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Finanziamenti, competenze e interesse nazionale: i pilastri del Made in Italy spaziale del 2023

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Il settore spazio italiano si presenta al 2023 con molte promesse e alcune criticità. Sicuramente uno degli aspetti più positivi del Made in Italy spaziale è la consapevolezza dei decisori politici nel considerare questo settore come fondamentale per lo sviluppo economico e sociale del Paese, tale da elaborare – faticosamente e non senza contraddizioni – una strategia nazionale. La riprova è la quantità e la continuità nei finanziamenti istituzionali che negli ultimissimi anni hanno attraversato governi e appartenenze politiche.

La sequenza è impressionante: a partire dallo stanziamento per attività spaziali di 2,3 miliardi di euro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del governo Conte 2; passando per l’approvazione del Piano Triennale di Attività 2022-2024 di circa 1,8 miliardi dell’Agenzia Spaziale Italiana con l’aggiunta di 800 milioni del fondo complementare durante il governo Draghi; fino alla poderosa contribuzione italiana di 3,1 miliardi al vertice ministeriale dell’ESA tenutosi a Parigi a fine novembre da parte del governo Meloni. Con i 400 milioni l’anno per la componente spaziale del Ministero della Difesa, complessivamente il sistema spaziale italiano beneficerà di quasi 10 miliardi nei prossimi 4/5 anni, una cifra doppia se la confrontiamo con i finanziamenti governativi precedenti.

 

L‘Italia nel contesto europeo e globale

Il posizionamento italiano è tanto più forte se pensiamo al confronto con i nostri più importanti partner europei, Francia e Germania. Al vertice ministeriale dell’ESA di novembre l’Italia ha confermato la sua terza posizione come finanziatore, ma con un peso sempre più rilevante, determinato dal fatto che ormai la dividono solo poco più di 100 milioni di euro dal contributo francese di 3,2 miliardi, mentre la ricca Germania continua a guidare con 3,5 miliardi. Si è trattato di un passaggio importantissimo nel momento in cui l’Europa dello spazio rilancia. Il budget di 16,9 miliardi di euro approvato dall’ESA per il periodo 2023-2027 è infatti aumentato del 17% rispetto ai 14,5 miliardi stanziati nel precedente vertice del 2019.

Laddove la maggioranza dei 22 Paesi membri dell’Agenzia Spaziale Europea ha sostanzialmente confermato il suo impegno precedente, alcuni Paesi importanti lo hanno diminuito (la Germania del 2% e il Regno Unito dello 0,2%), e solo sette hanno leggermente aumentato la sottoscrizione, mentre l’Italia è salita di ben il 2,5%. Una decisione coraggiosa in un momento difficile, segnato dalla guerra in Ucraina, dalla crisi energetica e dall’inflazione. Un numero non abbastanza evidenziato è il rapporto tra l’incremento totale di 2,4 miliardi di euro del budget ESA tra la ministeriale del 2019 e quella del 2022 e l’aumento – sempre tra i due vertici – di 800 milioni del contributo italiano, un rapporto che mostra come il nostro Paese copra da solo più di un terzo della crescita della dotazione dell’Agenzia Spaziale Europea. E’ il motivo per cui l’Italia da terza passa a prima nelle sottoscrizioni opzionali, che a differenza di quelle obbligatorie non sono in relazione al PIL e che concorrono maggiormente a delineare la strategia spaziale dei singoli Paesi.

 

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Per tutti gli operatori del settore – dall’industria ai fondi d’investimento, dal mondo della ricerca alla difesa – questi stanziamenti rappresentano il segnale importante di dove sta andando l’Italia, ossia la valorizzazione e la competitività del Made in Italy spaziale. Ma i soldi – parafrasando Enrico Cuccia, uno dei più importanti banchieri italiani del ‘900 – oltre ad essere contati vanno pesati, nel senso che la spesa di denaro pubblico deve corrispondere al raggiungimento di una strategia nazionale. Scorrendo il bilancio finale[1] del vertice ministeriale dell’ESA sembra proprio che i negoziatori italiani abbiano investito con criterio, da una parte per rafforzare i settori a leadership nazionale consolidata, dall’altra per far crescere il sistema spaziale italiano in quelle tecnologie e applicazioni che sono strategiche dal punto di vista economico e della sicurezza. Tra queste ultime, da citare i 47,5 milioni di euro per l’ESA Programme Related to EU Secure Connectivity, il programma dell’Unione Europea per le comunicazioni sicure sul quale è stato recentemente raggiunto un accordo tra Parlamento Europeo e Consiglio per un budget previsionale di 2,4 miliardi di euro. Quello italiano è il terzo contributo dopo i 179 milioni della Germania e i 287 della Francia – quest’ultima  punta molto su questo settore, sia per la tradizionale expertise dell’industria sia per il ruolo primario di Parigi nella (tuttora lontanissima) costruzione della difesa comune europea. Non a caso Bruno le Maire, Ministro dell’Economia francese e responsabile spazio, durante la conferenza stampa conclusiva del vertice di Parigi ha parlato della “necessità dell’indipendenza europea nelle comunicazioni satellitari come elemento strategico”, facendo un riferimento esplicito alla guerra in Ucraina.

