durante il “periodo eroico” degli anni Ottanta, cioè nel momento di maggiore ottimismo intorno al progetto politico di unificazione intorno al Mercato Comune. Sono l’European Policy Center (EPC), il Center for European Policy Studies (CEPS) e Friends of Europe (FoE).

Qui si è coagulata la prima generazione di thinker europeisti: i fondatori delle tre organizzazioni provenivano sia dalle istituzioni europee (in primis la Commissione) che dal mondo imprenditoriale (in gran parte dai primi Paesi membri) e da ambienti giornalistici (in particolare corrispondenti britannici accreditati a Bruxelles). Quasi esclusivamente dedicati agli affari europei, i primi think tank erano generalisti e schierati per l’integrazione, anche se con modalità diverse: mentre il CEPS si è orientato sin dall’origine alla produzione di studi e ricerche, prevalentemente con finanziamenti pubblici europei, Friends of Europe è diventato una piattaforma di dibattiti e discussioni, finanziata dagli Stati e da sponsor ufficiali, mentre l’EPC ha perseguito una strategia mista.

Seguendo i passi di questa avanguardia, con la nascita dell’Unione Europea all’inizio degli anni Novanta e l’espansione dell’integrazione – dal punto di vista geografico e delle competenze esercitate – numerosi altri think tank già attivi altrove hanno preso la decisione, naturalmente dispendiosa dal punto di vista organizzativo e finanziario, di una presenza permanente a Bruxelles. Per cominciare, vari think tank statunitensi e transatlantici hanno istallato delle “antenne” nella capitale dell’UE, sulla scia di una strategia diplomatica globale: RAND Europe, Carnegie Endowment, East-West Institute, International Crisis Group e German Marshall Fund. Quasi contemporaneamente, anche vari think tank europei hanno aperto una succursale a Bruxelles: i tedeschi Bertelsmann Stiftung e SWP, i francesi IFRI e Fondation Robert Schuman, gli spagnoli FRIDE e CIDOB ed anche gli olandesi Clingendael ed ECDPM. Infine, anche la famiglia di organismi finanziati dalla Open Society Foundation di George Soros ha deciso di far sentire la sua presenza in loco in maniera crescente.

La seconda generazione

Per quanto riguarda i think tank europeisti veri e propri, cioè quelli autonomi e non dipendenti da altre entità, una seconda generazione di organismi ha visto la luce negli anni Duemila. Si tratta di un altro trio: BRUEGEL, Lisbon Council, ECIPE – tutti centri di ricerca specializzati in materie economiche, orientati verso le nuove tematiche di integrazione intergovernativa aperte dal Consiglio di Lisbona del 2000 e sulle questioni legate alla crisi finanziaria ed economica della fine dello stesso decennio.

Lanciato nel 2003, Lisbon Council si è specializzato nel promuovere dibattiti e seminari intorno all’agenda della strategia di Lisbona, nell’ottica di influenzare le discussioni intorno al Metodo di Coordinamento Aperto dell’Ue, una forma di integrazione intergovernativa che non si traduce in misure legislative vincolanti ma che è divenuto un nuovo quadro di cooperazione tra i paesi Ue per far convergere le loro politiche nazionali verso alcuni obiettivi comuni, in settori che dipendono dalla competenza nazionale, come occupazione, protezione sociale o istruzione. Creato nel 2004, BRUEGEL (acronimo di Brussels European and Global Economic Laboratory) è nato grazie all’iniziativa di un consorzio di Stati membri che ha voluto fondare un nuovo istituto di analisi indipendente dalla Commissione, con l’appoggio di un consorzio di imprese multinazionali che ne assicura il finanziamento. Nato nel 2006, l’European Centre for International Political Economy (ECIPE) si è specializzato nella politica commerciale, orchestrando una campagna di opinione in favore del libero scambio non solo a livello europeo ma anche globale.

