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Agire al piano terra

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I locali su strada sono in grado di dare nuova energia alle metropoli post pandemia. Mentre l’aumento del telelavoro obbliga a ripensare il confine fra casa e ufficio, ai piani terra degli edifici la crisi delle attività commerciali richiede nuove idee. Alcuni di questi ambienti possono riproporsi come luoghi di incontro e dialogo fra cittadini, diventando spazi aperti per le iniziative di quartiere e assumendo il ruolo di intermediari tra le comunità locali e le città nel loro complesso.

 

Dopo mesi di una pandemia che ha cambiato radicalmente il nostro modo di lavorare e vivere nelle città, gli effetti della crisi hanno iniziato a farsi sentire anche sul mercato immobiliare: un settore produttivo che, inevitabilmente, si muove più lentamente di altri. Ma come evolveranno le cose nel mondo post-Covid? Riteniamo che, oltre a mutamenti nelle asset class degli immobili per uffici o residenziali, ci saranno trasformazioni decisive in un’area spesso trascurata: il “piano terra” degli edifici delle nostre città.

Ragazzini a New York negli anni ’70

 

Prendiamo in considerazione l’enorme esperimento di smart working al quale abbiamo tutti partecipato, più o meno volontariamente, a partire dalla primavera del 2020. Che cosa resterà di esso, nel lungo periodo? Molti osservatori hanno prospettato scenari anche estremi, prevedendo perfino la fine degli uffici come li abbiamo conosciuti fino a oggi. Tuttavia, ci sono validi motivi per pensare che questo non accadrà – e per auspicare che non accada.
Per capire meglio perché, dobbiamo fare un breve salto nel passato. Ovvero al 1973, quando il sociologo americano Mark Granovetter pubblicò un celebre articolo scientifico intitolato “La forza dei legami deboli”.

 

IL POTERE AGGREGANTE DELLO SPAZIO FISICO. Granovetter divide i nostri rapporti sociali in due categorie: “legami forti” e “legami deboli”. I primi, tipicamente legati alla sfera familiare e degli amici intimi, si allacciano con persone che la pensano come noi su molti aspetti della vita e del mondo. I secondi sono invece quelli che intratteniamo con conoscenti o incontri casuali: individui più lontani da noi per background, interessi e opinioni.

Mentre i legami forti sono importanti per il nostro benessere personale, i legami deboli sono cruciali per l’innovazione: esponendoci a un più ampio ventaglio di idee, ci permettono di ridiscutere i nostri preconcetti e stimolare la creatività. Se, quindi, da un lato i legami deboli favoriscono la casualità e lo scambio di nuove idee, la dipendenza da soli legami forti rischia di intaccare la capacità di comprensione del diverso e creare dinamiche di polarizzazione. Il pericolo è di ritrovarsi a vivere in spazi chiusi in se stessi: echo chambers o “casse di risonanza”, nelle quali non possiamo far altro che avvitarci sui nostri pregiudizi.

Alcuni ricercatori del Massachusetts Institute of Technology, fra cui chi scrive, hanno analizzato le reti di comunicazioni di studenti e docenti, sia prima che durante il lockdown. I primi dati sembrano indicare che i legami deboli si attenuano quando le persone lavorano da casa, poiché ogni individuo tende a interagire da remoto con un numero più ridotto di colleghi e interlocutori, appartenenti all’ambito della sua cerchia più stretta. Ciò è diverso da quanto succede all’interno di un ufficio, dove le persone naturalmente instaurano legami deboli, e scambiano idee con gruppi più ampi di colleghi.

I risultati sembrano confermare ciò che molti di noi hanno osservato nell’esperienza quotidiana: nel mondo virtuale, le opportunità di incontrarsi e mantenere legami deboli si riducono drasticamente. Lo spazio fisico, invece, ha per sua natura un potere aggregante, favorendo incontri e scambi inattesi, e dunque creando le premesse ideali per nuovi legami deboli e nuove idee. Questo è particolarmente desiderabile in ambienti di lavoro basati sulla creatività e sull’apporto di esperienze diverse.

 

CASA E UFFICIO, UN CONFINE SFUMATO. Se tali risultati saranno confermati, ciò significherebbe che gli spazi lavorativi condivisi sono di cruciale importanza per le aziende, poiché permettono a nuove idee di emergere e rafforzano una cultura aziendale condivisa. Nessuna fine dell’ufficio, quindi. Detto questo, è ragionevole attendersi che nel lungo periodo rimarrà in vigore un modello lavorativo flessibile, una combinazione di lavoro in presenza e online, e che ciò determinerà un calo nella domanda complessiva di spazi per uffici. In molte città europee si sta già da tempo adottando un modello 3+2, ossia 3 giorni in ufficio e due di smart working, o viceversa.

A livello di design, possiamo immaginare che gli uffici post pandemici seguiranno una nuova idea di distribuzione degli spazi. In generale, gli spazi riconfigurabili saranno preferibili rispetto alle postazioni fisse, e le sale meeting rispetto alle scrivanie individuali; queste ultime potrebbero inoltre essere trasformate in postazioni mobili, usate secondo il principio dell’hot desking. Perché gli spazi di lavoro tornino ad acquisire centralità è importante che si incoraggi il cosiddetto cafeteria effect (la relazione quotidiana e conviviale), che trova proprio nella casualità un elemento di valore per gli scambi di idee.

