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Tutti gli uomini del presidente-eletto: la costruzione della squadra di Trump

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Nel suo splendido libro del 2012 “Team of Rivals”, la storica Doris Kearns Goodwin ricostruisce come Abraham Lincoln, nel selezionare i membri della sua amministrazione, offrì i posti di maggiore rilievo ai suoi avversari alla nomination del nascente Partito Repubblicano. Una mossa che mirava a risanare le divisioni nel partito, e che si rivelò vincente nel creare un fronte unito nella guerra civile che sarebbe cominciata di lì a poco.

Per quanto emerge dalle prime indiscrezioni, Donald Trump non dovrebbe seguire le orme del suo storico predecessore. Da un lato, per carattere: abituato da sempre, nella sua carriera di imprenditore, a circondarsi di persone di fiducia, il nuovo Presidente sembra proiettato a premiare i suoi principali alleati e collaboratori. Dall’altro, per opportunità: reduce da una campagna da outsider, costruita attorno al mantra di “bonificare la palude” (drain the swamp) e in cui ha avuto buona parte del Partito Repubblicano manifestamente contro, una chiara mano tesa all’establishment è diventata improbabile. 

Ecco quindi che l’Amministrazione Trump potrebbe diventare la più eclettica e controversa degli anni recenti, come sostiene ad esempio Politico: un misto di esponenti del big business, politici in declino del Partito Repubblicano ed esponenti dei movimenti conservatori (alcuni piuttosto radicali). Senza dimenticare i membri della famiglia Trump allargata, che hanno avuto un ruolo centrale nella campagna del capo. Un ruolo di consulenza più o meno formale che, a vedere le caratteristiche di management trumpiane, molto probabilmente manterranno in ogni caso.

Capire quali volti, dopo il 20 gennaio, comporranno il mosaico è un esercizio ancor più importante che in passato, vista l’aura senza precedenti di oggetto misterioso che circonda il prossimo Presidente. Capiremo infine che presidente sarà: continuerà a portare avanti le sue idee dirompenti e anti-sistema, che tanto successo hanno avuto durante la campagna elettorale, pescando al di fuori dei circoli di potere di Washington? Oppure cercherà di “normalizzarsi”, scegliendo politici e burocrati esperti? E poi: sarà un decisionista, visto il suo passato da manager, o delegherà  le decisioni più importanti ad altri?

Un primo indizio potrebbe essere il ruolo di preminenza recentemente assegnato al vice Mike Pence , uno dei pochi personaggi nell’entourage del Presidente eletto ad avere esperienza di governo e a essere ben visto dal Partito Repubblicano, alla guida del team di transizione, al posto di Chris Christie, recesso a “semplice” vice direttore. Una scelta di importanza strategica, dato che il team di transizione contribuisce a determinare la squadra e le priorità politiche.

Un compito difficile per Trump, però, sarà riuscire a trovare un equilibrio tra le diverse anime della sua campagna senza far saltare la squadra: la famiglia allargata, il cui principale rappresentante è il genero Jared Kushner, marito di Ivanka Trump; l’ala dei ‘surrogati’, con individui come Chris Christie, Rudy Giuliani e il presidente del Republican National Committee (RNC) Reince Priebus; e l’ala più conservatrice, rappresentata da Steve Bannon, direttore del sito di estrema destra Breitbart e negli ultimi mesi CEO della campagna elettorale. Un confronto che è già in parte uscito allo scoperto, con la sostituzione di Christie con Pence ordita, secondo alcune fonti, proprio da Kushner.

In questo contesto, la prima fondamentale decisione è già stata quella per il Chief of Staff della Casa Bianca. Personaggio di primo piano, “mano armata” del presidente, responsabile della trasmissione della sua agenda di governo ai ministeri e al Congresso. La nomina di Reince Priebus premia uno dei pochi repubblicani di alto grado ad avere sostenuto Trump fin (quasi) dall’inizio e offre una conoscenza preziosa dei meccanismi del Congresso e dello stesso Partito. È però una figura invisa alla base più conservatrice, che ha il suo alfiere proprio in Steve Bannon, con il suo passato di radicalismo: il suo sito Breitbart è diventato negli anni uno strumento di opposizione allo Speaker repubblicano della Camera, Paul Ryan, e in generale a tutti i Repubblicani moderati, in favore di posizioni più estreme. A Bannon è stato assegnato il ruolo più defilato di chief strategist, che comunque potrebbe influenzare l’approccio ad alcuni temi controversi.

Spostando lo sguardo sui possibili membri del cabinet vero e proprio, rimane valido lo stesso schema, con alcune variazioni. Per il posto di Segretario di Stato, i principali candidati sembrano essere Newt Gingrich e John Bolton. Gingrich, Speaker della Camera durante gli anni di Bill Clinton e artefice del progressivo spostamento a destra dell’asse repubblicano, nonché negli ultimi anni ideologo conservatore e candidato alla presidenza nel 2012, sarebbe la scelta più in linea con la base conservatrice, seppur con poche esperienze in politica estera. Esperienza che invece non manca a John Bolton: Ambasciatore all’ONU sotto G.W. Bush e attuale Senior Fellow al think tank conservatore American Enterprise Institute, Bolton è un neocon, sostenitore dell’eccezionalismo a stelle e strisce e di un ruolo unilaterale più aggressivo del paese. Idee che cozzano con le promesse di isolazionismo del candidato Trump. Proprio per questo, forse, nelle ultime ore si è fatta strada la voce che vedrebbe l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, come nuovo favorito per il posto. La scelta dei Giuliani, privo di rilevanti esperienze in politica estera e fuori dagli specifici circoli conservatori, rientrerebbe nella logica di Trump di premiare i propri fedelissimi.

