Formazione e competenze nell’era digitale dell’accelerazione della storia
La cifra del nostro tempo è il cambiamento. Oggi assistiamo a un’accelerazione della storia – per citare lo storico francese Daniel Halévy[1] – che sembra comprimere le trasformazioni economiche e sociali, trainate dal progresso tecnologico e non solo, in uno spazio di tempo sempre più ristretto.
Le trasformazioni attuali, ancora più rapide dopo la pandemia, stanno mettendo in discussione i vecchi paradigmi, a partire dal mondo del lavoro: un cambiamento osservabile sia sotto l’aspetto “valoriale” – ad esempio con i fenomeni della great resignation e del quite quitting – sia dal punto di vista delle competenze, hard e soft, in costante evoluzione specie sotto la spinta della trasformazione digitale.
Il ritmo di questi cambiamenti è talmente elevato che, se dobbiamo ancora mettere a fuoco la vera portata di quelli attuali, appare difficile poter fare previsioni su quelli di domani: ciò che però siamo già in grado di dire è che un bambino che nasce oggi probabilmente farà un lavoro che ancora non esiste[2], e sicuramente avrà a disposizione nuovi strumenti per gestirlo in modo più efficiente.
Il ruolo chiave della formazione avanzata
In questo contesto di grandi trasformazioni ci sono almeno due punti fermi sui quali costruire una solida base per leggere e adattarsi ai cambiamenti futuri, specie nel mondo del lavoro.
Il primo è il ruolo chiave della formazione avanzata, dell’istruzione terziaria come porta d’accesso al lavoro qualificato. Secondo l’edizione del 2022 del rapporto “Education at a Glance” dell’OCSE[3], negli ultimi vent’anni la popolazione laureata tra i 25 e i 34 anni nei Paesi OCSE è quasi raddoppiata, a seguito del grande aumento della domanda di competenze avanzate nel mercato del lavoro.
L’istruzione terziaria si configura come formidabile strumento di sicurezza economica e di opportunità professionali. Durante la pandemia, i più colpiti dalla disoccupazione sono stati coloro che avevano solo un livello di istruzione inferiore alla scuola secondaria superiore, mentre chi possedeva una qualifica terziaria ha vissuto una maggior resilienza. Lo stesso era accaduto con la crisi finanziaria del 2008.
Purtroppo, se guardiamo al caso italiano, la crescita dei laureati non ha seguito quella degli altri. Tra i paesi OCSE, l’Italia è al penultimo posto (davanti alla Colombia) per numero di studenti che completano l’istruzione terziaria, con un valore che è al di sotto del 30%. Questo dato scende ulteriormente se si considera la percentuale di coloro che riescono a ottenere il diploma di laurea triennale entro il tempo previsto: 18,5% per gli uomini, 22,5% per le donne.
Se si considerano i paesi UE, il risultato non cambia: l’Italia è al penultimo posto per tasso di laureati nella fascia tra 25 e 34 anni, seguita solo dalla Romania che però ha un numero maggiore di laureati nelle materie STEM[4].
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In Italia, la scarsa percentuale di laureati si riflette sul numero di NEET (persone che non hanno un impiego né seguono un corso di studi) – per cui secondo i dati Eurostat il nostro Paese ha di nuovo il secondo dato peggiore in Europa dopo la Romania[5] – e sul mismatch lavorativo: secondo i dati di Unioncamere e Anpal in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di commercio G. Tagliacarne, nel 2022 la domanda di personale laureato da parte delle imprese è arrivata a 780mila, ma in quasi un caso su due la ricerca si è rivelata difficile[6].
È così che l’istruzione terziaria emerge come elemento essenziale sia per i singoli individui che per la società, di fronte alle rivoluzionarie trasformazioni a cui stanno dando luogo gli incessanti e inarrestabili progressi della tecnologia.
Se, come rileva l’Aspen Institute Italia[7], il 50% delle aziende già usa l’Intelligenza Artificiale generativa per scrivere codici o gestire il rapporto coi clienti, è molto probabile che nel prossimo futuro l’IA sostituirà molte delle professionalità a basso valore aggiunto, e rimodellerà metodi e dinamiche di quelle a più alto valore.
Un aspetto, questo, che ci porta, al secondo punto chiave per affrontare i cambiamenti del mercato del lavoro: la digitalizzazione.