L’incremento dei think tank a Bruxelles ha provocato una parallela crescita dell’intreccio di affiliazioni informali e legami istituzionali con organizzazioni simili, in particolare operanti nei nuovi membri dell’UE o nei paesi limitrofi. La più antica delle reti così costruite è senza dubbio TEPSA, creata nel 1974 come un collegamento di centri studi e ricerca nazionali, sulla base del principio un paese/un membro, e connotata da una visione federalista. Negli anni Novanta, altri tentativi più pluralisti di federazione dei think tank nazionali con interessi europei hanno avuto vari gradi di successo. Ad esempio, a seguito della prima Conferenza Euro-Mediterranea di Barcellona del 1995, l’Euro-Mediterranean Study Commission (EuRoMESCo) come network dei centri di ricerca sulla politica e sicurezza nel Mediterraneo. Ancora, alla fine degli anni Novanta, l’European Policy Institutes Network (EPIN) organizzato dal CEPS per integrare i nuovi think tank dei Paesi che stavano per entrare nell’Unione, in un’ottica di mutuo rafforzamento e di coordinamento nella ricerca di finanziamenti.

La diversificazione attuale 

Negli anni Duemila, da una parte il CEPS ha continuato nella sua opera di tessitore di legami, con la creazione dell’European Network of Economic Policy Research Istitutes (ENEPRI). Dall’altra, la francese Notre Europe ha coordinato una cooperazione strutturata tra vari think tank, tra cui alcuni presenti a Bruxelles, sotto l’etichetta di Think Global – Act European (TGAE), per accompagnare e consigliare la presidenza semestriale del Consiglio dei Ministri. Infine, a partire dal gennaio 2010, è stato lanciato, come evento annuale, il Brussels Think Tank Dialogue (BTTD): un occasione per le varie organizzazioni di presentare le loro analisi e animano seminari di discussione aperta, in presenza di interlocutori dalle istituzioni europee.

Il panorama dei think tank europeisti è dunque caratterizzato da un’estrema varietà, dovuta sia alla loro rapida crescita nel laboratorio politico della capitale d’Europa, sia alla varietà di enti di diversa provenienza che hanno aperto bottega a Bruxelles. Ciò è una ricchezza, in termini di approcci e idee che si fanno strada fino alle istituzioni europee, ma anche una debolezza, a causa del numero molto alto di attori coinvolti. Data la competizione per i finanziamenti e l’attenzione dei dirigenti europei, le varie organizzazioni hanno coltivato le loro diversificazioni, non solo per adattarsi alla complessità della politica europee ma soprattutto per appropriarsi di filoni e tematiche specifiche. L’idea originale del think tank generalista che copre l’intero spettro dell’integrazione europea è di sempre più difficile applicazione.

Questa diversità si traduce anche nella difficoltà di tracciare un’analisi univoca del fenomeno dei think tank europeisti. Tuttavia, per farsi un’idea in termini numerici di tale universo, è possibile immaginare tre cerchi concentrici, in termini di prossimità ai dirigenti europei: un cerchio interno è costituito da un numero ristretto (circa 50) di organizzazioni presenti a Bruxelles, che animano dibattiti e pubblicano ricerche intorno alle istituzioni; un cerchio esterno è costituito da una larga comunità di think tank (tra 250 e 300) attivi nelle reti di cooperazione con quelli basati a Bruxelles; e infine una periferia composta da un più grande numero di organizzazioni (intorno al migliaio) che hanno un interesse episodico o legami sporadici con le attività di ricerca e riflessione sugli affari europei.

In conclusione, la situazione a Bruxelles è sensibilmente diversa da quella di Washington, non solo per la relativa novità in Europa di molte delle strutture menzionate che le rende meno radicate e dunque relativamente meno autoritative, ma soprattutto per quanto riguarda il personale e le risorse a loro disposizione che sono decisamente più limitate.

Inoltre, le fonti di finanziamento sono anch’esse in costante evoluzione, anche perché la crisi ha prosciugato i tradizionali canali pubblici (governi, istituzioni europee), quelli privati, e quelli degli Stati in lista d’attesa per l’ingresso nell’Unione. Un’altra notevole differenza è l’assenza di think tank ideologicamente schierati in modo esplicito, tipici del mondo anglosassone, anche se l’apparizione di think tank euro-scettici (come Open Europe) costituisce una prima breccia del consenso costruito intorno alle istituzioni europee.