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Come gli interessi strategici cinesi dettano gli investimenti in Africa – seppure in calo

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Wang Yi, il ministro degli Esteri cinese, ha annunciato che Pechino avrebbe condonato il debito accumulato da diciassette Stati africani per ventitré prestiti senza interessi, i cui termini erano scaduti nel 2021. Sebbene l’annuncio sia stato dato con grande fanfara (lo scorso agosto), la pratica è tutt’altro che inedita per la Cina: dal 2000 al 2019 il gigante asiatico ha perdonato insoluti agli Stati africani per un valore di 3,4 miliardi di dollari[1], a cui si sono aggiunti altri 113 milioni nel 2020.

Il risalto comunicativo dato dal governo cinese in quest’occasione è dovuto alla controffensiva di pubbliche relazioni che sta conducendo contro l’accusa, da parte occidentale, di spingere deliberatamente Paesi in via di sviluppo nella tanto chiacchierata “trappola del debito”. Imputazione mossa con forza soprattutto dopo il collasso economico dello Sri Lanka dello scorso agosto, di cui Pechino è stata additata come responsabile al fine di impadronirsi delle strutture strategiche del Paese.

 

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La questione è in realtà più complessa e ricca di sfumature: gli investimenti oltremare della Cina sono strumenti nel confronto geopolitico per la supremazia globale. I crediti vantati usati come leva sono quindi solo una di diverse funzioni a cui risponde il massiccio flusso di denaro riversato all’estero, e questo vale anche per l’Africa.

Scarico di una nave cargo cinese nel porto di Mombasa, in Kenya — Oltre agli investimenti, la Cina è diventata il principale partner commerciale dell’Africa, con un volume di scambi che ha raggiunto i 254 miliardi nel 2021. Il continente però rappresenta per Pechino solo il 4% dell’interscambio commerciale globale. (©Xinhua)

 

Valutare l’esatta portata dell’indebitamento africano verso la Cina è innanzitutto difficile, perché il processo è caratterizzato da seri problemi di trasparenza. Il National Bureau of Economic Research statunitense nel 2019 ha stimato che metà dei prestiti esteri elargiti da Pechino a livello globale ricadano nella categoria del “debito nascosto”[2], ossia non segnalato alle istituzioni finanziarie internazionali per via di stringenti clausole di riservatezza inserite nei contratti, che ne impediscono anche eventuali future rinegoziazioni in contesti multilaterali. Esemplare a questo riguardo è il caso dello Zambia, uno dei principali contraenti di prestiti cinesi in Africa: nel 2021 uno studio ha rivelato come l’indebitamento del Paese verso Pechino ammontasse a 6,6 miliardi di dollari, il doppio di quanto pubblicamente dichiarato dal governo uscente di Edgar Lungu[3].

I dati ufficiali raccontano che tra il 2000 e il 2019 creditori cinesi, pubblici e privati, hanno prestato 153 miliardi di dollari a governi africani e ad aziende pubbliche[4]. Guardando alla totalità dell’Africa, Pechino oggi non risulterebbe il primo responsabile del debito estero degli Stati del continente, con il think tank Debt Justice che ad esempio stima una quota del 12% contro il 30% in mano a privati non cinesi[5]. Concentrando lo sguardo sulla sola porzione subsahariana, tuttavia, la percentuale salirebbe al 62,1%[6], ed è significativo rilevare come il debito estero di questa parte dell’Africa sia cresciuto del 43% solo tra il 2016 e il 2020[7].

Non risulta a oggi che il governo cinese si sia mai ufficialmente impossessato di asset dei governi africani per recuperare debiti non saldati, mentre è vero che si registra un irrigidimento della tolleranza per gli insoluti, anche perché i finanziamenti sono solitamente erogati in dollari e le fluttuazioni del valore della valuta statunitense, su cui Pechino non ha controllo, possono causare perdite significative[8]. La forza della Cina è piuttosto quella di aver concentrato i propri investimenti africani in modo mirato, massimizzandone l’efficacia rispetto ai propri interessi strategici.

Il presidente dell’Angola João Lourenço col suo omologo cinese Xi Jinping — Il paese è il principale beneficiario in Africa dei prestiti cinesi, che ammontano a circa il 40% del suo debito estero. È il quinto fornitore di greggio di Pechino e ospita più di 20.000 lavoratori cinesi. (©Andy Wong / Getty Images)

 

In primo luogo, il governo cinese si è assicurato di ritagliarsi il ruolo primario alla fonte del processo: oltre tre quarti delle erogazioni sono state elargite finora da due banche a controllo statale, la Export-Import Bank of China, che da sola ne ha fornite oltre metà, e la China Development Bank[9]. Un ristretto numero di nazioni africane è inoltre il recipiente della netta maggioranza del denaro cinese: si tratta dell’Angola, che da sola ammonta al 29% del totale continentale, Zambia, Etiopia, Kenya e Nigeria[10]. Infine, e soprattutto, gli investimenti cinesi si concentrano in pochi settori ma di fondamentale importanza da controllare per una nazione che aspira a stabilire un nuovo ordine mondiale con se stessa in testa. Nel 2020, il 29% dei prestiti cinesi in Africa è andato ai trasporti, il 25% al settore energetico, l’11% al settore estrattivo e l’8% alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione[11].