Tra gli altri investimenti opzionali strategici definiti dalla delegazione italiana a Parigi: 41 milioni sul dimostratore di un ultimo stadio riutilizzabile nell’ambito del programma Future Launchers Preparatory Programme, il futuro del trasporto spaziale; 50 milioni per Leo Pnt e Genesis, programmi per la navigazione molto importanti in ottica sia di space economy che di know-how di medie aziende italiane; 75 milioni per Moonlight, il programma per la realizzazione di servizi e infrastrutture di comunicazione e navigazione lunari e tra Luna e Terra, si tratta di un ruolo rilevante dell’industria e della ricerca italiana in vista delle future missioni sul satellite terrestre e, possibilmente, dello sviluppo della lunar economy; 65 milioni per Aeolus, la prima missione satellitare che avrà l’obiettivo di acquisire i profili del vento terrestre su scala globale, utili a migliorare le previsioni meteorologiche ei modelli climatici.

Veniamo ora al nucleo dell’investimento italiano che consentirà la leadership del nostro campione nazionale, Leonardo, e delle sue partecipate con i francesi del gruppo Thales, Thales Alenia Space Italia e Telespazio. Qui, giustamente, arrivano cifre forti, come i 719 milioni per l’esplorazione (conferma di Exomars, programma di esplorazione marziana a guida italiana rinviato a causa della guerra in Ucraina), i 419 per l’osservazione della Terra, tradizionale eccellenza nazionale (a Frascati c’è il relativo direttorato dell’ESA guidato dall’Italiana Simonetta Cheli), e infine i 711 per i lanciatori. Questo è però il capitolo più sensibile. Specialmente dopo la perdita a dicembre della missione VV22 del Vega C, il lanciatore europeo di piccola/media taglia prodotto in Italia dalla Avio Un fatto che non cambia le buone prospettive complessive dello spazio Made in Italy, però le complica. Vediamo meglio questo quadro complesso, soprattutto in chiave politica.

 

Le criticità, tra partnership e competizione

Alla ministeriale ESA, il trasporto spaziale, con 2,8 miliardi di euro, è stato il secondo settore per finanziamenti ma certamente il più strategico poiché garantisce l’accesso allo spazio, uno dei pilastri delle strategie spaziali dell’Unione Europa e degli altri grandi player, come Stati Uniti, Cina, Russia, Giappone e India. Ma attenzione, la durissima concorrenza sui lanciatori non è solo quella geopolitica – a causa delle evidenti implicazioni di politica estera e di difesa – perchè vede in campo anche gli interessi non sempre coincidenti dei tre Stati più importanti all’interno della stessa Agenzia Spaziale Europea (ESA), ossia Germania, Francia e Italia. È infatti probabile che l’incidente del Vega C venga utilizzato – anche se non esplicitamente – dai partner per provare a indebolire la posizione italiana.

La concorrenza dei lanciatori riutilizzabili statunitensi di SpaceX ha fatto saltare i conti di Ariane Group (joint venture di Airbus e Safran) che produce i lanciatori europei di grossa taglia – con la conseguenza che il nuovo Ariane 6 è in grave ritardo – determinando un quadro commerciale dove il Vega C, molto competitivo, aveva conquistato una sua centralità nella strategia europea. Il Vega è anche motivo di confronti molto “schietti” a causa della volontà tedesca di rientrare nel settore dei lanciatori di piccola taglia. Una situazione di grande conflittualità che ha determinato in apertura del vertice ministeriale dell’ESA la dichiarazione congiunta sul futuro quadro di sviluppo dei lanciatori europei da parte del Ministro delle Imprese a e del Made in Italy, Adolfo Urso, responsabile dello spazio, e dei suoi omologhi francese e tedesco. La dichiarazione ha prevenuto ulteriori scontri nel corso del vertice mettendo un punto fermo: se si investono fondi pubblici – come sono quelli dell’ESA – e l’Italia spende il 50% per i lanciatori, l’Italia deve rientrare del 50%.

