Gli studi di Robert Putnam sul “Capitale Sociale” e l’America di oggi
Il politologo americano Robert Putnam, che ha a lungo insegnato a Harvard, è l’autore principale di un articolo, pubblicato nel 1983, “Explaining Institutional Success: The Case of Italian Regional Government” (Putnam R.D., Leonardi R., Nanetti R., Pavoncello F., American Political Science Review, n.77), al quale ho avuto il privilegio di contribuire. L’articolo, che è uno tra i più citati nella letteratura sul tema, e ancora oggi è la base della discussione sulle regioni italiane, ha mostrato che il rendimento dei governi regionali è strettamente correlato all’impegno civico della popolazione delle varie regioni, con una forte differenza tra l’alto livello nelle regioni del Nord, caratterizzate da una tradizione di governo comunale e forte partecipazione sociale orizzontale, e quello basso nelle regioni del Sud, con una storia di governo autocratico e pratiche di partecipazione verticale clientelare.
I concetti e l’analisi contenuti in quell’articolo sono stati poi sviluppati in un libro, uscito dieci anni più tardi (“La tradizione civica nelle regioni italiane”) che, introducendo l’idea di “Capitale Sociale”, è diventato un punto di riferimento teorico essenziale per gli studi sociali internazionali.
In seguito allo studio delle regioni italiane, Putnam ha rivolto, più tardi, la sua attenzione agli Stati Uniti, mosso dalla curiosità di verificare il ruolo del Capitale Sociale nella trasformazione della società americana. Un percorso di trent’anni che ha reso Robert Putnam uno dei più rinomati scienziati sociali a livello internazionale, invitato dai presidenti americani a Camp David e onorato con una medaglia da Barack Obama.
Nel suo primo famoso libro sulla società americana, “Bowling alone” (del 2000), Putnam ha evidenziato il forte declino del capitale sociale negli Stati Uniti negli ultimi decenni. Quella società descritta da Tocqueville, caratterizzata dalla grande attenzione alla libertà individuale e al tempo stesso alla cooperazione sociale, mostrava un forte declino del senso di comunità e di impegno sociale nella seconda metà del ventesimo secolo. Attraverso l’analisi di molteplici variabili Putnam ha descritto un forte declino in aree come l’appartenenza ad organizzazioni e a clubs di vario tipo, la frequentazione di chiese, e l’interazione faccia a faccia tra individui in eventi comunitari. In estrema sintesi, gli americani sempre più giocano al bowling, ma sempre più lo fanno da soli invece che in squadre organizzate. La società americana è sempre più atomizzata, con la vita familiare sempre più disorganizzata.
Putnam mostra come la partecipazione politica, civile, e religiosa si è fortemente ridotta per le generazioni cresciute dopo gli anni ’60, accompagnate dal declino dei contatti nel posto di lavoro, e con gli amici e la famiglia. Volontariato, reciprocità e fiducia negli altri sono in veloce declino specialmente in queste generazioni, mentre crescono le associazioni a distanza dove l’interazione personale è assente o molto limitata. Nel libro del 2000, Putnam assegna la responsabilità di questi fenomeni all’aumento della mobilità geografica, all’arrivo della televisione come medium di massa, ed anche all’aumento della forza lavoro femminile, che rende la vita famigliare meno stabile e l’impegno dei genitori con i figli meno costante e fattivo. Putnam mostra come tutto ciò abbia un impatto sulla qualità della vita sociale in tutti i suoi aspetti, incluso il rapido declino di fiducia nella politica e nel governo.
Nel suo successivo studio, “Our Kids” (del 2015, con l’esplicito sottotitolo “The American Dream In Crisis”), Putnam mostra inoltre come questo cambiamento abbia avuto un forte impatto sul “sogno americano” sulla mobilità sociale, con la società americana sempre più caratterizzata da una profonda divisione tra le classi alte e le classi basse (working class). La famiglia in cui si nasce determina maggiormente, rispetto al passato, il successo dei giovani, la loro qualità della vita, le opportunità di studio e di lavoro, a prescindere dalle capacità intellettive e personali dei singoli. Un povero intelligente ha meno possibilità che in passato di entrare in una prestigiosa università di un ricco meno intelligente. I ricchi e i poveri inoltre sono sempre meno in contatto tra loro, sia nelle grandi città sia nei centri più piccoli, e sempre meno gli uni sanno degli altri.