Il digitale come strumento necessario ed il ruolo del privato
Per svolgere le professioni del futuro sarà imprescindibile il possesso di competenze digitali: queste, secondo una recente indagine[8], nel 2022 le competenze digitali di base richieste per 6 assunzioni su 10, con una specifica esigenza per quanto riguarda la capacità di utilizzo di linguaggi e metodi matematici e informatici.
Con 5,16 miliardi di persone in rete nel mondo, pari al 64,4% della popolazione mondiale[9], è ormai essenziale padroneggiare e sfruttare i nuovi linguaggi, le nuove regole e i rinnovati meccanismi di interazione che ne derivano. Il mondo dell’istruzione, inclusa e a maggior ragione la formazione avanzata, non fa eccezione.
La dimensione digitale costituisce oggi un imperativo, al fine di dotare gli studenti – nativi digitali per cui semmai è innaturale il contrario – delle competenze necessarie per agire in un contesto lavorativo tecnologicamente sempre più complesso.
Cito tra molti altri l’esempio del marketing, che ora richiede skill prettamente tecnologiche, specie di gestione e analisi dei dati.
È dunque necessario che, per rispondere alla transizione digitale delle professioni, la formazione avanzata, da un lato, adegui i corsi di laurea e post-lauream alle richieste del mercato del lavoro odierno, per lo sviluppo di solide basi nel coding, nella comunicazione digitale, nella sicurezza online, nel settore fintech ecc.
Ma digitalizzazione significa anche usare il digitale come strumento per la formazione avanzata degli studenti.
Un percorso di studi digitale rappresenta un acceleratore e moltiplicatore di apprendimento delle hard e soft skill, oltre che un formidabile mezzo di democratizzazione dell’accesso alla formazione avanzata dati i risparmi che consente a studenti e famiglie.
E la formazione avanzata non deve essere considerata più un periodo della vita. La formazione deve essere continua non solo per gli studenti, ma anche per dipendenti, professionisti, o chi cerca nuove esperienze, attraverso processi di upskilling e reskilling necessari in un mercato del lavoro che cambia ormai rapidamente e continuamente.
In questo percorso verso la formazione avanzata digitale, come in altri ambiti innovativi, oggi il privato può e deve svolgere un ruolo chiave. In generale, come è stato di recente ricordato[10] citando l’esempio dell’apertura della NASA ai privati nelle esplorazioni spaziali e le relative collaborazioni, le innovazioni spesso giungono da imprese in grado di immaginare e costruire il futuro.
L’imprenditore è mosso da un interesse economico, ma ciò aiuta ad accelerare rivoluzioni come quella del digitale, o – nel caso dell’Italia – a non lasciarsele sfuggire.
Questo articolo è una versione dell’intervento dell’autore alla XV Conferenza dei Talenti Italiani all’Estero dell’Aspen Institute Italia – Roma, 2-3 luglio 2023
Note:
[1] D. Halévy, L’accelerazione della storia, Oaks, 2019.
[2] World Economic Forum, The Future of Jobs, 2016.
[3] OCSE, Education at a Glance, marzo 2022.
[4] Eurostat, Tertiary Education Attainment 2022, maggio 2023.
[5] Eurostat, Statistics on young people neither in employment nor in education or training 2022, maggio 2023.
[6] Si veda: Unioncamere – Anpal, Bollettino annuale 2022 del Sistema informativo Excelsior, 2023. Per il solo 2022 Unioncamere ha stimato una perdita di valore aggiunto, causata dal mismatch tra domanda e offerta di lavoro, pari a circa 38 miliardi di euro. Si veda: Unioncamere-Anpal, Previsione dei fabbisogni occupazionali e professionali in Italia a medio termine (2023-2027), 2023.
[7] Aspen Institute Italia, Rapporto 2023 Rispondere alle esigenze globali: nuovi lavori, nuova formazione, luglio 2023.
[8] Unioncamere – Anpal, Le competenze digitali. Analisi della domanda di competenze digitali nelle imprese, Indagine 2022, 2023.
[9] Si veda: DataReportal – Meltwater – We Are Social, Digital 2023 Global Overview Report.
[10] Cfr.: C.U. Cortoni, D. Dattoli, Sapere è potere, Rizzoli, 2023, p. 54 ss.