È il principio del “geo-ritorno” su cui si fonda il meccanismo dei finanziamenti in ESA e che i francesi, ora, vorrebbero “affievolire” a favore dei finanziamenti di Ariane considerata la parte più importante della famiglia dei lanciatori europei. Lo scorso anno, a complicare le cose, c’era anche stata la decisione del colosso franco-tedesco Ariane Group di sviluppare Maya, un piccolo lanciatore riutilizzabile e quindi una minaccia per il segmento di mercato del Vega. Il governo Draghi aveva reagito duramente dando un chiaro avvertimento a Parigi: il Vega non si tocca. Insomma, anche nelle partnership c’è un interesse nazionale da proteggere e – ovviamente – equilibrare con quello dei partner.

Anche per questo motivo sarà necessario che il governo segua attentamente il lavoro della commissione indipendente per indagare sul fallimento del lancio del Vega istituita da Arianespace e Agenzia Spaziale Europea. Ci vorrà infatti tempo prima di capire che cosa sia accaduto al di là dei primi dati che la stessa Avio ha reso noto. La letteratura sulla fallibilità dei lanciatori rileva, infatti, che i sottosistemi più critici sono la propulsione, i sistemi di separazione e il sistema di controllo della traiettoria e dell’assetto. Questi tre sottosistemi da soli rappresentano il 90% dei fallimenti di lancio, con un 54% corrispondente al sistema di propulsione.

Di sicuro, come nell’ingegneria aeronautica, anche in quella spaziale la sicurezza e l’affidabilità si ottengono imparando dagli errori fatti e dalle indagini accuratissime che seguono. Lo stop della prima missione commerciale del Vega non è ancora quantificabile dal punto di vista economico, ma certamente peserà sull’andamento azionario, potrebbe ritardare i prossimi lanci e portare a un rallentamento della produzione e delle attività di sviluppo e ricerca.

Intanto il ministro Adolfo Urso è intervenuto per ribadire la fiducia nell’azienda che ha il suo quartier generale a Colleferro nei pressi di Roma. Un intervento che ha sottolineato la strategicità dell’impegno dell’Italia nella famiglia dei lanciatori europei e nella Avio, evitando di conseguenza che il titolo scendesse ulteriormente dopo la normale contrazione di circa il 9,5%, che aveva fatto registrare alla Borsa di Milano il 21 dicembre. È chiaro che i conti dell’azienda di Colleferro tenendo anche conto dell’architettura sinergica tra Ariane 6 e Vega C devono essere rifatti.  Ma siamo solo all’inizio di un tavolo di trattativa che sarà certamente difficile, faticoso e rischioso. Per capire la criticità e le implicazioni di questo dossier è interessante la lettura di un articolo comparso su Bloomberg[2] circa due settimane prima della ministeriale in cui si spiegava come la Germania sia pronta a sostenere lo sviluppo di una nuova generazione di lanciatori spaziali riutilizzabili, Ariane 7, in grado di competere con SpaceX. Ariane 7 potrebbe anche consentire il volo spaziale umano, cosa di cui l’ESA è sprovvista. La provvida dichiarazione di Urso e dei suoi colleghi francese e tedesco ha fatto sì che Ariane 7 non fosse oggetto della ministeriale. Per ora. Ma in futuro?

 

Priorità strategiche (non) convergenti

Ariane 7 potrebbe essere il punto di caduta delle tensioni nelle relazioni industriali tra Francia e Germania sui progetti di difesa, come quando recentemente Berlino aveva inferto un duro colpo a Parigi accettando di costruire uno scudo di difesa missilistica con altri membri dell’alleanza NATO. Queste tensioni si sono riversate nel settore spaziale, con la Germania che sottolinea la necessità che le società private costruiscano i propri lanciatori per rafforzare la concorrenza mentre la Francia spinge per una soluzione comune dell’UE. La “riflessione” sui lanciatori è aperta e dovrà essere presa una decisione entro la fine del 2023. Su questo dossier, più degli altri, l’Italia deve valutare quali siano le sue priorità strategiche, di politica estera, di politica comunitaria e industriali. Sui lanciatori si profila una valutazione di altissimo livello che dovrà per forza di cose considerare altri dossier industriali italo-francesi (non necessariamente spaziali) visto che per Parigi i lanciatori sono un settore su cui hanno investito cifre impressionanti e parte del loro prestigio nazionale. È certo che una volta che il governo italiano terminerà la mappa della sua strategia potrà affinare ancora meglio la scelta dei programmi sui quali investire nella prossima ministeriale dell’ESA del 2025.

