international analysis and commentary

Chi ha davvero vinto in Iran: i centristi in un sistema complesso

1,188

I titoli della stampa internazionale esultano alla vittoria dei riformisti in Iran, decretandone il successo in tutto il paese ed inneggiando al nuovo corso politico in atto. Dei 290 seggi del Parlamento, tuttavia, essendo ancora in atto lo spoglio, si ha certezza al momento dei 30 vinti dalla Coalizione di Aref a Tehran e dei 19 in provincia, dei 29 di area principalista e conservatrice nelle province, dei 25 conquistati dai candidati indipendenti e di 21 che dovranno andare al ballottaggio in futuro, non avendo superato al barriera del 25%. Restano quindi ancora da assegnare ben 166 seggi, ma soprattutto è necessario fare chiarezza sulla collocazione ideologica dei candidati già risultati vincitori.

Il tessuto politico iraniano, come ben noto, è alquanto eterogeneo e conflittuale, con posizioni che spaziano dal riformismo all’ultraconservatorismo, transitando attraverso il pragmatismo, il principalismo, il nazionalismo e le formule indipendenti soprattutto dei candidati periferici. Un insieme articolato, fazionale, litigioso e mutevole , che l’Occidente non riesce sistematicamente ad interpretare, riducendo ancora una volta la dinamica del confronto politico in un mero scontro tra generici“riformisti” e “conservatori”.

La dinamica in atto in Iran è assai più complessa e sofisticata, e il tessuto politico esprime oggi una tale varietà di posizioni da non poter essere semplificato in modo arbitrario – peraltro rilanciando a piene mani praticamente una sola fonte locale, l’Etemad, di area progressista.

Anzitutto, va chiarito il senso delle “liste” elettorali che si sono confrontate per il rinnovo del Parlamento e dell’Assemblea degli Esperti: sono aggregazioni di movimenti e singoli partiti, che si identificano in un candidato principale e che hanno una “geometria variabile” nel corso della loro esistenza, disgregandosi dopo le elezioni e riaggregandosi spesso anche in altra forma una volta insediatesi nel Parlamento.

Su questo sfondo, le elezioni di quest’anno sono state caratterizzate da due fattori di cui è necessario ricordare l’importanza. Il primo riguarda l’enorme numero di candidati squalificati in sede di valutazione da parte del Consiglio dei Guardiani, portando il numero da oltre 12.000 a circa 5.500, con l’esclusione di un gran numero di candidati di area riformista.

Il secondo elemento è invece quello della presenza di alleanze trasversali al sistema politico, che ha favorito la formazione di “liste” alquanto eterogenee ma accomunate dalla comune visione di alcuni temi chiave quali la politica economica, la politica internazionale, ecc. L’esempio più lampante è quello della lista “Coalizione dei Riformisti”, che ha trionfato a Tehran conseguendo 30 seggi su 30 e portando in Parlamento un insieme di candidati di espressione riformista ma anche principalista, come nel caso Motahari.

Non solo. All’interno di alcune “liste” principaliste considerate di opposizione si possono individuare candidati che inneggiano apertamente al sostegno del presidente Rohani, pur restando su posizioni ideologiche e politiche distanti sia dai riformisti che dai pragmatici.

È quindi errato quanto arbitrario semplificare la complessità del contesto politico iraniano riducendolo alla mera presenza di due forze, i conservatori e i riformisti, funzionali a una concezione stereotipata.

Non meno importante, il voto del 26 febbraio non consente di attribuire a Tehran – che è sì importante con i suoi otto milioni di elettori, ma non certo capace di rappresentare l’insieme del paese –un valore assoluto su cui costruire poi una proiezione nazionale.

Alla luce dei dati sinora diramati hanno votato oltre il 60% degli aventi diritto, facendo quindi registrare una notevole affluenza alle urne, indice di una partecipazione trasversale degli elettori e quindi significativa sotto il profilo della valutazione statistica.

A Tehran ha trionfato la Coalizione dei Riformisti, che include al suo interno anche formazioni principaliste e pragmatiche. La stessa formazione si sarebbe poi assicurata altri 19 seggi nelle città minori, mentre le formazioni vicine alla Coalizione dei Principalisti si sarebbero assicurate 29 seggi in altre città e in alcune province (alcune proiezioni portano già a 46 questo numero). 25 i seggi sono stati sinora assegnati agli indipendenti, mentre in 21 circoscrizioni non si è raggiunto lo sbarramento del 25% su nessun candidato, e si dovrà tornare a votare tra qualche settimana, probabilmente in Aprile.

Per avere un quadro più completo e puntuale del risultato elettorale è necessario scorporare ogni singolo risultato delle varie liste, attribuendo in prima battuta algebricamente i voti ai singoli insiemi politici, per poi formulare ipotesi di scenario sulla base di alleanze e programmi che possono tuttavia essere mutevoli nel tempo e nella sostanza.

Il dato che emerge quindi da questo primo esame vede in netto vantaggio al momento le formazioni principaliste, che si attestano sul 60% del totale, seguite dall’insieme delle forze riformiste e pragmatiche e poi quelle indipendenti. Le formazioni ultraconservatrici sembrerebbero invece aver perso parecchie posizioni rispetto al passato.

I principalisti raggruppano al loro interno formazioni conservatrici centriste e tradizionaliste, e una loro prevalenza numerica nel conteggio del voto indica con ogni probabilità una tendenza dell’elettorato a premiare le forze moderate del centro, che intendono quindi appoggiare il mandato del presidente Rohani e la politica di distensione del paese, chiedendo al tempo stesso risultati sul piano economico e garanzie su quello della politica estera.

Lo stesso dato mostra con chiarezza come le forze ultraconservatrici siano state in buona sostanza salvate dalla copiosa squalifica dei candidati riformisti. Identico risultato sembra prospettarsi per l’Assemblea degli Esperti, dove vengono eletti Rohani, Rafsanjani e almeno altri 14 candidati della loro coalizione, ma dove la maggioranza dei seggi sembrerebbe essere saldamente nelle mani delle formazioni principaliste.

In conclusione, ciò che è importante sottolineare per la comprensione del voto iraniano è quindi la trasversalità del voto principalista rispetto al quadro complessivo nazionale, senza confonderla con le posizioni dei riformisti o di altre formazioni e tenendo presente quanto cangiante possa essere la successiva riaggregazione delle liste in sede parlamentare.