Il rafforzamento della presenza navale turca nel Mediterraneo orientale non è solo il risultato della rottura diplomatica con Israele: è anche una questione commerciale ed energetica che coinvolge le scelte complessive di politica estera di Ankara, con riflessi per l’Europa e perfino per gli Stati Uniti.
L’invio di navi da guerra turche era stato annunciato all’indomani dell’espulsione dell’ambasciatore israeliano in Turchia e della sospensione di tutti gli accordi militari tra i due paesi, il 2 settembre – una decisione che a sua volta era legata alla vicenda della Freedom Flottilla per forzare il blocco israeliano di Gaza, nel maggio 2010.
Dietro allo scontro diplomatico ci sono in effetti dei cruciali interessi energetici.. Quando il governo greco cipriota ha annunciato che il prossimo ottobre inizierà una campagna di trivellazioni al largo dell’isola, grazie ad un accordo siglato nel 2008 con la compagnia texana Noble Energy, la reazione turca è stata immediata. Fino a concretizzarsi, nelle ultime settimane, in un’ipotesi di patto sottoscritto tra la Turchia e il governo della zona Nord di Cipro, non riconosciuto dalla comunità internazionale e sotto la tutela politica e militare di Ankara fin dalla propria proclamazione di indipendenza nel 1983. L’obiettivo è delimitare anche i confini marittimi dell’isola contesa, e quindi stabilire il diritto della metà turca di Cipro a sfruttare le riserve di petrolio e gas naturale disponibili sotto il mare.
Il 19 settembre Cipro ha annunciato che l’esplorazione di Noble Energy è iniziata in un’area ridotta all’interno della propria zona economica, al confine con le acque territoriali israeliane. Israele, che fino ad oggi ha avuto l’Egitto come principale partner energetico, recentemente si è mosso sul fronte dell’esplorazione delle risorse di petrolio e gas sottomarine, per trovare strade alternative al proprio approvvigionamento. Le compagnie israeliane Avner Oil and Gas LP e Delek Drilling LP hanno ricevuto mandato ad investire nel progetto di trivellazioni cipriota, nel quale detengono un’opzione d’acquisto del 30% della concessione di Noble Energy nell’area identificata come Blocco 12, in base ad un accordo territoriale siglato lo scorso anno.
Contemporaneamente, Cipro ha siglato accordi sia con l’Egitto sia con il Libano per la delimitazione delle aree di competenza territoriale in cui realizzare trivellazioni sottomarine per la ricerca di gas e petrolio. L’area sottomarina contesa (ossia la zona economica di Cipro che copre una superficie di 51000 chilometri quadrati) potrebbe diventare un complicato problema giuridico visto che né la Turchia né Israele hanno mai ratificato la convenzione delle Nazioni Unite del 1982 che stabilisce le linee guida per lo sfruttamento economico delle risorse naturali negli oceani (UNCLOS) – un trattato che è invece stato ratificato dalla Repubblica di Cipro e dal Libano.
Intrecciandosi con il problema di Cipro, è chiaro che la contesa energetica – che può facilmente trasformarsi in un vero contenzioso – riguarda direttamente l’Europa.
La questione cipriota è stata di fondamentale importanza lungo tutto l’arco dei negoziati tra Ankara e l’Unione Europea.
Su questo sfondo appare ancora più significativo il recente viaggio in Nordafrica del primo ministro turco Erdogan, accompagnato dal ministro dell’energia Taner Yldiz: quest’ultimo ha rilasciato numerose dichiarazioni sulle potenzialità degli accordi commerciali tra Egitto e Turchia, l’esplorazione congiunta di possibili fonti energetiche nel Mediterraneo e soprattutto il completamento dei 1200 km del gasdotto egiziano Arab Natural Gas (un ramo del quale rifornisce anche Israele) entro la fine del 2011. Il ministro turco ha posto l’accento sulla doppia corsia di questa autostrada energetica: una che porterà il gas dell’Azerbaijan attraverso la Turchia in Siria e Libano, l’altra che collegherà direttamente Egitto e Turchia. E nei programmi turchi ci sono anche Tunisia e Libia, già oggetto delle ambizioni europee nella contesa energetica.
La Turchia si presenta oggi come il paese privilegiato per l’approvigionamento energetico dell’Europa dall’Asia. Ma la Turchia potrebbe anche decidere di invertire la rotta: anziché portare l’Asia in Europa, rivolgere la sua attenzione a oriente, laddove si estende la maggior parte del suo territorio. L’Europa verrebbe così “declassata”, dalla prospettiva di Ankara, a uno dei vicini con cui fare affari, ma soltanto da una posizione di forza. Potrebbe risultare più conveniente in questo momento stringere invece saldi legami con il Nordafrica e soprattutto con la Cina, cioè con mercati in grande crescita o comunque con potenziali di espansione.
E’ ben noto che la delicata partita tra i due maggiori progetti concorrenti – Nabucco e South Stream – è aperta: Il primo attraversa la Turchia e il secondo il Mar Caspio, tracciando dunque due rotte geopolitiche alternative. Ma la Turchia resterà in ogni caso un nodo di congiunzione strategico: come dimostra la vicenda dello sfruttamento economico delle acque attorno alla piccola isola di Cipro, le scelte energetiche dei prossimi mesi avranno grande rilevanza per i futuri equilibri del Medio Oriente e per gli interessi dell’Europa.