Alcuni casi consentono di cogliere in modo evidente le implicazioni strategiche di questa massiccia penetrazione economica. Per quanto riguarda il trasporto marittimo, oggi sono 46 i porti in Africa che sono stati costruiti, finanziati o sono gestititi da compagnie statali cinesi[12]. Tranne uno, tutti sono a dichiarato uso civile, ma è ben nota la strategia di Pechino di far realizzare intenzionalmente le infrastrutture portuali commerciali all’estero secondo specifiche che consentono di utilizzarle con una doppia funzione militare all’occorrenza.

È già avvenuto in Gibuti, lo strategico staterello del Corno d’Africa posizionato all’imboccatura meridionale del Mar Rosso (dopo peraltro sono già presenti le forze armate americane, britanniche, francesi, tedesche, spagnole, italiane e saudite). Nel 2017, dopo appena due anni di lavori, la Cina ha inaugurato quello che avrebbe dovuto essere il porto multifunzionale di Doraleh ma che è prontamente divenuta la prima base ufficiale della Marina militare cinese al di fuori delle acque territoriali di Pechino. Il prossimo candidato per una mossa analoga parrebbe la Guinea Equatoriale, sulla costa atlantica del continente, come ha sostenuto allarmato anche il generale Stephen J. Townsend, comandante dello U.S. Africa Command[13]. Nel 2019 è stato infatti inaugurato nel paese lo scalo commerciale di Bata, realizzato da società cinesi: si tratta di porto di acque profonde, situato vicino a uno scalo aereo cargo, due caratteristiche che lo rendono ideale per una riconversione a uso militare.

Fanti della Marina dell’Esercito Popolare di Liberazione Cinese della durante una parata in Gibuti — Oltre ai soldati di stanza nella base situata nel paese, in Africa operano anche circa 2.100 peacekeeper cinesi sotto l’egida delle Nazioni Unite, di cui la metà stanziati in Sudan del Sud. (©US Air National Guard)

 

In ambito minerario, è nella corsa alle terre rare che la Cina rivela ancora una volta la sua profondità di visione. Il mercato dei veicoli elettrici nel 2021 ha visto la vendita di 6,8 milioni di unità, di cui il 51% nel gigante asiatico[14], e l’80% della produzione delle necessarie batterie è in mani cinesi[15]. Questi dispositivi di accumulo sono prodotti utilizzando litio e cobalto, due “terre rare” di cui, di conseguenza, i prezzi sono in costante rialzo.

Lo Zimbabwe detiene i maggiori giacimenti del continente di litio e le imprese cinesi nel corso dell’ultimo anno hanno messo a segno una serie di acquisizioni, da centinaia di milioni di dollari l’una, di quote di maggioranza del capitale sociale di compagnie minerarie che detengono concessioni per le miniere del prezioso minerale nel Paese. La Zhejiang Huayou Cobalt, del miliardario Chen Xuehua, ha inoltre annunciato investimenti per 300 milioni di dollari per potenziare le operazioni nella miniera Arcadia, nelle vicinanze della capitale Harare[16]. Per quanto riguarda invece il cobalto, metà delle riserve mondiali si trovano nella Repubblica Democratica del Congo, dove quindici delle diciassette miniere attive sono nelle mani di aziende cinesi[17], sebbene a febbraio scorso un tribunale congolese abbia formalmente rimosso il controllo della miniera di Tenke Fungurume dalle mani della China Molybdenum per assegnarlo al governo.

 

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Il settore delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, comunemente noto come ICT, delinea infine l’importanza del ruolo dei prestiti pubblici cinesi nel permettere alle aziende nazionali di conquistare rapidamente la supremazia di mercato nei Paesi in via di sviluppo. Huawei, il colosso cinese della telefonia, è sbarcato in Africa nel 1998 e oggi opera in quaranta paesi del continente. Un successo costruito anche grazie a prestiti per 6 miliardi di dollari contratti con le banche statali di Pechino da ben ventinove governi africani nel corso degli ultimi vent’anni e impiegati proprio per finanziare progetti dell’azienda[18].

Dipendenti africani e un supervisore cinese del Zhongyuan Petroleum Exploration Bureau — Nelle imprese cinesi in Africa, nove lavoratori su dieci in media sono locali, ma per i ruoli dirigenziali la percentuale scende a quattro. (©D.R.)

 

La riduzione degli investimenti cinesi triennali in Africa, da 60 a 40 miliardi di dollari, annunciata dal presidente Xi all’ottava edizione del Forum sulla cooperazione Cina-Africa (FOCAC) a novembre 2021, non dovrebbe quindi essere letta come un segno di un interesse declinante verso il continente da parte di Pechino. In primo luogo, perché la decisione è allineata con il più generale calo globale degli investimenti della Cina all’estero cominciato nel 2016, dopo il picco per il lancio della Belt and Road Initiative, e ulteriormente influenzato dalle ricadute economiche negative della pandemia da COVID-19 negli ultimi tre anni. In secondo luogo, perché indica piuttosto che Pechino, ora che ha saldamente piazzato il piede in terra africana e consolidato la propria presa sul continente, non avverte più la necessità di spendere così tanto per ottenere i risultati che desidera.

