international analysis and commentary

Una Chiesa davvero globale e le sue difficili priorità

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Uno dei principali problemi che la Chiesa cattolica, oggi divenuta globale, deve affrontare è quello dell’overstretch: una struttura nata nell’ambito dell’Europa occidentale deve tenere conto delle esigenze di masse di fedeli che vivono in paesi del “sud del mondo” con caratteristiche molto diversificate tra loro. E che hanno aspettative differenti da quelle degli abitanti del mondo sviluppato, alle quali non sempre si è adattata la visione europea del papato di Benedetto XVI. Una situazione che solo in parte è stata alleviata dall’ascesa dei movimenti ecclesiali, i quali hanno portato una maggiore pluralizzazione del mondo cattolico, non sempre però facile da gestire. La scelta per il Vaticano è quindi quella tra la riproposizione di un’ideologia “universalistica”, che potrebbe però portare a perdere intere aree del mondo non occidentale; e un ulteriore incoraggiamento della diversità, che potrebbe portare tuttavia ad incrementare le spinte centrifughe.

Questo dilemma si pone in particolare nel confronto con la penetrazione protestante, che sta dilagando in tutti i continenti, ma che ha colpito in modo particolarmente intenso l’America Latina (in cui oggi risiede oltre 1/3 dei cattolici mondiali). Una situazione ben rappresentata dal fatto che in paesi come Brasile e Messico si è passati da una quasi assoluta predominanza del cattolicesimo all’inizio degli anni Settanta, a percentuali di protestanti che oggi toccano o superano il 20%; mentre anche le percentuali di non credenti, un tempo quasi inesistenti, divengono sempre più significative. Insieme alla crescita di altri culti tradizionali e sincretistici, questo fa sì che in alcune aree i cattolici non rappresentino più la maggioranza della popolazione.

Le ragioni di questa crisi sono molteplici e non sempre uguali nei diversi contesti. Sicuramente un ruolo decisivo è giocato dalla difficoltà per la liturgia tradizionale cattolica nel competere da un lato con la secolarizzazione, e dall’altro con forme religiose più spontanee e “folkloriche” come il pentecostalismo. Non vanno trascurati anche gli scandali relativi alla pedofilia, che hanno danneggiato molto l’immagine della Chiesa nella regione: in particolare in Messico, con le vicende legate al fondatore dei Legionari di Cristo Marcial Maciel. L’allontanamento da ampi strati della popolazione è infine anche un effetto della dura posizione assunta dal Vaticano contro la teologia della liberazione: una prospettiva che oggi, in un continente in buona parte governato da forze di sinistra – e nel quale rimangono forti sperequazioni economiche – sta riprendendo piede nonostante le opposizioni delle gerarchie vaticane.

Anche in Africa la Chiesa si trova a fronteggiare i problemi appena citati, con l’aggiunta di una serie di sfide specifiche dell’area. Una delle più significative è il dibattito sul celibato dei preti, istituzione percepita da molti come estranea al contesto culturale africano, caratterizzato da un forte patriarcalismo e in cui la procreazione è essenziale in termini di status sociale. Con la conseguenza che – anche se a livello ufficiale non ci sono dati in proposito – pare vi siano numerosi ecclesiastici che scelgono clandestinamente l’opzione di una doppia vita: come sacerdoti e vescovi, ma allo stesso tempo mariti e padri di famiglia. Una situazione che si traduce necessariamente in una pressione sul Vaticano per la revisione dei dogmi su questo tema; così come su quello della contraccezione, che in Africa presenta aspetti peculiari dato il dilagare dell’AIDS e i problemi generati dalla sovrappopolazione. Inoltre, così come in America Latina, vi è chi pone la questione del sacerdozio femminile: questo dato che, in aree caratterizzate da scarsità di sacerdoti, sono in molti casi donne (suore o attiviste laiche) che reggono le comunità locali (una situazione messa in evidenza, negli anni scorsi, anche dal cardinale ghanese Peter Turkson, che è stato tra i più accreditati “papabili”). Al contrario che in America Latina, in Africa la Chiesa cattolica si trova poi esposta non solo alle conseguenze di numerosi conflitti locali, ma anche al confronto con altre confessioni religiose. Un confronto che tenta di avere i contorni del dialogo, ma che – come nel caso del gruppo terrorista Boko Haram – può prendere contorni violenti e condizionare sia lo sforzo di evangelizzazione, sia le scelte di Roma.

Un confronto presente, in alcuni casi, anche nel contesto dell’Asia meridionale e orientale, dove – tranne che in eccezioni come quella delle Filippine – la religione cattolica deve inserirsi come confessione minoritaria; oltre ad essere, anche qui, alle prese con un aggressivo proselitismo protestante. In questa regione è tuttavia particolarmente critico il rapporto con i regimi, che pone la Chiesa di fronte al dilemma se privilegiare la protezione delle minoranze cattoliche (sulle quali possono ricadere le conseguenze delle prese di posizione di Roma) oppure la causa della promozione della democrazia. Questo in particolare nel caso della Cina, dove il regime ha creato una vera e propria chiesa parallela sotto il proprio controllo, l’Associazione patriottica cattolica cinese, che ha ordinato vescovi non riconosciuti da Roma; mentre i cattolici fedeli a Roma, non riconosciuti ufficialmente, vivono la loro fede in clandestinità e spesso celebrano i culti in case private.

Il mondo si presenta quindi alla Chiesa del ventunesimo secolo come una scacchiera estremamente diversificata, per la quale è necessario elaborare nuove strategie che tengano conto dei diversi contesti, senza rinunciare ad un messaggio ecumenico ed universalistico. Un cammino estremamente stretto che il nuovo papa dovrà affrontare, con il pericolo dell’obsolescenza e dell’allontanamento dalle masse da un lato, e quello della “protestantizzazione” e frammentazione della Chiesa dall’altro.