Gli uffici potrebbero dunque, in generale, diventare più piccoli, ma cosa potrebbe accadere alle nostre abitazioni? Una delle ipotesi è che la domanda per case più grandi aumenterà, almeno in parte, per soddisfare le necessità di chi deve trovare un equilibrio tra la vita professionale e quella familiare. Come hanno potuto scoprire i genitori con figli ancora piccoli, riuscirci non è affatto semplice.

In sostanza, il futuro delle case e quello degli uffici sono strettamente interconnessi. Da un lato ci sarà un certo effetto di compensazione, poiché la crescita della domanda per abitazioni aiuterà a bilanciare la relativa contrazione di quella per uffici. Dall’altro, cosa forse ancor più importante, il confine tra ambiente di lavoro e casa diventerà sempre più sfumato. Invece di dare una destinazione specifica a ogni stanza, sarà più logico utilizzare lo stesso spazio fisico per usi multipli. Una conseguenza di questo nuovo approccio sarà di rimettere in discussione lo schema tradizionale delle asset class, che fino a oggi è stato uno dei fondamenti basilari del settore immobiliare. Ciò potrebbe significare, ad esempio, trasformare le tradizionali planimetrie, pensate per facilitare l’esecuzione di mansioni solitarie, in spazi più aperti e dinamici, che incoraggino come dicevamo il cafeteria effect. Potrebbero seguire riprogettazioni più radicali, con nuovi sistemi capaci di generare serendipità, ad esempio attraverso l’orchestrazione di un nuovo modo di lavorare basato sugli eventi.

 

RIPENSARE I LOCALI SU STRADA. Oltre alle abitazioni e agli uffici, c’è un’altra dimensione del paesaggio urbano che avrà importanza nel determinare il nostro futuro post-pandemico. Si tratta degli spazi a piano terra, con accesso diretto a strade e piazze. Tali aree sono sempre state tradizionalmente destinate a una fitta rete di locali di vendita al dettaglio, ma negli ultimi anni sono stati al centro di travagliate trasformazioni. La vendita al dettaglio nei grandi centri commerciali e poi l’e-commerce hanno indebolito il vecchio modello urbano dei negozi su strada. Per un certo periodo, dopo la crisi finanziaria del 2008, la crescita del numero di punti vendita di cibi e bevande aveva contribuito a rivitalizzare i locali a piano terra. Tuttavia, questo tipo di attività commerciali è oggi tra le più colpite dalla recessione causata dalla pandemia.

Vita di strada in una città cinese

 

Il problema del “piano terra” è molto sentito nei centri urbani di tutto il mondo. Jean-Louis Missika, vicesindaco della capitale francese, ha recentemente dichiarato: “Pensiamo alla ricchezza del tessuto urbano di Parigi. Esso non esisterebbe senza la miriade di attività commerciali che riempiono le sue strade”. Possiamo davvero permetterci di rinunciare a un simile retaggio storico, prezioso per qualsiasi città, da Boston a Tokyo? La sua perdita non impoverirebbe soltanto le nostre economie, ma anche le nostre basi sociali e culturali.

In altre parole, gli spazi su strada rappresentano una sfida critica per le città di domani. Come possiamo ribaltare il problema e trasformarlo in una opportunità? Uno dei modi per farlo è valorizzare il ruolo storico di quei locali come ambienti per l’incontro e il dialogo tra i cittadini. Anche se è essenziale sostenere le attività commerciali già esistenti, si può anche utilizzare parte di quegli spazi in modo diverso: ad esempio, per ospitare nuove iniziative di quartiere. Pensiamo a spazi aperti per il co-working, “fab-lab”, associazioni non profit, hub per l’imprenditoria giovanile, per l’agricoltura urbana e per il volontariato. In altre parole, i locali a piano terra possono avere un ruolo di intermediazione tra le comunità di quartiere e la città nel suo complesso.

Come raggiungere tali obiettivi? Nel vecchio continente, i fondi provenienti dal Recovery Plan post-pandemico dell’Unione Europea possono aiutare le città a realizzare questo genere di programmi. Le autorità locali possono giocare un ruolo altrettanto importante, modernizzando i propri assetti normativi e consentendo maggiore flessibilità su questioni come la già citata classificazione delle asset class. Misure di questo tipo garantirebbero grande agilità alle partnership tra pubblico e privati, aprendo la via alla creazione di più numerose collaborazioni, vantaggiose per tutta la società.

Negli ultimi anni, su varia scala, abbiamo collaborato e lavorato a numerosi progetti di questo genere. I risultati sono stati accolti con larghissima approvazione sia da parte del mondo imprenditoriale che da parte dei cittadini. Milano sta seguendo la linea del rinnovamento dei locali su strada, con lo sviluppo della zona di Porta Nuova e dei quartieri del Progetto MIND – Milano Innovation District. E in prospettiva si andrà ancor più avanti, dal progetto di riqualificazione dello storico quartiere di Porta Romana fino ai vari siti cittadini inseriti nella gara del piano “Reinventing Cities” del C40 (Cities Climate Leadership Group). Come pioniera delle città di domani, Milano rappresenta una fonte di ispirazione per realizzare cambiamenti positivi non solo in Italia, ma anche nel resto del mondo.