L’impatto non è soltanto nelle opportunità professionali e di lavoro ma determina anche la qualità della vita, con una forte riduzione dei matrimoni nelle classi lavoratrici, dove sempre di più ci sono madri sole con figli, e dove i maschi bianchi vivono da soli, con i matrimoni crollati per i più poveri da 84% a 48% dal 1960 ad oggi, mentre per i ricchi i matrimoni sono rimasti abbastanza stabili riducendosi dal 94 all’84%. Tutte tendenze che appaiono anche più accentuate nella comunità afro-americana.
Nel suo libro più recente, “The Upswing”, pubblicato nel 2020, Putnam è andato oltre la descrizione del declino di Capitale Sociale e si è chiesto come e quando si fosse arrivati a quella situazione – osservando il fenomeno che, traducendo il titolo, possiamo rendere con una “impennata”.
Dopo il periodo di grande trasformazione tecnologica e crescita economica della fine del XIX secolo, che era tuttavia caratterizzato da forti ineguaglianze socio-economiche, da un profondo disagio sociale, e da una crescente polarizzazione politica. Ma proprio all’inizio del XX secolo si verifica un’evoluzione virtuosa che, alla metà del XX secolo, porta a un’America più egalitaria, cooperativa, coesiva e altruistica.
Questa profonda trasformazione sociale, culturale e morale, fu il risultato e poi causa di una esplosione di associazionismo, generato dal basso, che interessò l’intero spettro della società americana. Un processo che vide le due decadi di massimo impegno sociale nel Paese, dal 1945 al 1965 circa.
Il libro inizia con una ricostruzione della società americana alla fine del XIX secolo. Dopo un periodo di grande trasformazione tecnologica e crescita economica, che era tuttavia caratterizzato da forti ineguaglianze socio-economiche, da un profondo disagio sociale, e polarizzazione politica, con il dibattito politico caratterizzato non dalla discussione di idee differenti ma dalla demonizzazione dell’avversario, con piattaforme estremiste dei partiti. Il tutto caratterizzato da un forte elemento di darwinismo sociale, con gli americani intenti più a pensare al proprio benessere che al bene comune. Un periodo che Mark Twain aveva chiamato dispregiativamente “The Gilded Age”, cioè “L’Età del Privilegio”.
Ma all’inizio del XX secolo molti dati mostrano l’inizio di un processo virtuoso, che produsse più di mezzo secolo di progresso verso maggiore uguaglianza economica, maggiore cooperazione politica, un tessuto sociale più sano e una crescente cultura di solidarietà. Si verifica un’evoluzione virtuosa che, alla metà del XX secolo, porta a un’America più egalitaria, cooperativa, coesiva e altruistica.
Questa profonda trasformazione sociale, culturale e morale, fu il risultato e poi causa di una esplosione di associazionismo che interessò l’intero spettro della società americana. Ne scaturirono le due decadi di massimo impegno sociali nel Paese, dal 1945 al 1965 circa, a prescindere da età, ceto, gruppo etnico, gender, appartenenza religiosa e posizioni politiche. Le iniziative sociali e morali si moltiplicarono con diffusione anche orizzontale, nel costruire un movimento chiamato “Progressives”. Un movimento con forte influenza dei giovani e di gruppi attivisti locali, iniziato nelle piccole città del grande Hinterland americano, piuttosto che nelle metropoli. Il movimento, guidato da leader dedicati al miglioramento sociale, fu prima di tutto un risveglio morale e una denuncia del darwinismo sociale. I Progressives rappresentavano l’impulso sociale e organizzativo che portò all’estensione nell’intero Paese di centinaia di associazioni per gli scopi più disparati, con forte connotazione di progresso sociale e fiducia nelle politiche attive degli organi di governo. Un fenomeno che si propagò come un incendio in tutta l’America, posando le fondamenta della struttura sociale americana che vediamo ancora oggi.
La Grande Depressione dei primi anni ‘30 frenò questo processo, che si riattivò con la Seconda guerra mondiale, per poi sfociare nella forte spinta nella vita comunitaria dopo la guerra, che interessò praticamente tutte le associazioni, dando vita a due decadi, tra il 1945 e il 1965, di massimo impegno sociale nella storia degli Stati Uniti.