Un po’ più semplice dovrebbe rivelarsi la scelta del Segretario alla Difesa, che potrebbe avere tra le sue priorità quello di rafforzare la lotta allo Stato Islamico in Siria. Per il Pentagono, Trump sembrerebbe propenso ad affidarsi a uomini di esperienza. In pole position sarebbe Jeff Sessions, Senatore dell’Alabama e uno dei primi eletti Repubblicani a sostenere Trump, soprattutto in merito alle proposte anti-immigrazione. Un’altra scelta di livello potrebbe essere il Generale Michael Flynn, che negli scorsi mesi ha ricoperto il ruolo di principale consulente di Trump in materia di difesa. La nomina di Flynn, però, è complicata dal fatto che dovrebbe ricevere un permesso speciale dal Congresso, in quanto ritiratosi dal servizio militare da meno di sette anni; quindi, potrebbe finire dirottato a ricoprire il ruolo – perlatro molto rilevante – di  Consulente per la Sicurezza Nazionale alla Casa Bianca, nomina sottratta all’approvazione del Congresso.

Jeff Sessions sarebbe in lizza anche per il posto alla Homeland Security. Altri candidati sarebbero due sceriffi, Joe Arpaio dell’Arizona e David A. Clarke, di Milwaukee. A differenza dei ruoli in politica estera e di difesa, che potrebbero mantenere una certa indipendenza di azione, la Homeland Security sarà un’agenzia cruciale per applicare le proposte di stretta sull’immigrazione dal Messico. Ecco quindi che l’inserimento in lista di due sceriffi e dello stesso Arpaio indica l’interesse di Trump di “fare sul serio”.

Un altro ruolo di importanza fondamentale per tradurre in realtà l’agenda politica del nuovo presidente sarà quello del Procuratore Generale, fondamentale per implementare la piattaforma di “legge e ordine” secondo le promesse elettorali. Proprio per la sua delicatezza, il posto dovrebbe essere assegnato a un sostenitore fidato: il primo indiziato sembrerebbe essere, ancora una volta, Giuliani. Se si pensa alla cronaca degli ultimi mesi, la nomina sarà tutt’altro che pacifica, dato che Giuliani ha introdotto la pratica dello stop and frisk a New York (per cui la polizia ha il permesso di fermare passanti per perquisirli), accusata di favorire il razzismo e la violenza della polizia. Un’alternativa a Giuliani potrebbe essere l’ex Governatore del New Jersey Chris Christie.

Passando alle nomine riguardanti l’economia, è quasi naturale che Trump guardi all’interno del mondo delle corporation per creare posti di lavoro e rilanciare soprattutto le opere infrastrutturali: ecco quindi che per Segretario del Tesoro la scelta numero uno del tycoon dovrebbe essere Steven Mnuchin, ex dirigente di Goldman Sachs e suo amico personale, che ha ricoperto il ruolo di CFO per la sua campagna. Un altro nome emerso è quello di Thomas Barrack Jr., investitore di hedge fund. Stesso discorso si può fare per il Segretario al Commercio, dove i candidati sarebbero Dan Di Micco, ex CEO del conglomerato siderurgico Nucorp e strenuo oppositore del libero commercio con la Cina, e Lewis Eisenberg, un altro manager di hedge fund. In questo campo, emerge per Trump una certa tensione tra il mondo della finanza – fortemente criticato in campagna elettorale – e quello delle manifatture o comunque dell’economia “reale” da cui proviene lo stesso Presidente.

Ci sono poi dei ruoli di minore rilievo che potrebbero rivelarsi ideali per premiare alcuni sostenitori o fare delle scelte “di campo”, ideologiche, che accontentino la base radicale. Di Ben Carson, cardiochirurgo avversario di Trump alle primarie repubblicane e poi suo sostenitore (nonché sostenitore del creazionismo), per alcuni giorni si era parlato come possibile Segretario all’Educazione: un dipartimento che il neo-presidente ha più volte affermato di voler tagliare. A fugare i dubbi ci ha pensato lo stesso Carson, tirandosi indietro nella giornata di martedi 15 dalla corsa per un posto nell’Amminstrazione. Rimane invece in quota la suggestiva scelta di Sarah Palin, ex governatrice dell’Alaska e candidata Vicepresidente con John McCain nel 2008, che potrebbe approdare al posto di Segretario agli Interni, responsabile dell’utilizzo del demanio pubblico.

Per quanto sta trapelando in queste prime fasi post-elettorali, l’amministrazione Trump sarà basata, nell’inner circle, su stretti rapporti di fiducia con il capo e con una forte tendenza conservatrice. Se rispecchierà la promessa della centralità della politica interna,  gli uomini di fiducia del Presidente saranno collocati nei ruoli-chiave, mentre ci sarà maggiore libertà d’azione in politica estera.

Il nuovo Presidente potrebbe non rispettare del tutto la promessa di “drain the swamp” (“prosciuga la palude”), ma sembra volersi circondare di persone che debbano a lui il salto professionale. Se le indiscrezioni saranno confermate, continuerà sulla strada tracciata da candidato presentandosi come qualcosa di diverso dall’establishment del Partito Repubblicano. Con buona pace di Team of Rivals.