La visita in Europa del presidente statunitense, Barack Obama, si è svolta in un periodo piuttosto turbolento dei rapporti bilaterali tra gli Stati Uniti e l’Unione Europea. Dopo lo scandalo intercettazioni e le minacce del vecchio continente di sospendere i negoziati per il trattato di libero scambio con Washington, il principale obiettivo del viaggio di Obama era di ricucire con gli alleati. Lo stallo sembra essere superato.
Complici le notizie provenienti da Kiev e da Mosca, il presidente americano pare essere riuscito a ricompattare il fronte occidentale. La condanna dell’annessione russa della Crimea e di Sebastopoli, l’imposizione di sanzioni alle personalità più vicine al Cremlino e la scelta di tornare a rafforzare la NATO sui confini orientali (in particolar modo in Georgia e in Moldova), sono tutti segnali di un rinnovato impegno euro-americano per la difesa di quelli che Barack Obama, José Manuel Barroso e Hermann Van Rompuy hanno definito “valori comuni” dell’Occidente.
Tuttavia, al di là della retorica a beneficio di telecamera, l’intesa tra Stati Uniti ed Europa sembra passare dall’individuazione di un nuovo nemico comune più che da un genuino interesse di realizzare obiettivi davvero vantaggiosi per entrambe le sponde dell’Atlantico. Si prenda ad esempio il trattato di libero scambio. Congelato all’indomani delle rivelazioni sullo spionaggio americano in Europa, il negoziato pare ora destinato a riprendere e a concludersi, secondo i più ottimisti, già entro il 2015. Come sottolineato alquanto esplicitamente dal presidente Obama nel corso della visita, il trattato servirà più che altro ad isolare economicamente Cina e Russia, e non tanto ad unire Washington e Bruxelles. La stessa cosa si può dire anche per gli aiuti finanziari che saranno erogati dal Fondo monetario internazionale per salvare l’Ucraina dalla bancarotta, sui quali era mancato l’accordo qualche mese fa, ma che dovrebbero oggi essere attivati in mera funzione anti-Cremlino.
Da parte di Washington e Bruxelles non sembra insomma esservi disponibilità a lasciare davvero aperta la porta del dialogo con Mosca, né l’umiltà di ammettere gli errori commessi in Europa orientale (da ultimi quelli degli scorsi mesi in Ucraina). Le scelte compiute rischiano di produrre nuovi attriti con Mosca: aver considerato decaduto il legittimo presidente, Viktor Yanukovich, anche dopo la conclusione di un accordo con l’opposizione il 21 febbraio scorso; aver favorito l’ascesa al potere di gruppi politici nazionalisti; non voler riconoscere, almeno di fatto, la Crimea quale nuova regione della Federazione russa. Migliaia di soldati russi continuano infatti a presidiare il confine con l’Ucraina, mentre le regioni del sud-est del paese sono in fermento in vista di una possibile annessione al grande vicino. Il muro contro muro scelto dall’Occidente per isolare Vladimir Putin e fiaccare ulteriormente l’economia russa potrebbe sortire effetti opposti a quelli auspicati.
In Germania, il neo-ministro della Difesa, la cristianodemocratica Ursula von der Leyen, ha scelto parole che forse saranno piaciute al segretario di stato americano, John Kerry, ma che hanno provocato forte irritazione nel governo di Angela Merkel, tradizionalmente prudente quando si tratta di maneggiare i rapporti con Mosca. Parlando con il settimanale Der Spiegel alla vigilia del tour di Obama, von der Leyen ha infatti sostenuto che d’ora in avanti sarebbe importante che «la NATO mostrasse una maggiore presenza sui confini orientali», come se l’espansione ad Est della NATO negli ultimi dieci anni non avesse già contribuito ad inasprire i rapporti con il Cremlino.
Il vicecancelliere, il socialdemocratico Sigmar Gabriel, ha così dovuto rettificare le parole della collega, chiarendo che l’obiettivo della Germania non è certo quello di ricercare l’escalation, ma di riportare la Russia al tavolo delle trattative. In prima linea per raggiungere questo obiettivo c’è il ministro degli Esteri Frank-Walter Steinmeier, ex consigliere di Gerhard Schröder ai tempi del governo rosso-verde ed oggi considerato tra i politici più vicini al Cremlino nell’attuale esecutivo. Anche l’ex cancelliere socialdemocratico Helmut Schmidt ha usato parole assai morbide nei confronti di Mosca, sottolineando come la decisione americana di isolare una Russia di per sé già isolata al Consiglio di Sicurezza sia stata controproducente.
Insomma, benché Europa e Stati Uniti sembrino essere tornati a viaggiare su binari paralleli, nel vecchio continente – e in particolar modo in Germania – regna un diffuso scetticismo: la linea dura scelta dal presidente Obama per reagire all’aggressione ai danni dell’Ucraina non può consentire di derubricare a incidente diplomatico lo spionaggio americano ai danni degli alleati. Allo stesso tempo i tedeschi non credono che sia realistica l’ipotesi di sganciarsi del tutto da Mosca. Durante la visita in Europa, Barack Obama ha assicurato di voler limitare il salvataggio di dati e telefonate da parte dei servizi segreti a diciotto mesi, ma il cosiddetto no-spy treaty con gli Stati Uniti, tanto sbandierato dal governo di grande coalizione nei primi mesi della legislatura, non sarà stipulato.
D’altra parte, l’Europa, priva di una politica estera comune, non sembra avere alternative credibili alle proposte che vengono da Washington in questi giorni. Fallita la normalizzazione dei rapporti con Mosca, i paesi europei ritornano oggi ad inseguire una partnership più stretta con gli Stati Uniti. In particolare, per non dipendere dalle forniture di gas russo, l’Europa sembra disponibile a seguire Obama sulla strada della contrapposizione con Mosca, nella speranza che, come annunciato nei giorni passati, Washington dia il via libero ad un maggiore rifornimento energetico del vecchio continente. Dati i forti interessi tedeschi a mantenere stabili i rapporti con il Cremlino, è difficile comunque ipotizzare che l’Europa si isoli del tutto da Mosca.
Ancora oggi la cancelliera Merkel ha pubblicamente ricordato che la Germania non è favorevole all’imposizione di sanzioni economiche nei confronti della Federazione russa, ma anzi approva che le imprese tedesche continuino a curare rapporti commerciali con le controparti russe.