Il fenomeno interessò anche la politica americana in molti dei suoi aspetti, con una crescita costante della bipartisanship, cioè la collaborazione tra i due partiti tradizionali, e una riduzione di polarizzazione tra gli opposti campi, che raggiunse il suo culmine durante le presidenze di Eisenhower e Kennedy, tra i presidenti più amati nella storia degli Stati Uniti.
La fine tragica della presidenza Kennedy, nell’ottobre 1963, si innesta su un processo che segnò l’inversione di tendenza della curva virtuosa della prima metà del secolo: è il massiccio e pervasivo “disingaggio” sociale degli americani degli ultimi decenni che Putnam aveva già descritto in “Bowling Alone”.
Parallelamente a questi fenomeni, aumenta invece la polarizzazione politica, con il sistema politico americano sempre più caratterizzato dal conflitto frontale tra i due partiti fino ad arrivare alla nascita del Tea Party group nel 2009 (nell’ambito del Partito Repubblicano), per arrivare a Donald Trump e al 6 gennaio 2021, mentre cresce anche la tensione razziale. Una polarizzazione chiaramente visibile dal declino della fiducia che gli americani ripongono nel governo, che era assestato intorno al 70% degli intervistati negli anni ‘60 e che ormai, dopo un primo declino negli anni ’70, si è stabilizzato sotto il 20%.
Il seguente grafico, che Putnam presenta, rende chiara questa parabola storica nel XX secolo.
Come possiamo spiegare questa chiara parabola storica? Putnam assegna la responsabilità agli anni ’60, al ritorno della cultura del “ME” piuttosto che del “NOI”, e alla profonda trasformazione culturale di quegli anni, accompagnata da eventi con profondo impatto sulla vita della società americana. Dopo aver scartato molte interpretazioni a prima vista plausibili (per ragioni di spazio, rinvio al libro), rivedendo in parte la sua conclusione in Bowling Alone sull’impatto della televisione, Putnam vede negli anni ’60 il cardine del cambiamento: una decade iniziata all’insegna della speranza, con l’arrivo della generazione del baby boom e la crescita economica, e conclusasi nel segno della rabbia. Sono gli anni dell’uccisione di JFK, delle proteste perla guerra del Vietnam, dei moti razziali nelle città, dell’uccisione di Martin Luther King, e poi la stagflazione, la messa in discussione senza precedenti del valore della famiglia e dei valori tradizionali, lo scandalo Watergate.
Ma non furono solo singoli eventi, per quanto tragici: fu una vera e propria rivoluzione culturale e di costumi in cui l’America fu cambiata radicalmente nei valori e nei modi di vita, e nelle relazioni sociali e politiche. Dalla musica, alla moda, dalla rivoluzione sessuale, all’aumento della criminalità. Una rivoluzione tanto inattesa quanto rapida e piena di conseguenze, che ha determinato secondo Putnam il declino del Capitale Sociale e della comunità civica negli Stati Uniti.
Un declino che mostra ancora i suoi effetti a lungo termine su una società e una politica americana sempre più frammentate, individualiste e polarizzate, di cui il fenomeno Donald Trump e gli eventi del 6 gennaio 2021 sono una conseguenza e non una causa. Un’America con profonde cesure non solo di classe o di etnia ma anche geografiche, in cui le due coste del continente, ricche e democratiche (cosiddette Blu) si contrappongono all’America continentale repubblicana più conservatrice (Rossa), due mondi che, come dice Charles Murray, un attento osservatore della realtà americana, ormai non sanno più molto l’uno dell’altro.
E’ dunque questo il futuro che si prospetta per gli Stati Uniti? In un webinar sul suo libro “The Upswing”, Putnam ha concluso il proprio discorso dicendosi ottimista per il futuro del Capitale Sociale e degli Stati Uniti, e della capacità dei giovani di ritrovare lo spirito dei primi del Novecento.
Un risveglio americano che potrebbe contagiare anche l’Europa, in un rinnovamento di un Occidente apparentemente stanco e svogliato, ma che ha ancora un ruolo chiave nei destini del mondo.
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