I grandi investimenti spaziali italiani hanno risuonato con forza a Parigi, a Berlino e in ESA, dove l’Italia fa fatica a farsi sistema rispetto ai nostri partner. “La Francia ha una strategia nazionale da cui non deroga mai, mentre i tedeschi con il peso e i particolarismi dei lander hanno un meccanismo decisionale veramente complicato”, spiega infatti un dirigente del settore a contatto continuo con i nostri partner europei. La cosa interessante – aggiunge – è che il politico italiano che arriva ad avere responsabilità spaziali è da una parte svantaggiato a causa della mancanza di una strategia nazionale coerente, ma ha anche il vantaggio di avere a disposizione molta più flessibilità decisionale rispetto ai francesi e ai tedeschi.

Fatto sta che Berlino e Parigi da un’iniziale nervosismo sono passate ad “un’affettuosa offerta di aiuto”, spiega ironicamente un dirigente italiano dell’Agenzia Spaziale Europea, preoccupato che a fronte di una insufficienza del nostro sistema spaziale – non qualitativa ma numerica – nelle competenze utili per gestire questa massa di denaro, anche altri Stati vogliano partecipare in maniera surrettizia di tutta questa ricchezza. Il timore che la messa a terra di questi soldi sia difficile è chiaro sia all’industria che agli investitori privati. Come spiega un fondo, “È ovvio che i campioni nazionali prendano il 90% di questi investimenti; quello che manca sono gli strumenti dedicati alle startup per far crescere di più e più velocemente le piccole e medie imprese del settore”. Si tratta di un elemento importantissimo ai fini della crescita del sistema spaziale commerciale, basti pensare a quello che è stato fatto negli Stati Uniti grazie ai campioni della nuova space economy che hanno beneficiato di scelte strategiche della NASA e quindi di importanti fondi governativi. Oggi gli asset commerciali statunitensi fanno assolutamente parte degli asset strategici come dimostrato dalla guerra in Ucraina.

 

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E qui si arriva ad un tema molto attuale e delicato, quello della governance del sistema spaziale italiano. Al netto dell’urgenza e delle regole, l’affidamento all’ESA di una quota rilevante dei fondi spaziali del PNRR è stata la dichiarazione di consapevolezza da parte del precedente governo che l’agenzia nazionale istituzionalmente preposta alla gestione dei programmi, l’ASI, non è in grado di far fronte a quella montagna di investimenti. Una situazione che non rispecchia il valore della nostra filiera spaziale ed è avvilente dal punto di vista dell’interesse e dell’orgoglio nazionale al punto che il sistema politico-istituzionale sembra muoversi verso la necessità di una ridefinizione della governance. In questo contesto vale la pena di ricordare un altro segnale positivo, ossia la conferma di Elena Grifoni Winters – a lungo all’ESA in posizioni rilevanti – come responsabile dell’Ufficio per le politiche spaziali e aerospaziali di Palazzo Chigi, nomina che era stata fatta dal governo Draghi in uscita. Con questa decisione il governo Meloni ha codificato la primazia della competenza sull’appartenenza in un settore cruciale e dai risvolti di politica estera e di sicurezza particolarmente sensibili.

Complessivamente, il 2023 si apre con una congiuntura propizia per lo spazio italiano, ma resta da confermare con altri fatti la volontà politica di dare al settore il giusto rilievo nelle strategie nazionali. Come chiosa un importante dirigente industriale, è molto semplice: “abbiamo investito molti soldi, abbiamo le competenze, c’è la volontà politica, se teniamo insieme questi tre elementi possiamo puntare su traguardi di altissimo livello”.

 

 


Note:

[1] ESA/C-M (2022)100, rev.7 Paris, 28 November 2022

[2] https://www.bloomberg.com/news/articles/2022-11-21/berlin-ready-to-back-french-bid-to-outflank-musk-with-new-rocket?leadSource=uverify%20wall

[3] https://aspeniaonline.it/il-cielo-sopra-kiev-e-la-nuova-era-dellintelligence-geo-spaziale-commerciale/