Germania e Italia: una Turchia non basta
Sembra strano che a Torino, al dialogo di alto livello fra Germania e Italia, si sia discusso molto di Turchia. Ma strano non è. L’accordo con Ankara, gestito in prima persona da Angela Merkel, è il modo in cui la Germania ha cercato di moderare l’impatto della crisi dei rifugiati, la crisi più grave dal 1945 in poi.
Per tutta una fase iniziale, Berlino ha tentato di costruire una risposta “interna” all’Europa, appoggiando prima il sistema delle quote (con una revisione di fatto dell’Accordo di Dublino, revisione a cui Germania e Italia restano favorevoli). E poi dichiarando – con una scelta unilaterale duramente contestata da paesi come l’Ungheria e la Polonia – di volere aprire comunque le porte tedesche ai rifugiati siriani.
Quando ha constatato il parziale fallimento di entrambe queste scelte politiche e quando ne ha visti i costi domestici, la Cancelliera tedesca ha cambiato strategia. Ha puntato a “esternalizzare” il problema, individuando nella Turchia una sorta di “buffer State“, uno Stato cuscinetto, che può assorbire e filtrare l’impatto dei rifugiati siriani. È una politica costosa (i famosi 6 miliardi di euro) ma che, secondo Berlino, sta in qualche modo funzionando. La soluzione Turchia ha evidentemente un prezzo, economico e politico; ma appare, alla prova dei (primi) fatti, come il male minore.
Questo è vero anche dal punto di vista dell’Italia: sui problemi dell’emigrazione, la vicinanza di posizioni, fra Berlino e Roma, è rilevante. Per l’Italia, tuttavia, l’accordo con Ankara – di cui si vedranno nel tempo tenuta e risultati – non è di per sé sufficiente. Combinandosi alla chiusura della rotta balcanica, lascia infatti esposto il nostro paese all’afflusso di rifugiati e migranti economici (per lo più non siriani) sulla rotta mediterranea. Rispetto al 2015, i primi mesi del 2016 vedono già un aumento assai consistente dei flussi verso le coste italiane.
In altri termini: la politica migratoria tedesca, almeno in questa fase, è essenzialmente “Syria-first“, fino a sembrare “Syria only“. L’Italia ha bisogno di aggiungere altri pezzi. Fra cui, probabilmente, la costruzione di un secondo “buffer State” sulle coste mediterranee: vedremo presto se funzionerà la stabilizzazione della Libia e se funzionerà anche a questo fine. Ma la Turchia non è la Libia. E l’Italia rischia di rimanere “schiacciata” fra la frontiera liquida del Mediterraneo e le frontiere sempre più rigide a Nord.
L’Europa è di fronte a crisi multiple e simultanee, analizzate per una volta senza tanti veli retorici nel dialogo italo-tedesco di Torino, concluso dai Presidenti Mattarella e Gauck. Il problema, io credo, è che le ricette per affrontarle non sono coerenti fra loro. Dal punto di vista della Germania, una politica espansiva nella zona euro continua a essere parte del problema, non della soluzione. Ma se si aggiunge una sfida esistenziale come quella migratoria – con il suo carattere strutturale, viste le tendenze demografiche – l’esigenza di flessibilità finanziaria aumenta. E aumenta ancora di più quando la parte tedesca parla giustamente di un Piano economico europeo (una specie di piano Marshall, ha detto Wolfgang Schäuble mesi fa a Davos) per il Mediterraneo e per l’Africa.
La sensazione è che solo considerando l’insieme delle crisi che la interessano – con il loro impatto senza precedenti sulle politiche domestiche – l’Europa riuscirà forse a superare anche la contrapposizione ormai sterile sulla gestione dell’euro. È uno scenario quanto mai ottimistico, nelle condizioni europee di oggi; ma a Torino – e questo mi pare il risultato più importante – questo approccio complessivo ha fatto le sue prime prove.