Piuttosto, la Cina ora deve concentrarsi su una nuova e più complessa fase dello sviluppo della propria presenza in Africa, che riguarda i rapporti con i governi e con le popolazioni del continente. Nel continente oggi vivono un milione di immigrati cinesi, inclusi 260.000 lavoratori espatriati, e operano più di 10.000 imprese cinesi[19]. Tra chi vive in Africa c’è ancora una visione positiva della Cina, anche in virtù dell’assenza di un passato coloniale e della strategia di non interferenza negli affari politici interni messa in campo da Pechino. Ad esempio, un sondaggio Afrobarometer del 2021 ha rilevato che il 63% del campione considerava positiva l’influenza economica della Cina sul proprio Paese[20].

Tuttavia, questo dato è messo alla prova da un crescente numero di episodi negativi che vedono imprese e cittadini come perpetratori: devastazioni ambientali, sovrasfruttamento delle risorse naturali, corruzione di pubblici ufficiali, maltrattamento e sfruttamento dei lavoratori e persino atteggiamenti razzisti e xenofobi. Dopo aver conquistato la terra, ora la Cina deve vincere anche i cuori e le menti dell’Africa.

 

 


Note:

[1] Debt Relief with Chinese Characteristics, Acker, D. Brautigam e Y. Huang, Working Paper No. 2020/39. China Africa Research Initiative, School of Advanced International Studies, Johns Hopkins University, giugno 2020

[2] China’s Overseas Lending, S. Horn, C. M. Reinhart e C. Trebesch, NBER Working Paper No. 26050, maggio 2020

[3] How Zambia and China Co-Created a Debt ‘Tragedy of the Commons, D. Brautigam, Working Paper No. 2021/51. China Africa Research Initiative, School of Advanced International Studies, Johns Hopkins University, settembre 2021

[4] China in Africa: An Examination of the Impact of China’s Loans on Growth in Selected African States, C. Mlambo, Economies 10: 154, 27 giugno 2022

[5] The growing debt crisis in lower income countries and cuts in public spending, Debt Justice, luglio 20222

[6] China’s Position Among Lenders in Sub-Saharan Africa, L. Bertrand e S. Zoghely, TrésorEconomics No. 292, Direction générale du Trésor, novembre 2021

[7] International Debt Statistics 2022, World Bank, 2022

[8] Politics by Default: China and the Global Governance of African Debt, N. Lippolis and H. Verhoeven, Survival, 2022

[9] L. Bertrand e S. Zoghely. 2021

[10] How Chinese Loans to Africa Changed During the COVID-19 Pandemic, M. Oyintarelado e H. Jyhjong, Bu.edu, 25 aprile 2022

https://www.bu.edu/gdp/2022/04/25/how-chinese-loans-to-africa-changed-during-the-covid-19-pandemic/

[11] Ibid.

[12] Assessing the Risks of Chinese Investments in Sub-Saharan African Ports, J. Devermont, A. Cheatham e C. Chiang, Center for Strategic and International Studies, giugno 2019

[13] General Says China Is Seeking a Naval Base in West Africa, D.Vergun, defense.gov, 17 marzo 2022

https://www.defense.gov/News/News-Stories/Article/Article/2969935/general-says-china-is-seeking-a-naval-base-in-west-africa/

[14] Visualizing 10 Years of Global EV Sales, G. Bhutada, visualcapitalist.com, 8 agosto 2022 https://www.visualcapitalist.com/visualizing-10-years-of-global-ev-sales-by-country/

[15] How China Beat the US in Electric Vehicle Manufacturing, J. D. Graham, K. B. Belton e S. Xia, Issues in Science and Technology Winter 2021, 2021

[16] Chinese Mining Billionaire To Invest $300 Million In Zimbabwe Lithium Project, G. Haraito, Forbes.com, 30 maggio 2022 https://www.forbes.com/sites/gloriaharaito/2022/05/30/chinese-mining-billionaire-to-invest-300-million-in-zimbabwe-lithium-project/?sh=663505903dd1

[17] How China wrested control of the Congo’s critical minerals, D.Uren, aspistrategist.com, 6 dicembre 2021, https://www.aspistrategist.org.au/how-china-wrested-control-of-the-congos-critical-minerals/

[18] 5 Things U.S. Policymakers Must Understand About China-Africa Relations, J. Link, Americanprogress.org, 5 ottobre 2021, https://www.americanprogress.org/article/5-things-u-s-policymakers-must-understand-china-africa-relations/

[19] Considerations for a Prospective New Chinese Naval Base in Africa, P. Nantulya, Africacenter.org, 12 maggio 2022

https://africacenter.org/spotlight/considerations-prospective-chinese-naval-base-africa/

[20] China has invested deeply in Africa. We checked to see whether that is undermining democracy, Afrobarometer.org, 2 novembre 2021